(CorSera) Il terrorismo va battuto sul piano morale

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UNA CHIESA SENZA INCERTEZZE


Il Papa e il dovere morale di battere il terrore


di Angelo Panebianco

Nel messaggio di Pasqua Giovanni Paolo II ha invitato gli uomini a fare fronte «in modo solidale» contro la più grave minaccia, il terrorismo «disumano e dilagante». Ha poi chiesto un rilancio delle istituzioni internazionali per la risoluzione dei conflitti e si è appellato ai discendenti di Abramo (cristiani, ebrei, musulmani) perché facciano prevalere, nei rapporti reciproci, le ragioni della concordia. Tante altre volte il Papa aveva levato la sua voce contro il terrorismo ma non può sfuggire il grandissimo rilievo del messaggio di domenica. Il nuovo appello contro il terrorismo cade infatti nella fase forse più drammatica del conflitto in Iraq, come testimonia il sequestro di ostaggi anche italiani. La Chiesa, per bocca del Pontefice, ribadisce di essere schierata senza incertezze dalla parte dei popoli minacciati dal terrorismo, per il quale, inoltre, essa non ammette nessuna delle attenuanti che tanti altri, anche qui da noi in Europa, sono soliti avanzare. Contemporaneamente, ribadisce la sua richiesta per una azione che sia solidale («multilaterale», si direbbe nel linguaggio politico). Sembrano essere tre gli interlocutori a cui il Papa si rivolge. Il primo, naturalmente, è il mondo della cristianità. Di esso fanno parte anche coloro – una minoranza, certo, ma assai visibile – che vuoi perché accecati da un eccesso di ostilità per gli Stati Uniti, vuoi perché influenzati da una visione troppo radicale del pacifismo, sembrano non avere capito che il terrorismo è oggi il primo vero grande nemico di tutti. A costoro il Papa implicitamente ricorda, con il suo appello al ruolo delle istituzioni internazionali, che se è lecito chiedere una più attiva presenza dell’Onu nel conflitto iracheno, non è lecito scappare, darla vinta ai terroristi. Il secondo interlocutore è composto dai governi, a cominciare da quello statunitense. Il Papa dice che la Chiesa sta con chi combatte il terrorismo, ma vuole che la minaccia venga fronteggiata mediante la cooperazione fra gli Stati. Il terzo interlocutore sono i leader religiosi dell’Islam moderato, a cui il Papa chiede di operare per sottrarre le masse musulmane al fascino esercitato dal terrorismo islamico.


Nell’Europa secolarizzata si tende spesso a dimenticare che contro una forte minoranza fanatica che usa le bombe e che fa uso politico della religione né la forza economica né quella militare dell’Occidente potranno molto se disgiunte dall’autorità morale delle Chiese cristiane. Non si può sconfiggere il terrorismo solo sul piano militare e politico. Occorre batterlo anche sul piano morale.


Tra la Chiesa di Roma e le potenze occidentali, Stati Uniti in testa, ci sono state molte incomprensioni (come nel caso della guerra in Iraq). Ciò non dipende solo dal diverso ruolo della Chiesa e degli Stati. Dipende anche dal fatto che la Chiesa, nel suo rapporto con l’Islam, è letteralmente Chiesa di frontiera. I cristiani, i loro sacerdoti, le loro chiese, sono oggetto di continue sanguinose aggressioni in Africa, in Asia, in tutti i luoghi in cui le minoranze cristiane devono fronteggiare il fanatismo islamico. Scongiurare lo «scontro di civiltà» è un imperativo per la Chiesa. Ma lo è per tutti noi occidentali. Nella scelta dei mezzi i governi possono sbagliare. E, comunque, non sempre i mezzi scelti sono approvati dalla Chiesa. Ma il fine è comune: debellare il terrorismo, portare il mondo musulmano verso un approdo di pace, di libertà, di tolleranza. Senza l’alleanza della Chiesa, con la sua «intelligenza» del mondo islamico, non si va da nessuna parte. I governi occidentali forse non ne sono consapevoli. Come spiegare altrimenti il fatto che essi facciano così poco per aiutare la Chiesa a proteggere i tanti cristiani oggi perseguitati?



Corriere della sera 14/04/2004 Commenti