Giusto

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Giovanni Donna d’Oldenico, Giusto, Marietti 1820, Genova-Milano 2006, pp. 155, € 15,00, ISBN 88-211-5602-8

Questo è il secondo romanzo del dottor Donna d’Oldenico, dopo il meraviglioso Polvere.
E’ dedicato ad un personaggio spesso trascurato dalla pubblicistica cattolica: san Giuseppe. Sta morendo, e la Dolce Vergine sua sposa affronta un viaggio – pieno di pericoli e di sorprese – per cercare Gesù, loro figlio, e condurlo al capezzale del padre.
Nel corso di questo viaggio Maria incontra personaggi che ritroveremo – descritti nel Vangelo – accanto a Gesù, nelle sue ultime ore.
Giuseppe, intanto, è accudito dalla cognata, alla quale racconta la fuga in Egitto; il suo “Sì”, che ha accompagnato quello di Maria nella storia della salvezza del mondo; lo sconcerto che ha provato di fronte alle parole del figlio “Devo occuparmi delle cose del padre mio”…
Ma è presente anche un’altra figura.
Una “donna vestita di grigio, fredda, pallida”, che chiede insistentemente e rabbiosamente a Giuseppe: “Chi è tuo figlio?”.
Attraverso l’originale stile dell’autore, e le numerose sorprese che il racconto dell’uomo morente ci rivela, il lettore impara a conoscere quell’uomo al quale il nostro Salvatore fu affidato: un uomo silenzioso, paziente, obbediente, attivo. In una parola: giusto. Con il consenso dell’autore e dell’editore pubblichiamo il capitolo 19.

Capitolo 19

Non temere!
Parole importanti, per lui, piene com’erano della memoria e della consolazione di una grande obbedienza, richiestagli da Dio quando quella voce sfolgorante, che gli avrebbe poi ordinato di prendere con sé il bambino, sua madre e fuggire in piena notte, gli era apparsa in sogno la prima volta.
Non temere: un comando insieme al quale aveva ricevuto la certezza necessaria per acconsentire, pur restando libero di rifiutare e invecchiare nel diniego. Anche se si trattava di dover un’altra volta sconvolgere i piani, aveva risposto sì. Lo aveva fatto secondo il suo solito: agendo.
“Non temere di prendere con te tua moglie”: questo gli era stato detto.
Era andata così.
Il desiderio della sua promessa sposa di essere tutta di Dio insieme a lui, era presto divenuto anche suo: essere tutto di Dio insieme a lei. Quindi era pronto a concludere le nozze per vivere uniti, felici di un destino tanto improbabile quanto, alla fine, attraente.
Poi era arrivata una novità immensa: un angelo, apparso a sua moglie, l’alba di un giorno qualunque, ad annunciarle cosa da lei l’Onnipotente desiderava. Era corsa a riferirglielo, andando a svegliarlo a casa: “Ha parlato al futuro: concepirai, mi ha detto. Non: hai concepito. E neppure: concepisci. Gli ho detto sì, sapendo di impegnarmi anche per te. Avresti risposto no a Dio, tu?”
No. Nulla lui avrebbe negato a Dio, questo era certo. Meno che mai davanti a una richiesta giunta con tanta personale esplicitezza. Anche per questo, mentre la ascoltava facendosi ripetere tutto daccapo, lo stupore iniziale diventava inquietudine. Smisurata. E di colpo tenebre. Un abisso vertiginoso. Insieme a una riverenza attonita: chi era quella donna, talmente grande, che Dio le domandava di diventare madre di sé, quasi aspettandone il permesso?
L’Onnipotente chiedeva.
Come se l’Eternità sostasse silenziosa davanti a lei, sospesa al suo consenso.
E quale era stata l’emozione dell’Eterno nell’attesa di quel sì? Che era giunto in un istante. Ma quanto dura l’istante di Colui che abita fuori dal tempo, che già sa la risposta, ma ancora non l’ha udita?
E poi: perché?
Come avrebbe potuto lui, semplice uomo… Mai sarebbe stato all’altezza di un mistero tanto grande. Se l’Eterno aveva riservato lei per Sé, a lui non restava che farsi da parte.
Ecco questo gli toccava: ritirarsi. Compito duro. Ne andava anche dell’onore: essendo a tutti nota la virtù di lei, nel villaggio avrebbero letto quel congedarla come segno evidente dello squilibrio di un uomo impreparato: “Ma come! Se non si sentiva di far famiglia avrebbe potuto pensarci prima degli sponsali!” “Povera donna!” “Speriamo almeno che lui riconosca il figlio.”
Riconoscerlo!
Udirlo con le orecchie.
Vederlo con gli occhi.
Toccarlo con le mani.
Contemplare Dio come figlio.
Impossibile!
Trascorrevano i giorni e nulla egli faceva trapelare del suo tormento, acuito dalla sproporzione che percepiva tra sé e quanto accadeva.
Ma più sbigottiva per la lontananza inarrivabile in cui l’evento pareva aver collocato sua moglie, più il pensiero del distacco da lei cresceva doloroso. Opprimente. Ciò nonostante, la sua convinzione era diventata solida: Dio gli chiedeva proprio questo; strapparsi al suo amore; rinunciare a quanto già si era impegnato ad accogliere, cioè diventare suo sposo senza possederla, secondo quanto aveva inteso essere, per quanto ben lontana dal suo desiderio iniziale, la volontà di Dio. Che, invece, aveva frainteso.
Era sgomento.
Quasi che Dio l’avesse lasciato solo.
Quindi non faceva che pregare.
In tanto dramma, sacrificare il proprio onore finiva per diventare un dettaglio trascurabile: per questo aveva deciso di licenziarla dicendole di non essere in grado di sostenere quotidianamente l’Infinito.
Ma quando congedarla?
Ai primi segni di gravidanza?
Subito?
Quando sarebbe successo ciò che l’angelo aveva annunciato?
Un po’ si augurava che fosse il più tardi possibile, per rimanere con lei ancora. A tratti invece sperava avvenisse presto, per non affezionarsi senza rimedio.
E anche se in qualche modo avvertiva di esserle legato per sempre, si era fatto certo che una donna tanto grande mai avrebbe potuto essere per lui.
Che sia quando Dio vuole, allora. Anzi: in fretta, perché come tanti e più di tanti, sperava l’avverarsi delle profezie. E proprio la più attesa, l’inizio di tutto, era sul punto di prendere forma dentro quel sì alle parole dell’angelo.
Se così era, che tutto avvenisse velocemente.
Se così era.
E se così non fosse stato?
Lo stordimento dell’attesa lo sospingeva, dapprima a tratti, poi con insistente continuità, dentro una considerazione a prima vista logica, piena di buon senso, quasi doverosa, che invece altro non era che l’estremo espediente per lenire il dolore negando la realtà: il pensiero che l’apparizione dell’angelo fosse stata solamente l’illusione di una giovane devota. Pensarlo era una tentazione tremenda, perché dentro la sottile dolcezza della buccia – così infatti il suo problema si sarebbe dissolto – celava una polpa amarissima: negare a Dio una possibilità, per ostinarsi a sperare la propria soddisfazione contro la speranza di tutti, annunciata da secoli.
Dall’affondare in questa tentazione, dopo averla percorsa sino in fondo, era stato salvato all’ultimo da una consapevolezza sopraggiunta una sera tardi, mentre, stanco, terminava di riquadrare l’architrave di una porta.
Non si era trattato di un’allucinazione di sua moglie.
E il modo in cui aveva deciso di regolarsi non era quanto Dio voleva da lui: ben altro gli chiedeva.
Lo chiamava a trasfigurare lo sconforto.
A trapassare sé.
Ecco! Quella notte era andato a dormire certo che il Creatore aspettasse da lui una cosa precisa: vincere per primo e per sempre il corteo dell’umano scetticismo, quella processione affollata e desolante d’increduli, pensosi o gaudenti, vani e supponenti, sventatamente in marcia dalla propria superbia alla morte.
Dio voleva da lui un sì.
Un sì che fosse l’architrave della soglia attraverso cui il Mistero premeva per entrare nella storia.
Non gli chiedeva di consentire al suo prendere carne, ma di accogliere l’incarnazione affermandone, con il suo sì, la possibilità.
Urgeva la risposta.
Non poteva far aspettare il Salvatore.
Ma allora ripudiare la sua donna, era il modo giusto per pronunciare questo sì? La spossatezza della giornata, lavoro duro, al caldo, aveva affondato il dilemma nel sonno.
Si era addormentato subito.
E lì, nel profondo della notte, attesa e inaspettata era giunta la risposta; quella voce sfolgorante: “Non temere.”
Si era destato di colpo, seduto sulla stuoia, agitando le braccia come per afferrare le parole nella notte oscura.
Accanto, solo un garzone addormentato.
Eppure la visione era viva, verace, verissima.
La sua piccolezza davanti all’Infinito rimaneva intera, con tutta l’invalicabile distanza tra chi una volta era nulla e chi continuamente crea. Tra sé e Dio. Una distanza che lui, uomo, mai avrebbe potuto colmare. Ma Dio sì. E aveva deciso di farlo.
Adesso non contava più alcun sentimento di sé.
Solo affermare l’Altro.
Sì, allora.
Sì.
Senza alcuna riserva.
Presa questa risoluzione, si era riaddormentato in pace, il timore rasserenato, trasformato in una quiete stupita.
Aveva trascorso tutto il tempo dell’incertezza in un villaggio vicino, a terminare un’opera che gli era stata sollecitata con opportuna urgenza.
Al suo ritorno la certezza: tutto era cominciato.
La parola annunciata stava accadendo.
Adesso.
L’Altissimo aveva preso carne e albergava nel ventre della sua donna.
Doveva fare i conti con la paura della grandezza, la paura della bellezza, la paura della felicità.
Non temere.