L’Europa di Benedetto nella crisi della Cultura

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Joseph Ratzinger, L’Europa di Benedetto nella crisi della Cultura, con introduzione di Marcello Pera, Cantagalli, Via Massetana Romana 12, C.P.155, Siena, (http://www.edizionicantagalli.com/ ), 2005, pp.143, €.8,80

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Il libro, uscito nel maggio 2005, raccoglie tre conferenze tenute dal card. Ratzinger in epoca di poco precedente il conclave da cui è uscito papa: l’ultima –tenuta presso l’abbazia benedettina di Subiaco- data addirittura del giorno precedente la morte di Giovanni Paolo II. Quanto poi alla scelta del titolo che le racchiude, crediamo che essa sia duplice. Da un lato infatti, l’autore, una volta salito al soglio pontificio, ha assunto il nome di Benedetto e, dall’altro, il tema delle radici cristiane dell’Europa (intorno al quale ruota la gran parte dell’opera), poggiano in gran parte sull’opera di san Benedetto da Norcia e dei suoi monaci. 
Significativa è poi stata la scelta di affidare l’introduzione del libro al presidente del Senato Marcello Pera con il quale, appena pochi mesi prima, Ratzinger aveva pubblicato Senza radici (ed. Mondadori). Se, infatti, in quell’occasione, il dialogo tra un cardinale ed un’alta carica dello stato italiano poteva apparire normale, altrettanto non lo era invece la scelta di un non credente dichiarato per introdurre una raccolta di saggi del Successore di Pietro.
Non dunque è difficile leggere nel gesto la precisa volontà di Ratzinger di continuare ed, anzi, rafforzare con il prestigio che gli deriva dal nuovo ruolo rivestito, quel dialogo coltivato negli ultimi anni con quel settore -numericamente ridotto ma qualitativamente non trascurabile- del mondo culturale non cattolico che, in ripetute occasioni (da ultimo: il referendum sulla procreazione assistita del 12.6.2005), ha aperto un’incrinatura nell’atteggiamento decisamente antireligioso che aveva sempre caratterizzato la cultura laica italiana.
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Sebbene pubblicato quando Ratzinger era già Papa, il libro non costituisce espressione di Magistero pontificio ma solo opera di un teologo per quanto autorevole: difatti egli vi è indicato con il proprio nome e cognome. La sua lettura però aiuta non poco a comprendere il pensiero dell’autore che, nei successivi interventi di Magistero, anche quando ha ripreso gli stessi argomenti, non ha però certamente potuto trattarli con l’ampiezza tipica di un saggio o di una conferenza.
Basti un esempio: tutti ricordano ancora come, durante l’omelia della Messa celebrata prima dell’inizio del Conclave, con espressione immediatamente ripresa da ogni commentatore, il card. Ratzinger lamentò l’esistenza in Europa di una vera e propria ‘dittatura del relativismo’. Con tali parole (che evocano la dittatura del proletariato vagheggiata nel Manifesto di Carlo Marx), egli intendeva riferirsi ad un pregiudizio assai diffuso in forza del quale, nelle moderne democrazie, solo chi rifiuta di professare una verità è considerato socialmente accettabile mentre invece tutti coloro che mostrano di credere in valori certi ed immutabili sono bollati come fondamentalisti come soggetti cioè politicamente non affidabili. Che poi non si trattasse solo di un’affermazione, per così dire, di passaggio lo conferma il fatto che, nell’omelia della Messa per l’Incoronazione di pochi giorni successiva, l’oramai Pontefice Benedetto XVI, nel tracciare il programma del suo pontificato, avrebbe fatto rinvio ai concetti già espressi durante la precedente celebrazione.
Ebbene, proprio nel primo saggio del libro che presentiamo, quello da cui trae origine il sottotitolo (La crisi delle culture), Ratzinger si diffonde proprio a delineare i tratti di questo relativismo. Per farlo, egli parte anzitutto con il tratteggiare i limiti della mentalità corrente che si rifugia in “un moralismo le cui parole chiave sono giustizia, pace … Ma questo moralismo rimane nel vago .. esso è anzitutto una pretesa rivolta agli altri e troppo poco un dovere della nostra vita quotidiana. Negli ultimi decenni, abbiamo visto ampiamente sulle nostre strade e sulle nostre piazze come il pacifismo possa deviare verso un anarchismo distruttivo e verso il terrorismo. Il moralismo degli anni ’70, le cui radici non sono affatto morte, fu un moralismo che riuscì anche ad affascinare dei giovani pieni di ideali. Ma era un moralismo con indirizzo sbagliato in quanto privo di serena razionalità e perché, in ultima analisi, metteva l’utopia politica al di sopra della dignità del singolo uomo mostrando perfino di poter arrivare, in nome di grandi obiettivi, a disprezzare l’uomo” (p.32-33). Poste queste amare ma realistiche premesse, Ratzinger passa all’esame del rifiuto di inserire nel testo della Costituzione europea sia il riferimento a Dio che la menzione delle radici cristiane del continente. Tali radici, invece, secondo l’autore, “sono –lo si ammetta o meno- un fatto storico incontrovertibile, per cui è difficile ipotizzare che qualcuno possa offendersene …. Le motivazioni di questo duplice ‘no’ sono più profonde di quel che lasciano pensare le motivazioni avanzate. Presuppongono l’idea che soltanto la cultura illuministica radicale, la quale ha raggiunto il suo pieno sviluppo nel nostro tempo, potrebbe essere costituiva per l’identità europea. Accanto ad essa possono dunque coesistere differenti culture religiose con i loro rispettivi diritti, a condizione che e nella misura in cui rispettivamente rispettino i criteri della cultura illuministica e si subordino ad essi” (pp.40-41). Tra questi –presunti- valori, Ratzinger annovera anche il c.d. divieto di discriminazione il cui “canone è ancora in via di formazione e .. viene sempre più allargato … così che può trasformarsi sempre di più in una limitazione della libertà di opinione e della libertà religiosa. Ben presto non si potrà più affermare che l’omosessualità come insegna la Chiesa cattolica, costituisce un obiettivo disordine nello strutturarsi dell’esistenza umana. Ed il fatto che la Chiesa è convinta di non avere il diritto di dare l’ordinazione sacerdotale alle donne viene considerato da alcuni, fin d’ora inconciliabile con lo spirito della Costituzione europea” (pag. 42).
Così chiarito il senso della dittatura del relativismo, nella parte centrale del libro l’autore delinea i fondamenti del primo e principale di ogni diritto umano quello alla vita. Esso pure infatti è messo in discussione dalla rivendicazione di un –presunto- diritto all’aborto ed all’eutanasia. Ricorda infatti Ratzinger che, se non esistono verità o diritti assoluti, dunque sottratti anche ai voti delle maggioranze parlamentari, anche la vita umana perde ogni autentico presidio.
Infine, nella terza ed ultima parte, Ratzinger vuol mettere in mostra l’inconsistenza di ogni posizione di tipo agnostica che è quella che poi, di fatto, viene comunemente invocata per giustificare quelle posizioni culturali e politiche che portano agli esiti che si sono appena ricordati. Dopo aver ricordato che l’agnostico pretenderebbe che ci potesse puramente e semplicemente disinteressarsi di Dio Ratzinger, ricorda che “la questione di Dio non è per l’uomo un problema meramente teorico … Al contrario, è un problema eminentemente pratico che ha conseguenze in tutti gli ambiti della nostra vita. Se anche di fatto io do il mio avallo teorico all’agnosticismo, nella pratica sono comunque costretto a scegliere tra due alternative: o vivere come se Dio non esistesse oppure vivere come se Dio esistesse e fosse la realtà decisiva della mia esistenza ” (pag. 109). Ma, in realtà, la prima posizione, di fatto, altro non può essere che quella atea e questo spiega perché la sua adozione da parte della cultura dominante abbia portato agli esiti dissacranti delle leggi devastatrice di ogni aspetto della morale.
Le ultime pagine del libro – che occorre leggere per intero tanta è la loro profondità e bellezza – sono quindi dedicate all’analisi dei motivi che spingono gli uomini ad assumere l’atteggiamento agnostico sebbene non abbia alcuna consistenza intellettuale. A tale scopo, Ratzinger ricorda con San Paolo (Rm I, 21-32) che “l’ateismo o l’agnosticismo vissuto come ateismo, non è affatto una posizione innocente. Esso proviene sempre dal rifiuto di una conoscenza che, per sé, è offerta all’uomo ma di cui quest’ultimo rifiuta di accettare le condizioni. L’uomo non è condannato a restare nell’incertezza di fronte a Dio. Egli può ‘vederlo’ se presta ascolto alla voce della sua creazione e si lascia condurre da essa” (p.119).

Andrea Gasperini