12 febbraio – VI domenica del tempo ordinario

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Commento al Vangelo — VI Domenica del Tempo Ordinario

Quale lebbra è la peggiore?

La "lebbra" dell’anima è più contagiosa e terribile del male di Hansen. Essa strappa la pace della coscienza, rende amara la vita e prepara la morte eterna. Se fosse così visibile quanto la lebbra fisica, quanto più repellente sarebbe ai nostri occhi!

 

di Mons. João Scognamiglio Clá Dias, EP
fondatore degli Evangeli Praecones
courtesy of
http://www.salvamiregina.it

"Allora venne a lui un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva: ‘Se vuoi, puoi guarirmi!’. Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: ‘Lo voglio, guarisci!’. Subito la lebbra scomparve ed egli guarì. E, ammonendolo severamente, lo rimandò e gli disse: ‘Guarda di non dir niente a nessuno, ma và, presentati al sacerdote, e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha ordinato, a testimonianza per loro’. Ma quegli, allontanatosi, cominciò a proclamare e a divulgare il fatto, al punto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma se ne stava fuori, in luoghi deserti, e venivano a lui da ogni parte" (Mc 1, 40-45).

 

I – Onnipotenza del Verbo

Gesù Cristo ha fatto notare la Sua umanità nascendo in una grotta a Betlemme, con la sua fame, sete o stanchezza, e addirittura quando ha dormito nella barca. Inoltre, ha manifestato la Sua divinità attraverso innumerevoli miracoli realizzati, per esempio, quando ha calmato i venti e i mari con l’imperio della voce, o quando ha risuscitato Lazzaro. In quanto Essere Infinito, Egli è onnipotente,

 

1 e per questo, escluso ciò che sia contraddittorio, tutti i possibili sono oggetto del Suo potere. "Onnipotente" è il nome proprio di Dio (cfr. Gen 17,1), poiché la Sua Parola è sufficiente, per se stessa, a produrre tutte le creature (cfr. Gen 1, 3-30).

I miracoli di Gesù sono prova della Sua divinità

Ora, secondo quanto ci insegna San Tommaso, per il fatto che la Sua natura umana è unita a quella divina, Gesù ha ricevuto come Uomo la stessa onnipotenza che il Figlio di Dio ha dall’eternità, poiché entrambe le nature possiedono ipostaticamente una sola e unica Persona.2 La stessa anima adorabile di Cristo, in quanto strumento del Verbo — e non solo per se stessa — ha ogni potere.3 Essa è la ragione per la quale Cristo Gesù dominava qualsiasi infermità (cfr. Mt 8, 8), perdonava i peccati (cfr. Mt 9,6; Mc 2, 9-11), scacciava i demoni (cfr. Mc 3, 15), ecc. Per questa ragione Egli ha potuto affermare: "Mi è stato dato ogni potere in Cielo e in Terra" (Mt 28, 18); e più tardi, San Paolo ha potuto insistere su questo punto fondamentale della nostra fede: "Per noi, è forza di Dio" (I Cor 1, 18); "Cristo è forza di Dio e sapienza di Dio" (I Cor 1, 24); e più avanti: " risusciterà anche noi con la sua potenza" (I Cor 6, 14).

La fede in questa onnipotenza di Dio ci permette di ammettere più facilmente le altre verità, specialmente le azioni che oltrepassano l’ordine naturale. A un Dio onnipotente, sono proprie le opere eccellenti e mirabili: "Perché a Dio nulla è impossibile!" (Lc 1, 37).

Ci dice San Tommaso d’Aquino: "Col potere divino è concesso all’uomo di fare miracoli per due ragioni: la prima, e principale, per confermare la verità che uno insegna. Le cose che appartengono alla fede sono superiori alla ragione umana e per questo non si possono provare con ragioni umane; è necessario che si provino con dimostrazioni di potere divino. In questo modo, quando la persona realizza opere che soltanto Dio può realizzare, si può credere che ciò che dice viene da Dio; come quando uno presenta un documento col sigillo del re, si può credere che quanto contenuto nel documento provenga dalla volontà del re. In secondo luogo, per mostrare la presenza di Dio nell’uomo con la grazia dello Spirito Santo. Quando la persona fa le opere di Dio, si può credere che Dio in lei abita per la grazia. Si dice nella Lettera ai Galati: ‘Quello che vi dà lo Spirito e realizza miracoli tra voi’ (Gal 3, 5).

Ora, in Cristo, bisognava dimostrare l’una e l’altra cosa, cioè che Dio stava in Lui per mezzo della grazia, non di adozione, ma di unione; e che il suo insegnamento soprannaturale proveniva da Dio. Per questo, era del tutto conveniente che Cristo facesse miracoli. Egli stesso affermò: ‘Se non volete credere in Me, credete nelle mie opere’ (Gv 10, 38). Ed anche: ‘Le opere che mio Padre Mi ha concesso di realizzare, sono quelle che danno testimonianza di Me’" (Gv 5, 36).4

Questi sono i motivi che hanno portato gli Apostoli a credere in Gesù dopo il miracolo da Lui operato alle Nozze di Cana di Galilea (cfr. Gv 2, 11); e molti altri sono stati portati a credere, dopo la resurrezione di Lazzaro (cfr. Gv 11, 1-44).

Lo stesso Gesù giunge a citare le Sue opere come prova della Sua divinità: "Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: I ciechi recuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella" (Mt 11, 4-5), "Le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste mi danno testimonianza; Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; ma se le compio, anche se non volete credere a me, credete almeno alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me e io nel Padre" (Gv 10, 25; 37-38).

La Chiesa: un miracolo permanentemente rinnovato

Sì, Gesù Cristo è il Figlio di Dio vivo, come ha affermato Pietro a Cesarea di Filippo (Cfr. Mt 16, 16), pertanto, onnipotente quanto il Padre. Tra la moltitudine dei Suoi miracoli, quale sarà stato il più straordinario? Difficile dirlo con piena sicurezza ma si può fare un’ipotesi di considerevole sostanza che appare come la più probabile.

La Santa Chiesa è passata attraverso numerosi drammi lungo i suoi venti secoli di esistenza; drammi capaci di far sparire qualsiasi stato o governo. Già ai suoi primordi, essa ha dovuto affrontare il "fissismo" religioso del popolo giudeo.

La Redenzione si è operata nell’ambito di questa nazione: le prime azioni, organizzazioni, proselitismo sono stati effettuati da giudei — lo stesso Fondatore, gli Apostoli, ecc. — ed esclusivamente sugli israeliti. Tuttavia, trattandosi di una mentalità blindata nelle proprie concezioni, c’era da temere che la Chiesa venisse ad essere soffocata al suo nascere. Chi avrebbe potuto prevedere le decisioni del primo concilio, quello di Gerusalemme, che rifiuta il giudaismo e si apre ai gentili? Se lo Spirito Santo non avesse ispirato gli Apostoli in questo senso, quanti anni di vita sarebbero stati concessi alla Chiesa?

Pari passu, è sorta l’eresia della Gnosi che assecondava le cattive inclinazioni di quei tempi. I suoi adepti dicevano di aver ricevuto la missione di spiegare e risolvere il problema dell’esistenza del male nel mondo. È stato un grande pericolo per la Chiesa in quell’epoca storica.

Non si finirebbe più, se cercassimo di enumerare tutti gli attacchi subiti dalla Chiesa nel corso dei suoi due millenni. Ci basti ricordare le persecuzioni romane, l’invasione dei barbari, l’arianesimo, i catari e gli albigesi, Avignone, il Rinascimento, il protestantesimo e umanesimo, la Rivoluzione Francese, il comunismo. In altre parole, la Santa Chiesa ha via via ricevuto i più violenti attacchi che la Storia abbia conosciuto, sia esternamente che internamente.

Tuttavia, non si può mai dire che sia arrivata la fine. Questo avverrà soltanto quando si compirà la profezia di Gesù: "Frattanto questo vangelo del regno sarà annunziato in tutto il mondo, perché ne sia resa testimonianza a tutte le genti; e allora verrà la fine" (Mt 24, 14). Fu in funzione di questa profezia che Egli inviò i Dodici a percorrere il mondo intero, per predicare e battezzare, persino nelle persecuzioni, ma sempre convinti che "le porte degli inferi non prevarranno contro di essa" (Mt 16, 18).

Il Redentore ha anche categoricamente affermato: "Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. […] Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28, 18. 20). Vediamo, in questi due versetti, quanto la Chiesa sia esistita, esiste ed esisterà sempre per un miracolo permanentemente rinnovato dalle divine e adorabili mani del suo Fondatore.

È in considerazione dell’onnipotenza divina, tanto chiaramente confermata dai miracoli dell’Uomo-Dio, Gesù Cristo, in maniera speciale o dall’immortalità della Santa Chiesa, che si deve comprendere la guarigione del lebbroso narrata nel Vangelo di questa VI Domenica del Tempo Ordinario.

II – Guarigione del lebbroso

"Allora venne a lui un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva: ‘Se vuoi, puoi guarirmi!’".

La lebbra è sempre stata una malattia drammatica, con inenarrabili sofferenze fisiche e gravi conseguenze sociali. A quei tempi era, inoltre, nella maggior parte delle volte incurabile.

La più temuta delle malattie

Piccole macchie bianche, impercettibili, in qualsiasi parte dell’epidermide, che con il tempo degenerano in ulcere e si espandono su tutto il corpo, possono essere indizio di questo male. Al suo apice, piedi e mani diventano edematosi, le carni si dilaniano, le unghie cadono e, in seguito, anche le dita e le caviglie. Il viso diventa mostruoso e la voce roca. Dalle narici — già a vista per la degenerazione della loro parte esterna, perché il naso finisce per scarnificarsi — scorre un liquido purulento che si somma a un terribile fetore dell’alito. Questi effetti finiscono per produrre nella vittima, oltre ai dolori fisici, un abbattimento d’animo talmente grande che facilmente la porta alla disperazione e alla morte. Se, al contrario, ottiene la guarigione, un prodigioso biancore riveste il suo corpo da capo a piedi.

Per questo, si trattava di una malattia delle più temute tra i giudei, che molte volte la giudicavano un castigo di Dio (cfr. II Cr 26, 19-20); quando si indignavano contro qualcuno, solo in casi estremi gli auguravano questa piaga (cfr. II Sm 3, 29 2 II Re 5, 27).

Quando veniva dichiarato impuro dal sacerdote, il lebbroso, era immediatamente escluso dal convivio sociale. Doveva ritirarsi fuori dalle città, potendo avere rapporti solamente con altri lebbrosi (cfr. Lc 17, 12). Non si trattava di vivere presidiati, poiché nelle città non attorniate da mura, poteva entrare nelle sinagoghe e persino rimanere in un angolo, isolato da tutti da una balaustra, dalla quale entrava per primo e usciva per ultimo, ma la sua deambulazione diventava sempre più difficoltosa perché questo male penetrava lentamente in tutto l’organismo, interessando non solo le carni, ma anche i muscoli e i tendini, nervi e ossa. Per evidenziare questo aspetto di drammaticità, con la sua voce nasale e dietro a un fazzoletto di lino che copriva la parte inferiore del viso, era obbligato a urlare ai passanti: "Tamé! Tamé!" (Impuro! Impuro!), per evitare, così, che gli si avvicinassero (cfr. Lv 13, 45).

Con l’avanzare della malattia, progredisce anche la fede

Il lebbroso del Vangelo di oggi dovrebbe aver avuto una qualche forma di vita interiore, essendo abituato in un certo modo alla preghiera. Per questo, inginocchiandosi, manifesta, in fondo, la medesima fede e umiltà del centurione quando disse a Gesù: "Signore, io non sono degno!" (Mt 8,8). La scena ci fa anche ricordare la preghiera del pubblicano in contrapposizione a quella del fariseo, salito al Tempio per pregare. Nei tre casi, si tratta di una umiltà autentica, di cuore, poiché Dio non sopporta l’ipocrisia. Quante preghiere non avrà Dio rifiutato, nel corso dei secoli, a causa dell’orgoglio farisaico con cui furono realizzate!

Con il progredire della sua rovina fisica, progrediva anche la fede del lebbroso, al punto che, incontrandosi con Gesù, ha creduto nella Sua onnipotenza divina e nella Sua bontà infinita. Era sicuro che una semplice manifestazione della volontà del Salvatore fosse sufficiente per guarirlo.

Commenta bene San Beda quest’umiltà intrisa di fede:

"E per il fatto che il Signore disse: ‘Non sono venuto ad abolire la Legge, ma a portarla alla perfezione’ (Mt 5, 17), quello che, come lebbroso, era escluso dalla Legge, credendo di essere stato guarito dal potere di Dio, ha indicato che la grazia, che può lavare la macchia del lebbroso, non era nella Legge, ma al di sopra di questa. Ed in verità, così come si dichiara nel Signore l’autorità del potere, si dichiarava in lui la costanza della fede. E ponendosi in ginocchio, Gli disse: ‘se vuoi, puoi guarirmi’. Egli si inginocchia,cadendo col viso a terra, il che è segno di umiltà e vergogna, per chiunque provi vergogna delle colpe della sua vita. Questa vergogna, tuttavia, non impedisce la sua confessione: mostra la piaga e chiede il rimedio, e la propria confessione è piena di religione e di fede. ‘Se vuoi’, egli dice, ‘puoi’: ossia, ho posto il potere nella volontà del Signore. Non ha dubitato nella volontà di Dio come un empio, ma come chi sa quanto è indegno di questa, a causa delle macchie che lo abbruttiscono".5

Se siamo consapevoli delle nostre miserie, come il Pubblicano, dobbiamo anche riconoscere quanto il peccato sia la lebbra dell’anima. Se questa fosse tanto visibile come quella fisica, quanto più repellente sarebbe agli occhi di tutti! Tuttavia, niente è nascosto a Dio, ed è così che sono viste da Lui le anime di quelli che si trovano nel peccato.

Vedendo Gesù, il lebbroso "Gli andò incontro". Per la sua felicità, gli bastava approssimarsi al Salvatore. Dobbiamo a nostra volta desiderare che lo stesso accada a noi, ossia di non distogliere mai il nostro sguardo da Cristo.

Tenerezza, bontà e compassione del Divino Medico

"Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: ‘Lo voglio, guarisci!’. Subito la lebbra scomparve ed egli guarì"

La reazione di Gesù non fu di stupore, meno ancora di disprezzo o di orrore, ma di compassione. Così Si manifesta il Suo Sacro Cuore quando Gli presentiamo, con umile e vero pentimento, le nostre miserie.

Ancora più evidente diventa la Sua tenerezza e bontà verso il lebbroso, quando lo tocca. "Perché il Signore lo ha toccato, quando la Legge proibiva di toccare i lebbrosi?" — chiede Origene e si risponde: "Lo ha toccato per mostrare che ‘tutto è puro per i puri’ (Tt 1, 15), visto che la sozzura degli uni non aderisce ad altri, né l’immondizia altrui macchia gli immacolati. Lo ha toccato, inoltre, per dimostrare umiltà, per insegnarci a non disprezzare nessuno a causa delle ferite o macchie del corpo, che sono un’imitazione del Signore ed è stato per questo che Egli stesso lo ha fatto. […] Nel tendere la mano per toccarlo, la lebbra è scomparsa; la mano del Signore non ha trovato la lebbra, ma ha toccato un corpo già guarito. Consideriamo noi adesso, carissimi fratelli, che non si trovi nella nostra anima la lebbra di un alcun peccato, che non tratteniamo nel nostro cuore nessuna contaminazione di colpa e se ce l’abbiamo, adoriamo immediatamente il Signore e Gli diciamo: ‘Se vuoi, puoi guarirmi’".6

Sullo stesso tenore, commenta San Giovanni Crisostomo: "E il Signore non Si è accontentato di dire: ‘Voglio, sei guarito’, ma ha steso la sua mano e ha toccato il lebbroso. Questo è molto degno di considerazione. Infatti, potendo guarirlo con la sua semplice volontà e parola, perché aggiunge il contatto con la mano? Secondo me solamente perché ha voluto dimostrare anche qui che egli non era soggetto alla Legge e che da quel momento, ‘per chi è puro tutto avrebbe dovuto essere puro’ (Tt 1, 15) […] Gesù dà ad intendere che Egli non guarisce come servo ma come Signore e non trova sconveniente toccare il lebbroso. Infatti non è stata la sua mano che si è macchiata con la lebbra, ma il corpo del lebbroso che è diventato pulito al contatto con la mano divina".7

Diventa chiaro, da questo versetto, come da parte di Gesù ci sia sempre l’onnipotenza divina desiderosa di salvarci, purché non frapponiamo un ostacolo. Per questo se, opponendoGli resistenza, non approfittiamo delle liberali disposizioni del nostro Redentore per guarirci dalla nostra "lebbra" e santificarci, saremo noi, e unicamente noi, i colpevoli.

Il carattere istantaneo della guarigione dimostra il potere assoluto della Sua volontà e ci porta a supporre che l’ex-lebbroso sia diventato più bello nel suo aspetto generale di come era prima di contrarre la malattia. Questo avvenimento ci riempie di fiducia, poiché anche noi possiamo ottenere la guarigione del nostro orgoglio e di tanti altri difetti, se con ardore, umiltà e perseveranza andiamo incontro a Nostro Signore Gesù Cristo, implorandoLo di aver compassione di noi.

Per questo, non dobbiamo mai disperarci per la guarigione delle nostre miserie spirituali, per quanto negative possano essere. Esse non potranno mai oltrepassare l’infinito potere di Dio, a Cui sempre basterà un semplice atto di volontà. Quanto più insolubili sembreranno essere le nostre crisi, più rutilante sarà la gloria del Divino Medico. Se a Lui ricorriamo, troveremo tenerezza, bontà e compassione.

Gesù completa l’opera mandando ai sacerdoti la prova

"E, ammonendolo severamente, lo rimandò e gli disse: ‘Guarda di non dir niente a nessuno, ma và, presentati al sacerdote, e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha ordinato, a testimonianza per loro’".

La carità possiede anche un certo santo pudore, simile a quello della virtù della castità, per questo cerca di velarsi agli occhi altrui. A questo proposito, commenta San Giovanni Crisostomo: "In questo modo [Gesù] ci insegna a non cercare, come retribuzione per le nostre opere, onori umani […] Il Salvatore lo invia al sacerdote per una prova della guarigione, e perché egli non debba rimanere fuori del Tempio, ma possa pregare a lui insieme agli altri. Lo ha inviato anche per compiere il precetto della Legge, e per placare la maldicenza dei giudei. Così, infatti, ha completato l’opera mandandogli la prova della sua realizzazione".8

Questi versetti ci mostrano il grande impegno di Gesù a che la Legge fosse osservata. Il miracolato voleva seguire Nostro Signore e non abbandonarLo più, ma Egli gli parla in tono severo e minaccioso, obbligandolo a presentarsi al sacerdote prima di ogni altra cosa. Una volta ottenuta una guarigione così brillante e da una malattia che avrebbe condotto alla morte, era comprensibile che il beneficiato non volesse allontanarsi, anche se era per compiere qualche prescrizione legale, ma Gesù non desiderava scandalizzare nessuno, e per questo evitava di causare l’impressione che le sue azioni fossero contrarie alle prescrizioni di Mosè.

Ora, la Legge disponeva che in questo caso il miracolato avrebbe dovuto offrire tre sacrifici: uno di colpevolezza, un altro di espiazione e un terzo di olocausto (cfr. Lv 14, 10-13). I ricchi offrivano agnelli e i poveri uccelli. Questi provvedimenti dovevano essere assolti con urgenza; oltre tutto, nel caso concreto, era apostolico verso coloro che servivano nel Tempio, il fatto di essere subito messi a conoscenza del miracolo, che, una volta constatato, veniva ufficializzato reintroducendo l’ex-lebbroso nella società. Di nulla avrebbero potuto accusare il vero Messia, nel caso fossero stati attaccati dalla solita invidia. Ecco il motivo della severità con cui il Divino Maestro Si rivolge al miracolato: "E lo minacciò e lo invitò subito a allontanarsi…".

Anche per quanto riguarda la necessità imposta dalla Legge di presentarsi al sacerdote, possiamo leggervi una certa approssimazione con l’obbligatorietà di cercare la Confessione, quando qualcuno è toccato dalla lebbra del peccato. Si deve, comunque, sottolineare l’enorme superiorità del sacramento della Riconciliazione sull’antico rito, poiché ristabilisce l’amicizia dell’anima con Dio e con se stessa, obbliga alla restituzione dei beni quando male ottenuti, costringe l’uomo a conoscersi meglio, ecc. Quanto ai due sacerdoti, vi sono anche enormi differenze. Nell’Antica Legge, il sacerdote constatava e registrava solamente la guarigione corporale. Nel Nuovo Testamento, il Prete non solo constata la guarigione, ma si fa strumento per Gesù affinché Egli realmente la operi.

Il Divino Maestro se ne stava nei luoghi deserti

"Ma quegli, allontanatosi, cominciò a proclamare e a divulgare il fatto, al punto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma se ne stava fuori, in luoghi deserti, e venivano a lui da ogni parte".

Per quanto il commosso miracolato potesse aver approvato la severità del Signore, questa non riuscì a frenare l’esuberanza della sua gioia. Egli uscì a proclamare dappertutto la meraviglia di cui era stato oggetto da parte del Salvatore.

Per questo, non fu più possibile a Gesù mostrarsi nelle città. Si vide nella situazione di ritirarSi nei campi deserti, lontano dalle genti che Lo acclamavano non appena Lo incontravano. Dovette, in questo modo, abbandonare, per un certo tempo, il Suo intenso apostolato, dedicandoSi tuttavia alla pura contemplazione tanto amata da Lui. Questa contemplazione, come sappiamo, è causa dei buoni frutti dell’azione, come commenta San Beda: "Dopo aver fatto il miracolo nella città, il Signore si ritira nel deserto, per manifestare che preferisce la vita tranquilla e separata dalle preoccupazioni del secolo, e che per questa preferenza Si consacra con dedizione a sanare i corpi".9

III – Considerazioni finali

Siamo concepiti e nasciamo sotto le stigma del peccato originale; col peccato ci trasformiamo in nemici di Dio.

 

10 Se la lebbra fisica abbruttisce il corpo, quella dell’anima — il peccato — la rende orribile agli occhi di Dio, degli Angeli e dei Beati. Questa "lebbra" dell’anima porta a conseguenze persino per il corpo, poiché, come dice Nostro Signore, "il peccatore diventa schiavo del peccato" (Gv 8, 34), pregiudicando, così, persino la sua salute fisica.

Effetti della lebbra del corpo e della "lebbra" dell’anima

Se da un lato il lebbroso diventa un paria della società, condannato all’isolamento e all’abbandono, d’altro lato, il peccato non solo fa perdere la possibilità che la Santissima Trinità dimori nell’anima del peccatore, ma anche lo esclude dalla società degli eletti e dei santi.

Oltre a questo, la "lebbra" dell’anima è più contagiosa di quella fisica. La propagazione della prima si fa perfino a distanza, con parole, conversazioni, pensieri, scandali, cattivi esempi, influenza, maldicenza, ecc., e molte volte in un modo tale che non si riesce a porre rimedio ai mali provenienti dalla sua diffusione.

Non dobbiamo neppure dimenticare che coloro che soffrono di questa infermità fisica comunicando tra loro, o perfino con i sani, non accrescono la propria disgrazia. Non avviene la stessa cosa con la "lebbra" del peccato: essendo causa del contagio, aumentiamo la nostra colpa.

Per quanto la lebbra conduca a miserevoli condizioni che, senza trattamento, terminano solo con la morte, il peccato è peggiore, poiché strappa dall’anima la pace di coscienza, rende amara la vita e prepara la morte eterna.

Consideriamo anche la grande superiorità dell’anima sul corpo. Essa è creata ad immagine della Santissima Trinità e, in quanto capolavoro delle mani di Dio, porta su di sé l’infinito prezzo del preziosissimo Sangue del Signore Gesù. Per questo, i mali dell’anima sono sempre più gravi di quelli del corpo. Essendo fisici i segni del male di Hansen, sono facili da riconoscere per la vittima. In senso contrario, il peccatore, quanto più avanza nelle tortuose vie del peccato, meno si rende conto dell’abisso nel quale rotola. In questa prospettiva, come potrà mai ottenere la guarigione?

Terribile è anche considerare che le sofferenze del lebbroso abbandonato alla propria sorte terminano con la sua morte e, se le ha accettate con rassegnazione e amore verso Dio, aprirà i suoi occhi per l’eternità felice. Quelli del peccatore non solo si perpetuano nell’eternità, ma diventano anche incomparabilmente più atroci dopo la morte.

Non lasciamo passare un giorno senza ricevere Gesù Eucaristico

E come guarire la "lebbra" del peccato?

Molte sono le vie che conducono alla guarigione totale, cioè, alla santità piena. Ce n’è una, tuttavia, che le supera tutte, e questa ci viene indicata dal Vangelo di oggi, quando afferma che il lebbroso "è andato da Lui…", ossia, è andato in cerca di Gesù.

Non si tratta di aspettare che Gesù vada dal peccatore; è necessario che costui vada in cerca di Gesù, e quanto più avanzato sarà lo stato della sua "lebbra", più fiducia dovrà avere di essere ben ricevuto da Lui. Mai deve permettere qualsiasi briciola di scoraggiamento o, peggio ancora, di sfiducia.

E dove incontrarLo?

Gesù non sta dentro di noi di passaggio, come è avvenuto nella vita del lebbroso del Vangelo, ma in forma permanente: "Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28, 20). Sì! Cristo si incontra costantemente nell’Eucarestia in Corpo, Sangue, Anima e Divinità. Sarà nella Comunione frequente — meglio ancora se quotidiana — che Lui andrà assumendo interiormente quelli che nella sua grazia Lo ricevono, per renderli così sempre più simili alla Sua santità.

Quelle divine e sacre mani, le cui carezze incantavano i piccini, guarivano gli infermi al suo avvicinarsi; quelle stesse mani onnipotenti che calmavano i venti e i mari, restituivano la vita ai cadaveri e perdonavano i peccati, saranno all’interno di chi riceverà Gesù nella Comunione Eucaristica, per santificarlo.

Conviene tantissimo accettare l’invito che la Chiesa fa a tutti i battezzati di non lasciar passare un solo giorno senza ricevere Gesù Eucaristico; ma la Sua azione sarà ancora più efficace nelle anime che lo faranno per mezzo di Colei che Lo ha portato all’Incarnazione: Sua e nostra Madre, Maria Santissima. 

 

1 Cfr. Summa Teologica, I, q. 25, a. 2 e 3.

2 Cfr. Summa Teologica, III, q. 13, a. 1, ad 1.

3 Cfr. Summa Teologica, III, q. 13, a. 1c e 2c.

4 Cfr. Summa Teologica, III, q. 43, a. 1 resp.

5 Apud d’AQUINO, San Tommaso, Catena Aurea

6 ORIGENES, Commentarium in evangelium Matthæi, 2, 2-3.

7 CHRYSOSTOMI, Joannis. Homiliæ in Matthæum, 25, 2 (PG 57, 329).

8 Apud d’AQUINO, San Tommaso, Catena Aurea.

9 Apud d’AQUINO, San Tommaso, Catena Aurea.

10 Cf. DENZINGER-HÜNERMANN, 1528.