Un anno fa, esattamente il 18 gennaio 2020, lasciava questa terra lo scrittore Giovanni Cantoni all’età di 82 anni (era nato a Piacenza il 23 settembre 1938). Cantoni è stato un formidabile apologeta nonché fondatore ed ex reggente nazionale di Alleanza Cattolica.
1. L’Italia tra Rivoluzione e Contro-Rivoluzione
Avevo poco più di vent’anni quand’ho incontrato Giovanni Cantoni di persona per la prima volta. Già avevo letto il suo saggio del 1972, L’Italia tra Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, introduttivo alla seconda edizione italiana di Rivoluzione e Contro-Rivoluzione di Plinio Corrêa de Oliveira. Cantoni era stato il primo, e a lungo l’unico, a far conoscere e divulgare in Italia sia l’autore che l’opera — fondamentale, tutt’ora insostituibile, da leggere, per farla, almeno ogni anno, diceva — e ne fu il principale traduttore. Nel suo saggio, Cantoni propone prima un’analisi della storia nazionale, dal cosiddetto Risorgimento all’allora incipiente politica detta di “compromesso storico”, cioè di compimento d’un itinerario che lo stesso autore definisce tentativo di «reinserire i comunisti nell’area di governo [dopo la loro estromissione nel 1947], e per indebolire e annullare ogni reazione a ciò contraria che provenisse dalla Gerarchia e dal popolo cattolico». Poi, e a mio avviso soprattutto, delinea i principi e l’orientamento d’un opus per la conservazione del resto, e poi per la restaurazione integrale, d’una civiltà cristiana.
2. Sequela del Magistero e della scuola contro-rivoluzionaria
Cioè d’un habitat storico che intenda mantenersi all’interno dei confini della verità e della morale naturali e cristiane, come fu — naturalmente in modo sempre precario e imperfetto, come tutte le cose di questo mondo — la prima cristianità occidentale, erosa dal plurisecolare processo rivoluzionario ostile alla Chiesa e al cattolicesimo. Cantoni articola il suo discorso sempre alla stregua del Magistero pontificio ed episcopale, nonché dell’opera dei padri del pensiero che fin dai primi momenti della Rivoluzione in Francia, quando essa passa dalla fase religiosa a quella politico-sociale, ne ricostruisce idee, moventi, modalità operative e passaggi successivi, per idealmente armare e rendere consapevole, cioè globale e non settoriale, il contrasto e la resistenza. E di entrambi — del Magistero e del pensiero controrivoluzionario, cioè delle opere in cui è stato espresso, sia d’occasione che in maniera sistematica, tanto ch’egli ha sempre parlato di una patristica e di una scolastica contro-rivoluzionarie —, egli aveva una non comune, direi quasi unica, conoscenza. Li possedeva.
3. La Contro-Rivoluzione
L’incontrai ad un ritiro di Alleanza Cattolica, associazione che fondò — del fondatore aveva il carisma pieno — non con un atto formale o volontaristico, ma organicamente, attraverso un instancabile peregrinare per l’Italia, incontrando e aggregando gruppi e singoli per proporre loro la prospettiva contro-rivoluzionaria. Che è non quella di una Rivoluzione di segno contrario, ma il contrario della Rivoluzione. Ed invero, là dove la Rivoluzione demolisce e sovverte, la Contro-Rivoluzione invece conserva quel che merita d’essere conservato, restaura e corregge quel che la Rivoluzione ha distrutto e corrotto. Come diceva il conte Joseph de Maistre, si tratta di «rettificare lo stato di cose presente». Gli avrebbe replicato, per così dire, meno d’un secolo dopo Friedrich Engels che «il comunismo [la Rivoluzione] per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo [Rivoluzione] il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente». E il presente di de Maistre non è lo stesso di Engels: l’uno è l’ordine dell’essere prim’ancora d’un certo assetto sociale, l’altro è il mondo rivoluzionato.
4. “Fare” la Contro-Rivoluzione
Con la Contro-Rivoluzione Cantoni proponeva un modo peculiare di farla, di essere contro-rivoluzionari. Cioè, la militanza almeno idealmente a tempo pieno, asse esistenziale moralmente centrale, una sorta di professionismo della Contro-Rivoluzione, speculare a quello leniniano della Rivoluzione, principalmente nel campo della battaglia delle idee.
5. Esercizi Spirituali di Sant’Ignazio e militanza
La illustrava costituita anzitutto (primato direi ontologico) da formazione spirituale intensa e ignaziana (non obbligatoria, ma fortemente consigliata, la pratica degli esercizi spirituali condensati in una settimana, secondo il modello elaborato per i laici da un gesuita, p. Francisco de Paula Vallet); poi da studio assiduo della dottrina e della teoria dell’azione, nonché delle loro premesse, scritturali, magisteriali e filosofiche; infine, da disponibilità ad essere presente e protagonista d’ogni momento di attività pubblica, all’insegna del primo motto dell’Azione Cattolica, Preghiera, azione, sacrificio.
Insomma, egli proponeva la militanza controrivoluzionaria in una dimensione vocazionale, all’interno della più generale vocazione laicale, e il suo adempimento come un’ascesi propria, una modalità peculiare di santificazione, tanto che soleva ricordare che se per un monaco l’osservanza precisa e continua della regola sarebbe bastata alla di lui santificazione, così la militanza assidua e generosa con retta intenzione poteva a suo modo costituire una via. Anzi, teneva a dire che se Alleanza Cattolica fosse stata per qualche motivo un ostacolo verso la santità, allora andava immediatamente abbandonata.
6. La formazione
Il militante era quindi impegnato in un’ininterrotta autoformazione, per poter formare a sua volta. Uno dei capisaldi di tale impegno d’auto-formazione era appunto il ritiro, spirituale e culturale: in un paio di mezze giornate, venivano integrati preghiera e studio in una successione organica di Messa, adorazione, orazione (specialmente il rosario) e conferenze.
Ed in queste ultime è stato ineguagliabile. Non potrò mai dimenticare quel primo incontro sul finire del 1977. Il suo sguardo limpido che testimoniava la sincerità, l’onestà intellettuale del suo dire, la progressione geometrica delle sue argomentazioni, la capacità di farsi ascoltare — e così addestrare all’ascolto e alla concentrazione —, anche oltre, e ben oltre, quelle che comunemente vengono definite curve dell’attenzione. Ne fui conquistato, proprio per la severità d’impegno cui chiamava, e la chiarezza del quadro da lui delineato. Come il suo saggio era stato per me una totale messa a fuoco della mia visione del mondo, della storia d’Italia — soprattutto riguardo il fascismo, sostanzialmente inquadrato come un fenomeno di sinistra, quindi rivoluzionario, sostenuto però da un consenso popolare naturaliter contro-rivoluzionario, in quanto timoroso più dell’altra faccia del socialismo, quella internazionalistabolscevica — e delle principali categorie politico-culturali; allo stesso modo quel ritiro mi schiuse una diversa prospettiva esistenziale, tanto che subito tornai ai sacramenti, e dopo un turno di esercizi spirituali cominciai a fare Alleanza Cattolica.
7. Una rivista, strumento del “Che fare?”
Giovanni Cantoni fondò anche la rivista «Cristianità», di cui fu direttore e soprattutto, diremmo, redattore-capo, anche in tempi in cui si faceva tutto a mano. E ascetica fu l’acribia con la quale reperiva testi, scriveva e commissionava piccoli e grandi saggi, controllava e faceva controllare citazioni e bozze. Credo sia stata la rivista in assoluto con il minor numero di refusi della storia editoriale pre-elettronica. La collezione di «Cristianità» è stata un deposito ricchissimo di Magistero, dottrina, giudizi storici e priorità motivate per l’azione, cioè nient’altro che principi di riflessione, criteri di giudizio, direttive per l’azione, in cui consiste la Dottrina Sociale della Chiesa. Di cui Cantoni è stato sicuramente uno dei principali conservatori — quando fu eclissata in una strana stagione ecclesiale —, conoscitori, interpreti e divulgatori.
8. Maestro di molti
Egli fu maestro di tanti. Certo, mio — senza aver alcuna colpa per l’esito —, tanto che posso dire che quel che penso e provo a fare, persino nella mia vita professionale, continua ad essere il portato dei suoi insegnamenti. Che non furono mai accademici, ma sempre in proiezione militante e, insisto, esistenziale. Quindi davvero maestro, non professore. Come ha detto Ettore Gotti Tedeschi, insegnò a pensare e ragionare, prim’ancora che contenuti specifici, e, specialmente con l’esempio, uno stile di vita che aborriva ogni tipo d’improvvisazione e pressappochismo.
Per molti versi, questo il mio ricordo, un secondo padre.
Conosceva praticamente tutti i militanti di Alleanza Cattolica, e a nessuno negava ascolto e importanza, pronto a rispondere — non s’è mai negato al telefono, quando questo era l’unico modo di comunicare a distanza — ai quesiti, ai consigli che gli venivano rivolti e richiesti, ma anche a interessarsi ad ognuno, alla sua famiglia, al lavoro. Ricordo ancora la sua telefonata commossa quando l’ultimo dei miei cinque figli entrò in seminario.
Un padre da lontano, e che ha lasciato una numerosissima progenie culturale nel senso più ampio dell’aggettivo.
Lettore che non si concedeva tregua — e perciò solo m’ha insegnato (non so se ho imparato effettivamente) e indotto a leggere con metodo —, quando incontrava un autore non lo mollava. Ne cercava i testi originali, la letteratura critica, addirittura testimonianze personali. E così gli va riconosciuto l’enorme merito di aver portato in Italia — ma portato davvero, non semplicemente nominato —, tra altri, gli “sconosciuti” Gonzague de Reynold, storico svizzero, e Nicolàs Gòmez Dàvila, straordinario autore di aforismi colombiano.
9. Estremista della Verità
Si diceva “estremista della verità”. Uno dei suoi motti lo aveva mutuato dal conte Monaldo Leopardi, «la verità tutta, o niente». Come detto, fu conoscitore e seguace come pochi del Magistero. Tutto, non solo l’ultima novità: diceva sempre «enciclica non scaccia enciclica», proprio perché amava la Chiesa e il papato. Quindi, non condivise e non praticò mai il “positivismo magisteriale” — per il quale è «vero perché l’ha detto il Papa» (il che relativizza il Magistero), e non già, secondo giustizia, «l’ha detto il Papa perché è vero» — e non fu mai clericale. Giammai assunse quell’atteggiamento un po’ molle e servile secondo il quale un chierico — quale che ne sia il rango — ha sempre ragione, a fortiori riguardo questioni che cadono sotto la legittima autonomia di giudizio e d’azione dei laici. A mia scienza, né in questo, né in altri campi, fu mai reticente, mai si autocensurò, la disse sempre tutta, con stile, rispetto, ineccepibile forma. E questo in una dedizione inesausta all’opera che aveva fondato e a tutti noi che vi militavamo.
Potrei continuare per cartelle e cartelle questo mio ricordo, che vorrebbe essere gonfio di gratitudine. Mi fermo, senza però tralasciare una considerazione finale.
10. Nella storia d’Italia e della Chiesa
Sono moralmente certo che se in Italia v’è ancora una cultura cattolica, soprattutto nel versante coperto dalla Dottrina Sociale della Chiesa — in particolare, storia e teologia/filosofia della storia, le materie principali in cui si svolge il tema Rivoluzione e Contro-Rivoluzione —, e una sensibilità e volontà contro-rivoluzionarie; se quella che lui chiamava “falsa destra”, che inquinava la reattività anti-comunista e anti-sessantottina con prospettive paganeggianti, gnostiche, esoteriste, elitiste, nazional-rivoluzionarie, ha smesso da tempo di sedurre i più; se la prospettiva della regalità sociale di Cristo ha distolto da tanti vaneggiamenti la migliore gioventù (quella sì) anti-comunista e anti-sessantottina, attraverso il riconoscimento della pratica e della cultura cattolica come unica alternativa possibile a ciò che avversava; ebbene tutto questo è un suo (forse quasi esclusivo, e certo non l’unico) merito, che spero da solo gli sia sufficiente per un ingresso diretto in Paradiso.
Il resto, ora, non ha importanza. E se la mia strada da qualche anno — quando, ma non perché, la malattia che lo tormentava lo colpì duramente — s’è divisa da quella di Alleanza Cattolica, non è certo perché io abbia mutato d’un ette la mia adesione a quanto Giovanni Cantoni ci ha insegnato anzitutto con la vita, poi con le parole, infine con gli scritti.
Giovanni Formicola
da: Storia Libera, anno VII (2021) n. 13, con aggiunta di titoletti redazionali