Il voto religioso vale la Casa Bianca (ma non è gratis)
di Massimo Introvigne (il Giornale, 6 novembre 2004)Nella lunga notte del voto americano, quasi tutti hanno interpretato la massiccia affluenza alle urne come un segno che Kerry stava vincendo. Le uniche voci fuori del coro, sulla Cnn e su Fox, erano quelle di giornalisti che di solito non sono interpellati per primi quando si parla di elezioni: i corrispondenti religiosi. Costoro si affannavano a spiegare che gli sforzi dei partiti da soli non rendevano ragione dell’aumento di votanti, e che si doveva tenere conto dell’enorme mobilitazione di protestanti evangelici, cattolici conservatori ed ebrei ortodossi.
Una mobilitazione a base di visite casa per casa, sermoni mirati, trasporto organizzato dei votanti ai seggi con pulmini e automobili, senza dimenticare i vecchi e i malati, che ricorda da vicino la mobilitazione cattolica in Italia del 1948 contro i comunisti. Fra i nuovi votanti – gli astenuti del 2000 – ha vinto Bush, perché i nuovi elettori veri, da non confondersi con quelli che si facevano intervistare dalle televisioni, sono stati in maggioranza persone convinte a votare dai loro preti, pastori e rabbini e non pacifisti che hanno seguito alle urne Michael Moore.
A mano a mano che i dati sono elaborati dagli analisti accademici emerge che per la prima volta un candidato democratico ha perso la maggioranza del voto dei cattolici praticanti, tradizionalmente orientato verso i democratici per ragioni sociali: e la circostanza è tanto più significativa in quanto Kerry è cattolico.
Ma non basta andare a qualche messa in campagna elettorale dopo che si è da anni abbandonata la Chiesa su temi come l’aborto o il matrimonio degli omosessuali.
Bush 2 è anche il primo candidato repubblicano che vince tra gli ebrei che frequentano le sinagoghe ortodosse, da non confondersi con gli ebrei “culturali” non religiosi e con gli ebrei riformati, appartenenti a denominazioni “progressiste” importanti in America ma decisamente minoritarie nell’ebraismo internazionale (e in quello israeliano).
E la maggioranza di Bush 1 tra i protestanti conservatori, detti “evangelical”, è diventata valanga (sembra intorno al 90%) per Bush 2, mentre in quattro anni i protestanti conservatori sono diventati più del doppio dei protestanti delle denominazioni “storiche” orientate in senso progressista.
Quanto ai mormoni, la religione in più rapida crescita negli Stati Uniti, il loro Stato – lo Utah – ha fatto vincere Bush 2 con la maggiore percentuale di tutto il paese. E si conferma che anche molti musulmani americani hanno votato Bush facendo prevalere la morale sulla politica, conformemente alle previsioni accademiche e contro i sondaggi che confondevano “musulmano” e “arabo” (molti musulmani americani non sono arabi).
Tutto questo avrà naturalmente conseguenze. Il voto religioso non è gratuito. Si attende conseguenze nella scelta dei giudici della Corte Suprema, e in un deciso ripudio del matrimonio omosessuale. Ma anche in risorse destinate alla promozione della libertà religiosa, e una difesa intransigente dei cristiani perseguitati in Cina e nei paesi a maggioranza islamica, come della religione in genere discriminata dal laicismo alla francese non solo in Francia.
Non è concepibile che Bush 2 deluda queste attese. Nell’amministrazione Bush 2 vedremo dunque meno neocon, piuttosto tiepidi sulle questioni religiose, e più teocon, la nuova ondata di neoconservatori profondamente religiosi che costituiscono lo sviluppo più interessante in quel mondo della destra americana che ha aiutato Bush a vincere.