Vescovi coraggiosi. S. Francisco, Mons. Cordileone: scandali e (nostra) conversione

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Di fronte agli scandali omosessuali e all’omo-eresia nella Chiesa due posizioni vanno per la maggiore: “godere” o sostenere che “i panni vanno lavati in casa”.
Sono entrambe posizioni molto umane, ma in questo particolare frangente utili solo ad allontanare il male da sé.
Al contrario i vescovi americani sostengono i propri fedeli chiedendo giustizia e domandano loro conversione, perché «Dio sta cominciando questo doloroso processo di purificazione per noi».

E’ bene che emergano gli scandali,
per la nostra conversione

Alcuni vescovi americani, fra cui il presidente della Conferenza episcopale Usa, il cardinal Daniel Nicholas Di Nardo e Monsignor Thomas J. Olmsted, vescovo di Phoenix, che hanno desiderato innanzitutto sostenere i propri fedeli sia chiedendo che giustizia continui ad essere fatta, sia scrivendo ai fedeli stessi, domandando la loro conversione e ricordando che “le porte degli inferi non prevarranno”.

È solo la fede che ha portato anche l’arcivescovo di San Franciso, Salvatore Cordileone, a guardare a quanto sta avvenendo in maniera escatologica, ossia dalla prospettiva di Dio e quindi riempiendo il dramma di speranza.

Perciò, rispetto al rapporto di monsignor Viganò, che concerne alti prelati, Cordileone ha domandato che siano verificate, «altrimenti continuerà la cultura della negazione e dell’insabbiamento. Naturalmente…dovrà essere condotta un’indagine formale che sia completa e obiettiva».
Dall’altra parte ha confortato il gregge così: «Credo che Dio stia cominciando questo doloroso processo di purificazione per noi ora, ma affinché funzioni, dobbiamo cooperare… Invito tutti noi a dedicarci di nuovo alla preghiera, alla penitenza e all’adorazione del Santissimo Sacramento».
Cordileone non ha allontanato il male da sé accusando e non ne ha nemmeno avuto terrore smentendolo prima del tempo, ma lo ha guardato come possibile occasione di redenzione.

Per lo stesso motivo è importante soffermarsi sulla natura di quanto accaduto. La Chiesa ha più difficilmente insabbiato gli episodi di pedofilia vera e propria (ricordiamo che sono stati denunciati sia dal cardinal O’Malley, sia da Papa Francesco che in seguito ad uno di questi ha tolto la porpora a McCarrick), ma ha spesso chiuso gli occhi su quelli sodomiti (come san Paolo definiva coloro che compiono atti omoerotici) che avvenivano nei seminari su adolescenti o giovani già maggiorenni.

Il rapporto del Grand Jury della Pennsylvania conta 301 sacerdoti che dagli anni ’40 hanno abusato di oltre mille persone in «un sistema di copertura che arrivava fino in Vaticano». Il rapporto però sottolinea che quando papa Benedetto XVI ne ha avuto la possibilità ha cercato di opporsi, tanto che si parla di un sistema interno «cambiato negli ultimi 15 anni», ma poco hanno potuto fare perché «i singoli leader della Chiesa si sono ampiamente sottratti a rispondere pubblicamente delle loro responsabilità» e «gli uomini di Chiesa che erano responsabili (dei preti omosessuali, ndr) non solo non hanno fatto nulla, ma hanno nascosto…monsignori, vescovi ausiliari, vescovi, arcivescovi, cardinali sono stati protetti, molti…sono stati promossi».

La tolleranza dunque era più facilmente verso la sodomia che verso la pedofilia. Tanto che anche oggi sui giornali alcuni difensori della Chiesa sostengono che la giustizia non avrebbe dovuto agire, che si tratta di peccati e non di reati, che il peccato sessuale fa parte del limite umano, ma è esattamente questa la posizione di coloro che sapevano e che hanno coperto i responsabili.
Anche questo atteggiamento nasce dalla tentazione di allontanare il male da sé minimizzandolo, ma di fatto arrendendosi ad esso.
Non a caso, dopo cinquant’anni di tolleranza, la Chiesa è invasa da una lobby di sodomiti che la conduce e che non solo ha accolto come inevitabili le abominevoli leggi del mondo su matrimoni scimmiottati e adozioni di persone dello stesso sesso, ma che ora ospita fra le mura petrine personaggi come il gesuita James Martin, consultore della Comunicazione vaticana, che predica in tutte le salse la bontà di quello che la Chiesa aveva fin dalle origini giudicato un abominio agli occhi di Dio.

Certo siamo tutti peccatori, ma la Chiesa non giustifica il nostro peccato, perché accettare il proprio male e le cadute non significa arrendersi alla loro esistenza, ma guardarli per combatterli chiedendo continuamente perdono e la grazia di Dio.
Allo stesso modo occorre agire contro il male interno alla Chiesa, riacquisendo il senso della lotta cristiana. E dato che i panni non si sono riusciti a lavare in casa (tanto che oggi emanano un fetore insopportabile perché vecchio mezzo secolo) occorre lasciare che emerga quanto necessario per la purificazione.
Era meglio prevenire il male prima che fuoriuscisse dalla ferita? Di certo, ma ora che il bubbone pieno di pus si è aperto è meglio che esca tutto anche se fa male, perché a questo punto sarebbe molto peggio suturare la ferita lasciandola incancrenire.

Si dice che tutto ciò ha scandalizzato ulteriormente i piccoli e i fedeli. È vero e probabilmente la Chiesa perderà, insieme a noi, sempre più credibilità e noi con lei saremo fatti oggetto d’odio maggiore perché siamo un corpo e la colpa dei fratelli ricade su tutti. Certo il silenzio ci avrebbe evitato tutto ciò e ci avrebbe evitato di affrontare tutto questo male necessario però a capire che siamo chiamati a convertirci da chiesa attivista, fatta di sociologia e strategie umane, per cui un po’ di peccato interno è giustificabile, ad una fiducia totale nell’azione di Dio che può purificarci e che continuerà a condurre la sua Chiesa.

Infatti, se quanto rivelato da Viganò fosse tutto vero, prima di accusarlo per l’uscita pubblica, bisognerebbe almeno mettersi nei suoi panni e farsi una domanda, non strategica, non politica (come: quanti fedeli si allontaneranno?…quanto male farà all’immagine della Chiesa? …quanto a quella di Pietro?) ma morale: se io al suo posto avessi saputo quanto lui ha raccontato e avessi per anni cercato di agire all’interno della Chiesa, come lui ha assicurato di aver provato a fare senza riuscirci, e avessi come unica e ultima possibilità per fermare lo scempio metterlo sotto la luce del sole, che dovrei fare?

Tacere per non scandalizzare? E quelle centinaia di giovani che entrano in seminario e vengono tutt’oggi traviati (non siamo ingenui l’omosessualità non è cosa del passato)? E le vittime degli abusi? Il punto non può essere una strategia, un calcolo, un mero sentimento di dolore per “casa propria”, il punto è agire rettamente secondo la responsabilità data a ciascuno per difendere il bene e la verità.

Perciò se davvero si è arrivati al punto per cui l’unico modo per fermare un male tollerato da una lobby di comando potentissima è quello di denunciarlo all’esterno, bisogna farlo. Perché come ripeteva il cardinal Caffarra a noi non è chiesto di fare giustizia, ma di agire con giustizia, ossia di non pensare ai modi in cui salvare il mondo e la Chiesa con le nostre forze e i nostri calcoli, ma di agire rettamente. Il resto sono conseguenze a cui penserà il Signore.

Ecco perché nel 2010 papa Benedetto XVI, inascoltato perché solo, insieme al riconoscimento del peccato, chiese un anno di penitenze, conversione e richiesta di perdono ai membri della Chiesa d’Irlanda.
Questa la via per salvarci: domandare a coloro che possono agire nella Chiesa di farlo senza paura; convertirci, accettando la persecuzione e le ingiurie esterne come penitenza (anche perché nuove indagini sono già state avviate in altri Stati americani), pregando e perdonando.
Perché il risentimento è come il veleno, mentre il perdono non giustifica il male né cambia il passato, ma muta il futuro facendo rivivere la pace nei cuori e quindi nella Chiesa.

Benedetta Frigerio, per http://www.lanuovabq.it/it/e-bene-che-emergano-gli-scandali-per-la-nostra-conversione

 

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