Utilizzo sempre un segnalibro che la Casa Editrice Fede & Cultura aveva fatto stampare subito dopo la prematura scomparsa di Mario Palmaro, dove è raffigurata la copertina del libro “Mario Palmaro. Il buon seme fiorirà”, curato dal suo amico d’anima Alessandro Gnocchi.
Questo segnalibro è prezioso perché mi ricorda il regalo di aver conosciuto un uomo di profonda fede, di grandi capacità professionali e di saggia capacità nel tenere in equilibrio i rapporti umani, senza mai cedere nel difendere principi, verità, giustizia religiosa e civile.
Aveva molti amici e persone che lo stimavano. Anche mio marito Carlo ed io abbiamo potuto godere della sua amicizia, divenuta fondamentale nello scendere in campo per combattere gli stessi ideali: fidarsi reciprocamente permette di lottare con serenità e speranza, confidando che i tuoi obiettivi sono gli stessi dell’amico.
Ma quel segnalibro è anche una presenza spirituale, assai confortante nella battaglia culturale che si prosegue senza sosta, perché, come egli stesso aveva detto: «quando ci accorgiamo che non avremo abbastanza tempo per adempiere al nostro compito, perché il termine di questa vita si avvicina a grandi passi. Altri però continueranno il lavoro iniziato. E non taceranno».
No, continuiamo a non tacere, Carissimo Mario, perché non ci sono migliaia di verità, ma una sola – rivelata 2000 anni fa – e per quella si vive e per quella si è disposti a gridare, anche nel deserto, proprio come fece san Giovanni Battista, perché quel grido noi, che abbiamo la grazia di aver ricevuto il dono della fede (vero e proprio privilegio celeste), benché non raccolto dal mondo […].
Il 22 maggio di 40 anni fa veniva approvata la legge stragista sull’aborto in Italia, che tante infamie e tanti delitti ha causato agli innocenti: 6 milioni di vittime assassinate nel proprio grembo!
Il tuo libro, Carissimo Mario, quello che hai dedicato a tua moglie Annamaria, fu un capolavoro: Aborto & 194. Fenomenologia di una legge ingiusta (Sugarco Edizioni, 2008), una legge che permette alla donna di mettere a morte suo figlio senza spendere un soldo, ma con il prezzo incalcolabile di macchiare la propria anima di un crimine atroce.
Nel prologo hai scritto che l’uomo «può essere “santo o bandito”. Ma poi, alla fine, contano i fatti. E il fatto rimane sempre quello, inesorabilmente. Perché non c’è nulla di più ostinato dei fatti: con l’aborto si uccide».
Questa concreta e raccapricciante realtà la spiegavi con competenza e la spiegavi con il cuore, la illustravi dalla cattedra della tua docenza oppure nelle conferenze o nei tuoi libri e articoli, e persino in piazza, alla Marcia per la vita.
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