(Avvenire) Il destino dell’Europa: diffondere il valore dell’uomo

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IL FATTO
L’arcivescovo di Vienna analizza le opportunità e i
problemi legati alla «nuova» Unione allargata.
Il nodo della Costituzione e del secolarismo
Le sfide delle nuove politiche sociali.
E la necessità di restare fedeli alla missione storica
del Vecchio continente

Dal nostro inviato a Vienna Luigi Geninazzi Eminenza, lei è arcivescovo di una città che ha sempre
fatto da ponte tra Est ed Ovest.
Quali sono i suoi sentimenti di fronte alla nuova Europa
che si è formalmente costituita da un mese e che
comprende molti Paesi ex comunisti?

Considero l’ingresso di questi nuovi Paesi nell’Unione
Europea come un vero e proprio «atto di riunificazione»
del nostro continente.
Sia chiaro: l’Ue non è certo il paradiso in terra.
Ma costituisce un progetto di pace che ci aiuta a superare
le fosche ombre del passato, a cominciare da Yalta.
Per l’Austria, in particolare, ne risulta una grande
opportunità.
Il mio Paese torna al posto che, per storia e geografia,
gli appartiene: nel centro dell’Europa.


Proprio qui a Vienna, nel giugno del 1998, Giovanni
Paolo II disse che, a ben vedere, non dovremmo parlare di
un allargamento verso est ma di un’europeizzazione
dell’intero continente. Cosa intendeva dire?

Il Papa era e resta convinto che l’Europa è più grande
dell’Unione Europea. Con il suo fondamentale discorso
pronunciato a Vienna nel 1998 ha voluto mettere in evidenza
che si può parlare di Europa solo se i Paesi sottoposti
alla dittatura comunista fino al 1989 tornano a far parte
della famiglia europea, con pari dignità e diritti.
Ne manca ancora qualcuno: penso alla Croazia ma anche agli
altri Paesi dei Balcani.
Sempre in quel discorso il Papa manifestò la propria speranza
per un «avvicinamento sempre più stretto fra l’Est e l’Ovest
del continente, i due polmoni entrambi necessari perché
l’Europa respiri pienamente».
Quel che interessa a Giovanni Paolo II è l’arricchimento
spirituale dell’Europa attraverso le diversità delle
tradizioni orientali e occidentali.


L’Unione Europa diventa più grande ma non sta molto bene,
vive una crisi demografica, economica e istituzionale.
A suo avviso l’ingresso dei nuovi Paesi comporterà un
aumento dei problemi o darà un contributo alla loro
soluzione?

Certamente l’Unione a 25, con Stati così diversi e lingue
così differenti, diventerà più difficile da manovrare.
Ma è qui che viene sollecitata la creatività degli uomini
politici.
Credo comunque che i problemi sarebbero sempre tanti, a
prescindere dall’ingresso di dieci nuovi membri che
possono apportare energie fresche in grado di dare un
decisivo impulso all’Unione Europea.


Nelle Chiese dell’Est c’è chi teme che l’ingresso nella
Ue apra le porte ad una legislazione anti-cristiana e ad
un’ondata secolarizzatrice. Qual è il suo giudizio?

Le materie che, in quanto cristiani, ci stanno
particolarmente a cuore nel campo dell’etica sociale
(come la difesa della vita fin dal concepimento o il
rifiuto dell’eutanasia) ricadono sotto la competenza degli
Stati più che dell’Unione Europea.
Ciò non toglie che dobbiamo essere molto attenti a quel
che succede nelle istituzioni comunitarie.
Penso ad esempio alla discussione sulla ricerca degli
embrioni.
Il compito principale della Chiesa è quello d’influire
sugli attori politici affinchè a Bruxelles e a Strasburgo
non vengano prese decisioni che rispecchino esclusivamente
una visione laicista del problema.
Per quanto riguarda la secolarizzazione abbiamo avuto
occasione di parlarne spesso durante il «Katholikentag
Mitteleuropeo» che si è svolto recentemente.
E tutti i rappresentanti delle Conferenze episcopali del
Centro Europa (Polonia, Repubblica ceca, Slovacchia,
Ungheria, Slovenia, Croazia, Bosnia Erzegovina e Austria),
si sono trovati d’accordo nel ritenere che le tendenze
secolarizzatrici sono presenti nei vari Paesi, siano essi
dentro o fuori l’Unione.


Nella futura Costituzione Europea manca il riferimento
alle radici cristiane del nostro continente. Quali sono,
secondo lei, i motivi di questo rifiuto? E quali potranno
essere le conseguenze?

Non è ancora detta l’ultima parola.
A ben vedere il riconoscimento delle radici cristiane
del continente è una verità talmente ovvia che non si
dovrebbe far fatica ad ammetterne l’evidenza.
Non si può capire l’Europa se si tagliano via le radici
cristiane della sua cultura e della sua tradizione.
Facciamoci una semplice domanda: perché da noi arrivano
turisti da tutto il mondo?
Le loro mete preferite non sono forse le cattedrali e i
monasteri?
E’ risaputo che la strenua opposizione al riconoscimento
delle radici cristiane viene sollevata da certe correnti
del laicismo occidentale.
Dobbiamo dire chiaramente agli esponenti di tali tendenze
che le Chiese non perseguono alcuna intenzione di
carattere politico e non avanzano alcuna pretesa di
dominio quando fanno riferimento alle radici cristiane
del continente.
[Giovanni Paolo II dice invece che abbiamo l’obbligo di
operare per “Una societa’ piu’ a misura d’uomo e secondo il
èiano di Dio”, NdR].
Forse l’ingresso nella Ue dei nuovi membri, dalla Polonia
a Malta, avrà l’effetto di ravvivare la discussione su
questo argomento.
Vorrei aggiungere un’ultima osservazione: è importante che
le radici cristiane siano citate nel Preambolo ma è ancor
più decisivo che il testo della Costituzione sia ancorato
a valori ispirati al cristianesimo.
Qui sono in gioco principi fondamentali come la dignità e
i diritti umani, compresi quelli sociali.


C’è un dibattito sempre aperto tra euro-entusiasti ed
euro-scettici. Un dibattito che attraversa anche il mondo
cattolico. Lei come si definirebbe?

Vorrei ripeterlo ancora una volta: non si deve parlare
dell’Unione Europea in termini santificanti.
Bisogna dire però che si tratta di un progetto d’ampio
respiro che riveste un grande significato per il nostro
continente e per l’irradiazione dell’Europa nel mondo.
Credo che sul piano storico non ci sia un’alternativa
ragionevole al progetto di Unione Europea. Non dobbiamo
dimenticare che i padri fondatori di questo progetto, De
Gasperi, Schuman, Adenauer, erano dei cattolici convinti.
L’Unione intende assicurare pace e benessere, obiettivi
altamente positivi anche dal punto di vista della fede
cristiana.
Inoltre l’Unione rappresenta uno strumento per vivere con
modalità del tutto nuove la convivenza tra i popoli
europei che è stata avvelenata dalle ideologie negli
ultimi due secoli.

L’Europa acquista peso economico ma non ha grande
rilevanza politica sulla scena internazionale.
Cosa le manca?

Non c’è dubbio che l’Europa abbia un grande peso economico
ma manchi di quello politico.
Perché?
Per il fatto che non esiste ancora un efficace coordinamento
della politica estera e di quella relativa alla difesa e
alla sicurezza.
Il che da un lato è comprensibile se pensiamo alla
tradizionale politica di potenza di molti suoi Stati.
Dall’altro lato siamo in presenza di una grande sfida che
dovrebbe spingere i leaders europei a ricercare nuove
forme di collaborazione con spirito creativo.
Ci sono occasioni nelle quali l’Europa dovrebbe parlare
chiaramente con una sola voce.


Ha senso parlare di una missione, di un compito che
l’Europa ha nei confronti del mondo? Se sì, quale dovrebbe
essere?

In base alla sua storia (oserei dire anche a motivo delle
sue colpe storiche) e in forza della sua potenza economica
e della sua tradizione spirituale l’Europa non può
assolutamente rifugiarsi nell’isolazionismo.
L’Europa ha un compito che le deriva da quei valori,
fondamentalmente evangelici, costitutivi della sua
identità.
Per questo l’Europa non può non stare dalla parte dei
diritti umani, che comprendono anche il diritto alla vita,
alla salute e all’educazione.
Si tratta di una “missione” che l’Europa deve compiere
senza arroganza, senza salire in cattedra, ma ponendosi
come un partner responsabile all’interno della famiglia
universale delle nazioni.


(C) Avvenire, 12-6-2004