(Avvenire) All’Africa si vieta il meglio dei ricchi, si regala il peggio

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NEOCOLONIALISMO PROCREATIVO SOLO BRICIOLE DI PROGRESSO ALLE DONNE D’AFRICA 

 ROBERTO COLOMBO

L a notizia è fresca di stampa e pro­viene dalla rivista britannica New Scientist: le tecniche di procreazione medicalmente assistita sbarcano in A­frica. Saranno presto disponibili a prez­zi stracciati in alcuni Paesi della costa mediterranea (primo fra i quali l’Egit­to) e del continente nero (Sudan e Tan­zania) grazie ai centri costruiti da una fondazione svizzera ideata dal pionie­re della fecondazione in vitro, Alan Trounson, l’attuale presidente dell’I­stituto per la medicina rigenerativa, che ha sede in California.
  Dopo i voli aerei
last minute , i risto­ranti
 fast food
e le vacanze stay for free,
 anche la procreazione artificiale ha im­boccato la strada del
low cost (non in Europa o negli Stati Uniti, però, dove i prezzi degli interventi continuano a es­sere elevati). In fondo, sembrano sug­gerire gli organizzatori di questa ope­razione, basta sapersi accontentare di quello che si può offrire sul posto, con­siderate le scarse risorse sociali e sani­tarie. Così, al posto dei costosissimi protocolli di stimolazione ovarica con­trollata che impiegano le forme ri­combinanti delle gonadotropine (quel­le di nuova generazione, attualmente usate in Occidente), le donne saranno trattate con il clomifene, un farmaco generico somministrabile con la mo­dica spesa di 11 dollari a ciclo. Per le attrezzature di laboratorio biotecnolo­gico ci ha già pensato un’azienda del Massachusetts: i sofisticati incubatori cellulari ad anidride carbonica, usati per la coltura in condizioni di sterilità microbiologica degli embrioni prima del trasferimento in utero, verranno so­stituiti da piccole capsule in plastica che li conterranno insieme al terreno nutritivo e saranno inserire in vagina per tre giorni (hanno mai considerato, i proponenti di simili trovate, alle con­dizioni igieniche in cui, purtroppo, vi­ve la maggior parte delle donne africa­ne?).
 
Quanto ai microscopi, necessari per l’osservazione della fertilizzazione in vitro e dello sviluppo embrionale, l’ar­ticolo di New Scientist rivela che si sta pensando a modelli un po’ rudimen­tali, ma certo più economici di quelli in uso da noi. Sembra esserci una solu­zione per ogni problema, pur di farce­la nell’eroico intento di portare la più avanzata medicina della riproduzione laddove non è ancora arrivata l’ordi­naria diagnosi e terapia delle più co­muni malattie che devastano le popo­lazioni africane e provocano milioni di morti ogni anno.
  Ben inteso, l’infertilità non è solo un problema delle coppie che vivono nei Paesi del benessere economico e so­ciale. In Africa si stima che colpisca u­na coppia su tre in età feconda. La pre­valenza delle cause è diversa rispetto a quella occidentale: sono soprattutto le infezioni a trasmissione sessuale, le ca­renze alimentari, la scarsa igiene per­sonale causata dalla diffusione dei pa­rassiti e dalla mancanza di acqua, e la pratica delle mutilazioni genitali a im­pedire il concepimento. Non sarebbe più ragionevole e giusto investire ri­sorse economiche e umane per inizia­tive di aiuto alimentare e sanitario e di educazione familiare e sociale capaci di rimuovere le cause maggiori di steri­lità che, in larga parte, coincidono con quelle di numerose altre malattie e di­sabilità diffuse in quel continente?
  Sembra invece farsi strada una nuova forma di invasione commerciale del mercato della salute africana. Nello sti­le della vecchia politica coloniale, si vuole concedere ai meno poveri tra i poveri una briciola del «progresso mo­derno » (coloro che potranno permet­tersi la procreazione assistita
low cost
 saranno, comunque, assai pochi e non certo chi già manca di acqua e cibo e dei farmaci essenziali) per lasciare nel­la miseria e nella disperazione disu­mana il resto della popolazione. Una nuova ingiustizia si aggiunge così a quelle già perpetrate e tuttora in corso.

Avvenire 30-8-2009