Motivazioni e moventi veri di Lutero

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 Motivazioni e moventi veri di Lutero

by · 14 settembre 2016

 

Con il termine “Riforma” s’intende quella importante rivolta religiosa che diede vita al Protestantesimo. Rivolta che ebbe origine con Martin Lutero (1483-1546), il quale, nella notte del 31 ottobre del 1517, espose al pubblico 95 tesi con cui si scagliò contro la Chiesa cattolica.

Perché nacque la Riforma? Prima di tutto va negato ciò che solitamente si afferma e cioè che la Riforma sarebbe nata dalla cosiddetta “vendita delle indulgenze”. In quegli anni si costruiva la nuova Basilica di San Pietro e per finanziare i lavori si decise di raccogliere in tutta la cristianità offerte per lucrare indulgenze. In Germania l’operazione venne affidata ad un personaggio tutt’altro che edificante, Johan Tetzel. Ma attenzione: questo non fu il vero motivo della nascita della Riforma!

Un altro mito da sfatare è quello secondo cui Lutero avrebbe voluto solo “riformare” la Chiesa. Faccio un esempio per farmi capire. Se prendo un vaso prezioso molto impolverato, un conto sarebbe se mi limitassi a spolverarlo, facendolo tornare alla lucentezza originaria, altro se lo scagliassi a terra facendolo in mille pezzi e poi pretendessi di ricostruirlo a mio piacimento. “Riformare” significa tornare alla forma originaria (ri-formare); ebbene, Lutero non riformò ma distrusse tutto. Un solo esempio: su sette sacramenti ne conservò solo due: il Battesimo e l’Eucaristia (ma sarebbe meglio dire uno e mezzo, poi vedremo perché).

Torniamo alle indulgenze. Che la Chiesa del tempo non navigasse in buone acque, è vero. Era quello un periodo assai triste e non era raro trovare cardinali e prelati che preferissero la lettura di Orazio e Seneca piuttosto che delle Scritture. Ma Lutero era fin troppo intelligente per non poter capire che la possibile non santità degli uomini di Chiesa non compromette la santità della Chiesa stessa. Lo aveva capito san Francesco, certamente più sapiente di Lutero ma indubbiamente meno colto, figuriamoci se non lo poteva capire lui, il monaco che tradurrà l’intera Bibbia in tedesco moderno. Tanto lo poteva capire che quando nel 1510 andò a Roma, da novizio, non si scandalizzò della corruzione nei sacri palazzi e concluse così come dovrebbe saper concludere ogni cristiano: un conto è la fallibilità degli uomini altro la santità della Chiesa. Ma poi, dopo l’affissione delle 95 tesi, iniziò ad affermare che il Vescovo di Roma (cioè il Papa) era un “anticristo”, e ciò indipendentemente dal comportamento, degno o indegno che fosse. Insomma, è Lutero stesso a dirlo: non faccio quello che faccio perché scandalizzato da monsignor Tizio o da monsignor Caio, ma perché la Chiesa così com’è non è la chiesa di Cristo. Scrisse a papa Leone X una lettera che accompagnava il suo trattato Sulla libertà religiosa: «Mi sono scagliato contro le dottrine empie, e ho severamente criticato i miei avversari, non a causa dei loro cattivi costumi, ma a causa della loro empietà».

Per quanto invece riguarda il secondo mito (cioè che Lutero avrebbe voluto solo riformare la Chiesa), basti vedere ciò che fece il monaco tedesco. Abolì: il sacerdozio ministeriale, il primato di Pietro, il potere temporale. Affermò la salvezza solo attraverso la Fede, una giustificazione non reale ma apparente (la Grazia non rende veramente giusti ma spinge Dio a considerare giusto l’uomo quando invece non lo è davvero), la libera interpretazione delle Scritture. Negò l’esistenza del Purgatorio. Ridusse i sacramenti da sette a due: Battesimo ed Eucaristia; ma, come ho detto prima, sarebbe meglio dire a uno e mezzo, perché dell’Eucaristia rifiutò il concetto di transustanziazione per accettare solo quello di consustanziazione. In parole più semplici: con l’Eucaristia, secondo Lutero, l’ostia non si trasformerebbe solo in Corpo di Gesù, ma, accanto alla sostanza dell’ostia ci sarebbe la sostanza del Corpo di Gesù. Ciò comportava l’impossibilità di adorare il Santissimo Sacramento perché l’adorazione sarebbe stata rivolta non solo al Corpo di Gesù ma anche all’ostia e ciò avrebbe comportato un atto d’idolatria. Si capisce bene come questa teoria luterana costituisca la possibilità per i suoi seguaci di arrivare a negare totalmente la presenza reale di Gesù nell’ostia consacrata. Infine Lutero apportò modifiche sostanziali alla cristologia.

Dunque, Lutero non fu spinto da ciò che solitamente si dice: corruzione della Chiesa, “vendita delle indulgenze” e quant’altro. Ci fu dell’altro. Visto poi che è sapienza comune del cristiano il saper distinguere tra santità della Chiesa e peccabilità degli uomini di Chiesa, non ci si accorge che se si afferma che tutto ciò che Lutero fece, lo fece solo perché scandalizzato dalla corruzione della Chiesa del tempo (e molto spesso questo lo si dice per motivi ecumenici), a pagarne le conseguenze è la stessa memoria di Lutero. In tal caso, infatti, Lutero figurerebbe come un personaggio dall’intelligenza e dalla preparazione teologica tutt’altro che interessanti.

Allora quali furono i veri motivi che spinsero Lutero? Mi sembra che si possano ridurre almeno a tre. Uno culturale, uno filosofico ed un altro psicologico.

Il motivo culturale ci fa capire che Lutero era figlio dei suoi tempi; tempi di successo dell’umanesimo e del filologismo come “segni” di un evidente antiautoritarismo. Per umanesimo s’intende un vasto movimento culturale e spirituale sorto nei primi decenni del 1400 in Italia, incentrato sullo studio e sulla valorizzazione dell’uomo. Per filologismo s’intende lo studio critico dei testi comprendente la ricerca delle fonti e la loro analisi. L’abolizione luterana del Primato di Pietro, del sacerdozio ministeriale e del Magistero sono segni chiari di questo rifiuto del concetto di autorità.

Passiamo al motivo filosofico. I tempi di Lutero segnavano il trionfo del cosiddetto nominalismo (negazione del valore degli universali) che fu un’estremizzazione della ragione per cui i fatti e le idee erano messi sullo stesso piano. Questo nominalismo avrebbe determinato nel protestantesimo tanto una causa scatenante quanto una causa reagente. Causa scatenante: il razionalismo che venne fuori dal nominalismo facilitò l’insorgere del soggettivismo (senza gli universali non è possibile la metafisica e, senza la metafisica, è possibile solo il soggettivismo). Causa reagente: la reazione allo scetticismo del razionalismo nominalistico condusse facilmente alla fiducia nella sola fede, cioè al fideismo; e infatti il Protestantesimo è convintamente fideista.

E infine il motivo psicologico. Lutero, in realtà, non aveva la vocazione né alla vita monastica né al sacerdozio; da qui la sua infelicità. Una tesi molto accreditata afferma che quando era all’Università di Erfurt, si batté a duello con un compagno, Gerome Bluntz, uccidendolo. Ed entrò nel monastero degli agostiniani solo per sfuggire alla giustizia. Lui stesso lo dice: «Mi sono fatto monaco perché non mi potessero prendere. Se non lo avessi fatto, sarei stato arrestato. Ma così fu impossibile, visto che l’ordine agostiniano mi proteggeva». Questa assenza di vocazione lo rese nevrotico e infelice. Si narra che durante la sua prima Messa, al momento dell’offertorio, stava per fuggire e fu trattenuto dal suo superiore.

Potremmo chiederci: ma se eventualmente si sbaglia la vocazione, è possibile mai che il Signore non dia la grazia sufficiente per andare avanti? Certamente. Il problema di Lutero fu un altro e cioè che non volle rendersi docile alla Grazia. Quando si abbandona tutto e si tradisce la verità è sempre perché si è prima abbandonato la preghiera. Lutero stesso scrisse nel 1516, cioè prima della svolta della sua vita: «Raramente ho il tempo di pregare il Breviario e di celebrare la Messa. Sono troppo sollecitato dalle tentazioni della carne, del mondo e del diavolo».

Fu così che credette di trovare la soluzione della sua infelicità nella Lettera ai Romani (1,17): «Il giusto vivrà per la sua fede». Per la salvezza non occorre nessun sforzo di volontà se non quello di abbandonarsi ciecamente alla fede nel Signore (fideismo).

In Lutero dunque si ritrova tanto il volontarismo quanto il fideismo. Il volontarismo: darsi una vocazione che non si ha; il fideismo: negare totalmente qualsiasi contributo della volontà. Due errori completamente diversi, ma, proprio perché errori, dalla origine comune.

L’ipotesi di una successione diacronica di volontarismo e di fideismo in Lutero troverebbe conferma negli Esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loyola, contemporaneo di Lutero, che impostò la spiritualità del suo Ordine (i Gesuiti) in chiara prospettiva antiluterana. Scrive sant’Ignazio: «Ci sono tre tempi o circostanze per fare una buona e sana elezione. Il primo: è quando Dio nostro Signore muove e attrae tanto la volontà che, senza dubitare né poter dubitare, l’anima devota segue quello che le è mostrato, come fecero san Paolo e san Matteo nel seguire Cristo nostro Signore. Il secondo: quando si riceve molta chiarezza e conoscenza per mezzo di consolazioni e desolazioni, e per l’esistenza del discernimento degli spiriti. Il terzo: è il tempo di tranquillità. L’uomo, considerando prima perché è nato, e cioè per lodare Dio nostro Signore e salvare la sua anima, e desiderando questo, elegge come mezzo uno stato o un genere di vita nell’ambito della Chiesa, per essere aiutato nel servizio del suo Signore e nella salvezza della propria anima. È tempo di tranquillità quello in cui l’anima non è agitata da vari spiriti e usa delle sue potenze naturali liberamente e tranquillamente». Dunque, dice sant’Ignazio, è molto importante non sbagliare la propria vocazione avendo come unico scopo quello di rendere gloria a Dio.

Che ci sia anche un’allusione all’esperienza di Martin Lutero?

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Le intenzioni di Lutero erano buone?

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  Lutero: qualche spunto di realtà

 

Nel 1510 Martino Lutero, allora monaco agostiniano, si recò a Roma per portare una lettera di protesta in merito a una diatriba interna al suo Ordine. La volgata protestante vorrebbe che, di fronte al desolante spettacolo di decadenza ("una cloaca", dirà lui in riferimento sia all'Urbe che alla Chiesa), il monaco di Wittemberg fosse rimasto scioccato. Il ché avrebbe innescato in lui prima il rigetto, poi il dubbio e infine la ribellione. Dunque, una reazione forse esagerata ma tutto sommato giustificata.

 

 
Un'attenta lettura delle fonti originali ci fa vedere, invece, uno spirito irrequieto e già incline alla ribellione. Forse è il caso di gettare uno sguardo su alcuni di questi documenti, che altro non sono che le stesse opere (Werke) di Martino Lutero, nelle due edizioni ufficiali: quella di Wittemberg (1551) e quella di Weimar (1883). Conviene anche rilevare che gli autori citati — Emme, Brentanno, De Wette e Bruckhardt — sono tutti protestanti.

 

1. La "vocazione" religiosa di Lutero

L'ingresso di Martino Lutero nell'Ordine agostiniano non fu dovuto tanto ad una vocazione religiosa quanto al fatto che era latitante e voleva sfuggire alle autorità. Quando era studente di Diritto all'Università di Erfurt, Lutero si batté a duello con un compagno, Gerome Bluntz, uccidendolo. Per sfuggire alla giustizia, egli entrò allora nel monastero degli Eremiti di S. Agostino (1). Lo stesso Lutero ammise il vero motivo del suo ingresso in monastero: "Mi sono fatto monaco perché non mi potessero prendere. Se non lo avessi fatto, sarei stato arrestato. Ma così fu impossibile, visto che tutto l'Ordine Agostiniano mi proteggeva" (2).

Purtroppo, nel monastero non imparò a diventare buono. Egli stesso confessava in un sermone del 1529: "Io sono stato un monaco che voleva essere sinceramente pio. Al contrario, però, sono sprofondato ancor di più nel vizio. Sono stato un grande furfante ed un omicida" (3). La sua vita spirituale era in rovinoso declino. Nel 1516, Lutero scrisse: "Raramente ho il tempo di pregare il Breviario e di celebrare la Messa. Sono troppo sollecitato dalle tentazioni della carne, del mondo e del diavolo" (4). Ancora nel 1516 egli dichiarava: "Confesso che la mia vita è sempre più prossima all'inferno. Giorno dopo giorno divento più abietto" (5).

Nel convento, Lutero era soggetto a frequenti crisi di nervi, ad allucinazioni deliranti, in preda anche a segni di possessione. Nel guardare il crocifisso egli spesso era assalito da convulsioni e cadeva a terra (6). Quando celebrava la Messa, era preso dal terrore: "Arrivato all'Offertorio ero così spaventato che volevo fuggire. Mormoravo ‘Ho paura! Ho paura!'" (7).

Agitato, nervoso, continuamente in crisi, tentato dal diavolo (che, secondo lui, gli appariva in forma di un enorme cane nero col quale condivideva perfino il letto) roso dai rimorsi, Lutero cominciò a formarsi l'idea che fosse predestinato alla dannazione eterna, e questo gli faceva odiare Dio: "Quando penso al mio destino dimentico la carità verso Cristo. Per me, Dio non è che uno scellerato. L'idea della predestinazione cancella in me il Laudate, è un blasphemate che mi viene allo spirito" (8).

Lutero, insomma, si immaginava già nell'inferno: "Io soffrivo le torture dell'inferno, ne ero divorato. Mi assaliva perfino la tentazione di bestemmiare contro Dio, quel Dio rozzo, iniquo. Io avrei mille volte preferito che non ci fosse Dio!" (9).

 

2. L'apostasia di Lutero. La dottrina della giustificazione

Lutero non faceva nulla per lottare contro i suoi difetti. I suoi confratelli agostiniani lo descrivevano come "nervoso, di umore molto sgradevole, arrogante, ribelle, sempre pronto a discutere e ad insultare". Egli stesso dirà di sé: "Io mi lasciavo prendere dalla collera e dall'invidia" (10).

Eccitato da cattive letture, orgoglioso al punto di non accettare nessuna autorità, Lutero cominciò a contestare diversi punti della dottrina cattolica fino a rigettarli quasi completamente.

Lutero difendeva le sue rivoluzionarie idee in modo arrogante, ritenendosi "l'uomo della Provvidenza, chiamato per illuminare la Chiesa con un grande bagliore". "Chi non crede con la mia fede è destinato all'inferno — proclamava —  La mia dottrina e la dottrina di Dio sono la stessa cosa. Il mio giudizio è il giudizio di Dio" (11).

In un'altra lettera ecco cosa dice di se stesso: "Non vi sembra un uomo stravagante questo Lutero? Quanto a me, penso che egli sia Dio" (12). Sulle sue dottrine egli asseriva ancora: "Sono certo che i miei dogmi vengono dal cielo. Io vincerò, il Papato crollerà nonostante le porte dell'inferno!" (13).

Fu in queste lamentevoli condizioni spirituali che, verso la fine del 1518, successe ciò che Lutero stesso ha chiamato «das Turmerlebnis», l'avvenimento della Torre, vero punto di partenza del protestantesimo. In cosa è consistito questo «Turmerlebnis»? Lutero stava, molto prosaicamente, seduto al WC nella torre che serviva di bagno del monastero, quando improvvisamente ebbe un'"illuminazione" che lo fece "pensare in un'altro modo":

"Le parole giustizia e giustizia di Dio — scrive Lutero  — si ripercuotevano nel fondo della mia coscienza come un fulmine che distrugge tutto. Io ero paralizzato e pensavo: Si Dio è giusto, egli punisce. E, siccome continuavo a pensare a ciò, sono improvvisamente venute al mio spirito le parole di Habacuc: Il giusto vive della fede. E ancora: La giustificazione di Dio si manifesta senza l'azione della legge. A partire da questo punto, io ho cominciato a pensare in altro modo" (14).

Questo "altro modo" era la dottrina della giustificazione per la sola fede, indipendente dalle opere, la pietra angolare del protestantesimo.

Secondo Lutero, i meriti sovrabbondanti di Nostro Signore Gesù Cristo assicurano agli uomini la salvezza eterna. All'uomo, quindi, basta credere per salvarsi: "Il Vangelo non ci dice cosa dobbiamo fare, esso non esige niente da noi. (…) [Il Vangelo dice semplicemente] credi e sarai salvato" (15)

Di conseguenza, su questa terra possiamo anche condurre una vita di peccato senza rimorsi di coscienza né timore della giustizia di Dio, poiché basta avere fede che siamo già salvati: "Anche se ho fatto del male, non importa. Cristo ha sofferto per me. A questo si riduce il cristianesimo. Dobbiamo sentire che non abbiamo peccato, anche quando abbiamo peccato. I nostri peccati aderiscono a Cristo, che è il salvatore del peccato" (16).

Lutero anzi sosteneva che, per rafforzare la nostra fede, dobbiamo peccare sempre di più. Così rimarrà chiaro che è Cristo che ci salva e non noi. Quest'idea Lutero la sintetizzava nella sua nota formula: esto peccator et pecca fortiter. In una lettera all'intimo amico Melantone del 1° agosto 1521, Lutero afferma: "Sii peccatore e pecca fortemente ma con ancora più fermezza credi e rallegrati in Cristo. (…) Durante la vita presente dobbiamo peccare" (17).

Scrivendo a un'altro seguace, Lutero diceva ugualmente: "Devi bere con più abbondanza, giocare, divertirti e anche fare qualche peccato. (…) In caso il diavolo ti dica: Non bere! Tu devi rispondere: in nome di Gesù Cristo, berrò di più! (…) Tutto il decalogo deve svanirsi dagli occhi e dall'anima" (18).

A un'altro amico, egli scrisse ancora: "Dio ti obbliga solo a credere. In tutte le altre cose ti lascia libero e signore di fare quello che vuoi, senza pericolo alcuno di coscienza. Egli non se ne cura, quando anche lasciassi tua moglie, abbandonassi il tuo padrone e non fossi fedele ad alcun vincolo" (19).

Ovviamente, le conseguenze dell'applicazione di queste dottrine non potevano essere altro che il dilagare del peccato e del vizio. Lutero stesso lo ammette. Per quanto riguardava i suoi seguaci protestanti, egli scriveva: "Sono sette volte peggiori di una volta. Dopo la predicazione della nostra dottrina, gli uomini si sono dati al furto, alla menzogna, all'impostura, alla crapula, all'ubriachezza e a ogni genere di vizi. Abbiamo espulso il demonio — il papato — e ne sono venuti sette peggiori" (20).

 

3. Un uomo pieno di vizi

Il primo a piombare nel vizio è stato proprio lui. Il 13 giugno 1521, scrisse a Melantone: "Io mi trovo qui insensato e indurito, sprofondato nell'ozio, pregando poco e senza più gemere per la Chiesa di Dio, perché nelle mie carni indomite ardo di grandi fiamme. Insomma, io che dovrei avere il fervore dello spirito, ho il fervore della carne, della libidine, della pigrizia, dell'ozio e della sonnolenza" (21).

In un'altro scritto, Lutero è altrettanto chiaro: "Sono un uomo esposto e coinvolto nella vita di società, nella crapula, nelle passioni carnali, nella negligenza ed in altre molestie" (22).

Lutero rapì dal convento una monaca cistercense, Caterina Bora, e la prese per amante. Nel 1525, "per chiudere le cattive lingue", secondo quanto dichiarava, l'ha sposata, nonostante tutte e due avessero fatto voto di castità. Lutero aveva una chiara nozione della riprovevole azione che aveva compiuto. Egli scrisse al riguardo: "Con il mio matrimonio sono diventato così spregevole che gli angeli rideranno di me e i demoni piangeranno" (23).

Ma Caterina non fu l'unica donna nella sua vita. Egli aveva la brutta abitudine di avere rapporti carnali con monache apostate, che egli stesso addescava dai conventi. Su di lui scrive il suo seguace Melantone: "Lutero è un uomo estremamente perverso. Le suore che egli ha tirato fuori dal convento lo hanno sedotto con grande astuzia ed hanno finito col prenderlo. Egli ha con loro frequenti rapporti carnali" (24).

Lutero non faceva segreto della sua immoralità. In una lettera all'amico Spalatino leggiamo infatti: "Io sono palesemente un'uomo depravato. Ho tanto a che fare con le donne, che da un po' di tempo sono diventato un donnaiolo. (…) Ho avuto tre mogli allo stesso tempo, e le ho amate così ardentemente che ne ho perse due, andate a vivere con altri uomini" (25).

Lutero aveva anche il vizio dell'ubriachezza e della gola. "Nel bere birra — affermava — non c'è nessuno che si possa paragonare a me". E in una lettera a Caterina, diceva: "Sto mangiando come un boemio e bevendo come un tedesco. Lodato sia Dio!" (26). Verso la fine della vita, l'ubriachezza lo dominava totalmente: "Spendo le mie giornate nell'ozio e nell'ubriachezza" (27).

 

4. Bestemmiatore

Ma forse in nessun altro campo si è manifestato tanto il cattivo spirito di Lutero quanto nella sua tendenza a bestemmiare, specie contro la Chiesa ed il Papato. Seguono alcuni esempi, tutti tratti dalle sue lettere e sermoni:

"Certamente Dio è grande e potente, buono e misericordioso, ma è anche stupido. È un tiranno" (28).

"Cristo ha commesso l'adulterio una prima volta con la donna della fontana di cui ci parla Giovanni. Non si mormorava intorno a lui: Che ha fatto dunque con essa? Poi ha avuto rapporti sessuali con Maria Maddalena, quindi con la donna adultera. Così Cristo, tanto pio, ha dovuto anche lui fornicare prima di morire" (29).

Lutero fa di Dio il vero responsabile del tradimento di Giuda e della rivolta di Adamo. "Lutero — commenta lo storico protestante Funck Brentano — arriva a dichiarare che Giuda, tradendo Cristo, agì per imperiosa decisione dell'Onnipotente. La sua volontà [di Giuda] era diretta da Dio; Dio lo muoveva con la sua onnipotenza. Lo stesso Adamo, nel paradiso terrestre fu costretto ad agire come agì. Egli fu messo da Dio in una situazione tale che gli era impossibile non cadere" (30).

"Tutte le case chiuse, tutti gli omicidi, le morti, i furti e gli adulteri sono meno riprovevoli che l'abominazione della Messa papista" (31).

Non meraviglia che, mosso da tali idee, Lutero scrivesse a Melantone a proposito delle sanguinose persecuzioni di Enrico VIII contro i cattolici inglesi: "È permesso abbandonarsi alla collera, quando si sa che specie di traditori, ladri e assassini sono i papi, i loro cardinali, i loro legati. Piacesse a Dio che vari re di Inghilterra si impegnassero a farli scomparire" (32).

"Perché non acchiappiamo papa, cardinali e tutta la cricca della Sodoma romana e ci laviamo le mani con il loro sangue?" (33).

 
"La corte di Roma è governata per un vero Anticristo, di cui ci parla S. Paolo. (…) Credo di poter dimostrare che, nei giorni nostri, il Papa è peggio dei turchi" (34).

"Così come Mosè ha distrutto il vitello d'oro, così dobbiamo fare noi con il papato, fino a ridurlo in ceneri. (…) Vorrei abolire tutti i conventi, vorrei farli sparire, raderli al suolo (…) affinché di essi non rimanga sulla terra neanche la memoria" (35).

Nella risposta alla bolla di scomunica, Lutero scrisse con arroganza: "Io e tutti i servi di Gesù Cristo riteniamo ormai il trono pontificio occupato da Satana, come la sede dell'Anticristo, noi ci rifiutiamo di ubbidire" (36).

Lutero è morto in mezzo a orribili bestemmie contro il Papato, contro la Chiesa e contro i santi. Sentendo arrivare la fine, ha dettato una "preghiera" che finiva così: "Muoio odiando il Papa. (…) Vivo, io ero la tua peste, morto sarò la tua morte, o Papa!"

di Julio Loredo
per: http://www.atfp.it/2004/94-dicembre-2004/459-lutero-la-realta-dei-fatti.html

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Note

1. Dietrich Emme, Martin Luther, Seine Jugend und Studienzeit 1483-1505. Eine dokumentarische Darstellung, (Bonn, 1983).

2. In Dietrich Emme, Warum ging Luther ins Kloster? In Theologishes, 1984, pp. 6188-6192.

3. Id. Ibid. Emme cita il documento originale: Wa W, 29, 50, 18.

4. W.M.L. de Wette, Luther, M., Briefe, Sendshreiben und Bedenken vollstandig Gesammelt, Berlino, 1825-1828,  I, p. 41.

5. Id., ibid., I, 323.

6. Franz Funck Brentanno, Luther, Parigi, Grasset, 1934, pp. 29-39.

7. Martin Luther,  Werke, ed. Weimar, 1883, I, 487. Tischrede del 5 maggio 1532.

8. Brentanno, op. cit., p. 53.

9. Id., ibid., p. 32.

10. Id., ibid.

11. D. Martin Luther, Werke, ed. di Weimar, 1883, X, 2, Abt. 107.

12. Martin Luther, Werke, ed. di Wittemberg, 1551, t. IV, p. 378.

13. D. Martin Luther, Werke, Weimar, X, 2, Abt. 184.

14. Brentanno, op. cit., pp. 65-73.

15. D. Martin Luther, Werke, Weimar, XXV, 329.

16. Id. Ibid., XXV, 331.

17. De Wette, op. cit., II, p. 37.

18. De Wette, op. cit., ibid.

19. Werke, ed. Weimar, XII, p. 131.

20. Werke, ed Weimar, XXVIII, p. 763.

21. De Wette, op. cit., II, p. 22.

22. De Wette, op. cit., I, 232.

23. De Wette, op. cit., III, 2,3.

24. De Wette, op. cit., III, 3.

25. De Wette, op. cit., III, 9.

26. In Carl August Burkardt, Dr. Martin Luther, Briefwechsel, Leipzig, 1886, p. 357.

27. De Wette,op. cit., II, 6.

28. Martin Luther,  Tischreden, No. 953, Werke, ed. Weimar, I, 487.

29. Martin Luther, Tischreden, No. 1472, Werke, ed Weimar, XI, 107.

30. Brentanno, op. cit., p. 246.

31. Martin Luther, Werke, ed. Weimar,  XV, 773-774.

32. Brentanno, op. cit., p. 354.

33. Id., ibid., p. 104.

34. Id., ibid., p. 63.

35. Martin Luther, Werke, ed. Weimar, VIII, 624.

36. Citato Brentanno, op. cit., p. 100.

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eBook gratis: Cinque libri su Lutero

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Lutero: vigliacco e sporcaccione  Cinque libri su Lutero

 

Il prossimo 31 ottobre a Lund, in Svezia, si apriranno le celebrazioni per il cinquecentesimo anniversario della Rivolta protestante (1517).
Le forze dell’inferno tenteranno, come sempre, di sfruttare l’occasione per colpire la Chiesa, sfigurare l’immagine di Papa Francesco, gettarci nella confusione in nome di una pastorale che distrugge la dottrina: insomma, farci perdere la fede.

Nel prevedibile caos dei mesi successivi, serviranno preghiera e penitenza perchè almeno qualcosa non cambi: l’immutabile fede dell’anima cattolica, in ginocchio, ma incrollabile, in mezzo alla convulsione generale.
Incrollabile con tutta la forza di quanti, in mezzo alla burrasca, e con una forza d’animo maggiore di questa, continuano ad affermare dal più profondo del cuore: Credo in Unam, Sanctam, Catholicam e Apostolicam Ecclesiam, contro la quale, secondo la promessa fatta a Pietro, le porte dell’inferno non prevarranno.

Servirà in modo particolare ignorare quanto vomiteranno i massmedia, tenendo invece a mente la sintesi del Catechismo Maggiore:
129. Il protestantesimo o religione riformata, come orgogliosamente la chiamarono i suoi fondatori, è la somma di tutte le eresie, che furono prima di esso, che sono state dopo, e che potranno nascere ancora a fare strage delle anime“.
Totustuus.it intende tentare di diminuire la colossale opera di manipolazione culturale, già iniziata, riproponendo cinque libri, tra i vari “downloadabili” gratuitamente dal sito.

 

Mons. Cristiani, Balmes, Cat. Trento, Benson, Card. Journet

(Storia) Mons. Leon Cristiani: La rivolta protestante
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Chi oggi parla di ‘protestantizzazione’ della Chiesa cattolica, intende in genere con questa espressione un mutamento nella concezione di fondo della Chiesa, un’altra visione del rapporto fra Chiesa e vangelo. Il pericolo di una tale trasformazione sussiste realmente; non è solo uno spauracchio agitato in qualche ambiente integrista. […] Il protestantesimo è nato all’inizio dell’epoca moderna ed è pertanto molto più apparentato che non il cattolicesimo con le idee-forza che hanno dato origine al mondo moderno. La sua attuale configurazione l’ha trovata in gran parte proprio nell’incontro con le grandi correnti filosofiche del XIX secolo. E’ la sua chance ed insieme la sua fragilità questo suo essere molto aperto al pensiero moderno” (Card. J. Ratzinger, Rapporto sulla Fede, cap. XI, ed. Paoline 2005).

(Apologetica) Jaime Balmes: Conoscere il protestantesimo
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El protestantismo comparado con el catolicismo (1842), è una poderosa opera – scritta per confutarne una sullo stesso tema del calvinista ginevrino François Pierre Guillame Guizot (1787-1874) -, che ha reso Balmes il più brillante apologista di ogni tempo. Il saggio conosce un immediato successo in tutta Europa, con traduzioni in francese, inglese, italiano e tedesco. In esso Balmes dimostra il valore anche umano del cattolicesimo, e come esso sia connaturato, quasi consustanziale, al vero progresso della civiltà europea, mentre il protestantesimo abbia invece storicamente svolto un ruolo disgregatore non solo in campo religioso, ma anche culturale, sociale e politico: “il protestantesimo porta nel suo seno un principio sovversivo […] è il libero esame, già presente in seno a tutte le sette e riconosciuto come germe di tutti gli errori“. Chiaroveggente è l’accenno al legame tra i movimenti protestanti e la diffusione della secolarizzazione: “Non serve troppa logica per passare dal Protestantesimo al Deismo, e da questo all’Ateismo c’è solo un passo“.

(Magistero) Catechismo del Concilio di Trento
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Il primo Catechismo Universale nella storia della Chiesa Cattolica, cioè destinato a tutti i parroci del mondo, di ogni tempo e luogo e perciò utile anche ai laici. Auspicato e poi supervisionato da San Carlo Borromeo, fu promulgato nel 1566 dal Papa San Pio V: «Mossi da tale stato di cose i Padri del Concilio Ecumenico Tridentino, con il vivo desiderio di adottare qualche rimedio salutare per un male così grave e pernicioso, non si limitarono a chiarire con le loro definizioni i punti principali della dottrina cattolica contro tutte le eresie dei nostri tempi, ma decretarono anche di proporre una certa formula e un determinato metodo per istruire il popolo cristiano nei rudimenti della fede, da adottare in tutte le chiese da parte di coloro cui spetta l’ufficio di legittimi pastori e insegnanti» .

(Romanzo) Robert H. Benson: Con quale autorità?
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Un formidabile romanzo storico ambientato durante il terrore anglicano di Elisabetta I. “Nel pomeriggio fu discussa la dottrina della giustificazione per la fede, ma al giovane, che incominciava a comprendere tutta l’importanza di un’autorità vivente, parve che anche questa fosse una questione secondaria, e tutta la sua attenzione si concentrò sul prete dal volto aperto e risoluto, che ascoltava sereno le volgari invettive dell’avversario e rispondeva ai suoi attacchi con abilità e destrezza. Trascorso il tempo stabilito, la disputa fu sospesa dal governatore della Torre, e i prigionieri furono ricondotti nelle loro celle“.

(Teologia) Card. Charles Journet: il primato di Pietro nella prospettiva protestante e nella prospettiva cattolica
http://www.totustuus.es/
Il punto di dissidio più evidente – se non più profondo – tra protestantesimo e cattolicesimo è costituito dal fatto che il Papa è, nell’ordine della giurisdizione, capo supremo di tutta la Chiesa. Ma occorre ricordare che l’ordine giurisdizionale, pur necessario e divino, non è la più alta e la più divina realtà della Chiesa e che esso deriva tutta la sua grandezza dalla propria destinazione, che è la carità: non una carità generica e umanistica, ma la carità della verità, cioè il servire la Chiesa custodendo il deposito della fede tramandata dagli Apostoli. Su questi temi l’accordo tra protestantesimo e cattolicesimo è impossibile“.

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Vi sono, infine, vari altri classici della Contro-Rivoluzione in argomento (tutti scaricabili gratuitamente), scritti da: Reck-Malleczewen, Christopher Dawson, Hilaire Belloc, Sant’Edmondo Campion, Robert Hugh Benson.

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Vescovi fifoni: Galantino e la CEI

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 Mons. Galantino manda la CEI alla marcia dei radicali: offesa non solo per i cattolici, ma per tutti gli italiani.
Galantino vada a casa subito, senza "se" e senza "ma".

Perché la CEI alla marcia dei radicali?

di Costanza Miriano

 

Non è rabbia, non è delusione. È un dolore lancinante, quello che provo, nel leggere che la CEI dà la sua convinta adesione alla marcia per l’Amnistia, la Giustizia, la Libertà intitolata a Marco Pannella e Papa Francesco organizzata per il 6 novembre a Roma dal Partito Radicale Transnazionale Nonviolento e Transpartito in occasione del Giubileo dei carcerati.

È un dolore perché amo di un amore filiale la Chiesa, sposa di Cristo, la amo come la mia vera famiglia, le sono riconoscente e le devo tutto, cioè il battesimo, i sacramenti che solo attraverso le sue mani ricevo, il catechismo, cioè la verità su me stessa.

Ma che sta succedendo? I nostri pastori? I nostri padri nella fede? Quelli che hanno il dovere di confermarci? Quelli che hanno il compito altissimo di annunciare Gesù Cristo crocifisso e risorto agli uomini?
Perché marciano con il partito che più di tutti ha contribuito con le sue battaglie di morte a cambiare la mentalità profonda dell’uomo contemporaneo, sempre più lontano da Dio?

Il compito della Chiesa è prima di tutto annunciare, con amore, all’uomo la verità su se stesso, non difendere i diritti umani: se non partono da Dio i diritti umani sono opinabili, relativi.
Perché un carcerato, che sia colpevole o innocente, va difeso (e io dico che va difeso!) e un bambino, sicuramente innocente, nella pancia della mamma, no?
Lo sanno, i radicali, che il Giubileo annuncia la remissione delle colpe per la salvezza eterna, e non il miglioramento della qualità della vita nelle carceri? Che c’entrano con il Giubileo persone, rispettabilissime, che non credono però nella vita eterna?

È ovvio che la CEI e  i cristiani tutti siano a favore della dignità dei carcerati. Io direi che ogni uomo che sia degno di questo nome lo è. Chi è a favore di detenzioni disumane? Chi desidera che i carcerati, già dolorosamente provati della loro libertà, stiano male (se non altro perché poi escono più arrabbiati e pericolosi di prima)? Chi è per la violenza? Chi è per la guerra? Chi è per la fame? Questi sono valori umani minimi, impossibile non condividerli.
Ma perché marciare con i radicali, quelli che si vantano di aver maciullato con le loro mani (e le pompe di bicicletta) migliaia di feti, di bambini nelle pance delle donne?
Ricordiamo che con il loro partito transnazionale, grazie a finanziamenti mondiali, i radicali hanno contribuito a rendere possibile il fatto che oggi abbiamo una candidata alla presidenza dell’impero che si è detta favorevole all’aborto al nono mese con schiacciamento della testa del bambino mentre esce dall’utero, tecnicamente un omicidio in piena regola.

Perché la Chiesa continua a non essere originale?
Non ha senso che per cercare di attirare i cuori dei ragazzi – che desiderano l’Assoluto – facciamo i concerti per i ggiovani (con due g) invitando artisti, spesso di mezza tacca, nella speranza che per sentire le loro canzoni i ragazzi si bevano anche qualche predica. Io agli eventi organizzati dalla sposa di Cristo voglio sentir parlare dello Sposo, se voglio ascoltare il cantante x – spesso non credente – vado al suo concerto.

Perché scimmiottiamo il mondo?
La risposta secondo me è semplice: non ci crediamo più neanche noi, che essere cristiani è tutta un’altra cosa. E’ entrare nella vita del battesimo, o almeno desiderarlo ardentemente, e quindi tutto il resto impallidisce al confronto, e lo spettacolino magari è pure bello, ma è un’altra cosa.

Se qualcuno dovesse ritirar fuori la vecchia roba dei muri e dei ponti: non sto dicendo che se una PERSONA che ha idee radicali dovesse avere bisogno di qualcosa non si debba essere pronti persino a dare la vita per lei.
Sto dicendo che le IDEE radicali sono irrevocabilmente, strutturalmente, irrimediabilmente, profondamente e totalmente contro Dio, che è il Dio della vita, che è il Dio che ci chiede di ascoltare la sua voce di Padre che ama e che sa qual è il meglio per noi, mentre l’uomo disegnato dai radicali è un uomo che sa solo lui cosa è bene per sé, che decide della vita sua e di quella dei più deboli, i feti, i malati che è meglio far morire di fame e di sete.

Noi dobbiamo amare le persone radicali, ma dobbiamo odiare le loro idee.
Le dobbiamo odiare proprio per amor loro.
Perché queste idee, che mettono l’uomo al centro del suo mondo, impediscono di mettere al centro del cuore Cristo, e quindi impediscono la felicità. (E le persone radicali che ho conosciuto erano infelici).
Proprio perché amiamo le persone radicali dobbiamo sperare che siano in grado di “comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza,  l’altezza e la profondità, e di conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza”.

Ero indecisa se scrivere queste parole, ma oggi alla messa, oltre alla lettera agli Efesini appena citata, che era la prima lettura, ci si è messo pure il Vangelo, e mi ha convinta. È quello in cui Gesù dice di essere venuto a portare divisione sulla terra.Fuoco. Il battesimo! Se in una famiglia ci sono cinque persone “saranno divisi tre contro due e due contro tre” dice Gesù.
Alza muri anche Gesù? Ovviamente no.
Sta parlando della divisione che c’è tra chi cerca di vivere secondo il battesimo e chi no. Non è divisione nel senso di rancore, cattiveria, odio, ovviamente. E’ che si entra in un’altra dinamica di vita e quindi si può vivere vicini, condividere tante cose, compreso l’impegno per i carcerati, per l’ambiente, contro la fame, contro la guerra, ma non si condivide l’intimo respiro che sta dentro ogni cosa.

Scrive don Giussani in “Il cammino al vero è un’esperienza” – che provvidenzialmente, parlando di tutt’altro, un amico mi ha spedito stamane – “Un cristianesimo filtrato dalla nostra saggezza, ridotto a noi, porta all’equivoco e non alla testimonianza, genera compromesso con gli avversari e non vittoria della nostra fede. Non si può annacquare il vino di Dio con l’acqua dei suoi avversari. Non si afferma il cristianesimo sottacendo gli aspetti della sua verità. Amare gli altri non è dimenticare ciò che ci distingue da loro per cercare punti d’accordo. Non ameremo gli altri se innanzitutto noi non portiamo loro la Realtà per cui non siamo come gli altri, la Realtà cioè che viene da Cristo”

E, se non sono presuntuosa nel chiosare Giussani, gli avversari non sono mai le persone, ma le bugie di cui loro sono ostaggio. Volere il loro vero bene significa annunciare la verità, quella che la Chiesa col suo deposito ci garantisce non essere una proiezione delle nostre fantasie.

È vero, il Papa parla di “piccoli passi” per non essere violenti nei confronti di chi non ha il dono della Fede, e probabilmente la decisione di dare la convinta adesione alla marcia radicale viene dal desiderio di obbedire al Papa.
Mi chiedo solo se sia stato correttamente interpretato. Un conto è non essere violenti – che so, fare una contro manifestazione in opposizione a quella radicale – un conto è aderire convintamente a quella marcia.
Per me la più grande violenza che si possa fare a qualcuno è di lasciarlo nel suo buio, nella sua bugia, nel suo errore.
È non fargli la carità.
La carità del pane (delle ciabatte i pennarelli i bagnoschiuma le penne i calzini che Padre Maurizio raccoglie da noi tutte le settimane per i detenuti, per esempio), ma anche, insieme, la carità della verità.

Dice il Papa che dobbiamo far interrogare l’altro con la nostra bontà, e solo se e quando ce lo chiederà, potremo rispondere in nome di Chi compiamo certi gesti.
È vero, non dobbiamo mettere la Verità davanti a noi, come uno stendardo, un gonfalone che ci ingombra e ci impedisce di guardare l’altro negli occhi.
Ma non possiamo neanche seguire il gonfalone degli altri, se, e sottolineo se, davvero crediamo che quello stendardo porta alla morte.

Sensibilizziamo dunque l’opinione pubblica sul tema delle carceri, e tanti amici cristiani si danno da fare concretamente per loro, ma non dimentichiamo che ci stiamo a fare su questa terra.
Non a combattere per un mondo migliore, ma a cercare Dio. E se non lo annuncia più la Chiesa, chi lo farà?
Se il sale perde sapore, con che saleremo?

Lo dico quindi, con rispetto filiale, con il dolore di una figlia grande che vede i genitori sbagliare: pastori, siate uomini, e tornate a fare i padri.
Se non dovete fare i vescovi pilota, e non lo avete fatto anche quando era il vostro popolo, il popolo della vita, le famiglie, i padri e le madri, i bambini, a chiedervelo supplicante, non fatelo neanche quando a chiedervelo è il popolo della morte.

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Vescovi conigli: il Popolo di Dio non ci sta

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 Si espande la sottomissione di una parte del clero al mondo, ma qualcuno non ci sta. Due casi di resistenza da imitare: a Savona e ad Anversa. Un Vice-sindaco e degli studenti non accettano il nuovo corso.

Rinfresco in parrocchia dopo il rito civile gay: il vicesindaco Maineri contro don Cozzi

Valeria Pretari per la: La Stampa

Mancano ormai pochi giorni al primo matrimonio gay di Ceriale e già in paese non si parla d’altro. Pomo della discordia è la sala parrocchiale dell’oratorio di Sant’Eugenio, concessa dal parroco alla coppia arcobaleno per il rinfresco dopo il rito civile in Comune, in programma lunedì.

Una notizia che ha diviso il paese a metà tra chi in fondo nella scelta del prete non ci vede nulla di male e chi invece la ritiene una stonatura che si poteva evitare.

A gridare per primo allo scandalo è stato il vicesindaco Eugenio Maineri: «Non mi stupisco che questo episodio accada in una diocesi già coinvolta in passato in numerosi scandali. Sono basito che questa unione venga festeggiata in un locale di proprietà della parrocchia con il suo benestare. A me risulta che la Chiesa si sia schierata contro le unioni di coppie dello stesso sesso e concedere la sala per brindare a questo evento è come appoggiare platealmente questo matrimonio».

Per nulla scomposto dalle polemiche e dalle voci, che in questi giorni si sono rincorse in paese è il parroco don Antonio Cozzi: «Questi due ragazzi sono cittadini come gli altri e non ritengo di aver sbagliato nell’aver concesso la sala parrocchiale. La Chiesa accoglie chiunque, io non giudico le scelte personali e le vite dei miei parrocchiani, il mio compito è tendere la mano a tutti, senza giudicare, bisogna essere misericordiosi».

Continua Maineri: «Non condivido questa scelta, anzi il prossimo anno per protesta durante la processione patronale di San Rocco non sarò di certo in prima fila vicino al parroco, ma chiuderò il corteo al fondo. Per me, parafrasando una celebre frase manzoniana: questo rinfresco non s’ha da fare». 

«No monsignore, quello che propone non è cattolico».
Studenti contro il vescovo di Anversa, che vuole benedire le unioni gay

«No monsignore, quello che propone non è cattolico». Così l’Unione degli studenti cattolici fiamminghi di Anversa ha risposto con un comunicato al proprio vescovo, monsignor Johan Bonny, che in una recente intervista a De Morgen ha affermato che la Chiesa cattolica dovrebbe riconoscere le unioni tra gay, lesbiche e bisessuali. «Penso che la Chiesa – ha dichiarato – dovrebbe essere più aperta nel riconoscere la qualità di fondo delle coppie omosessuali, lesbiche e bisessuali. I valori di fondo sono per me più importanti della forma istituzionale: l’etica cristiana difende la relazione stabile o quella dove esclusività, fedeltà e cura per l’altro abbiano un ruolo centrale».

RICONOSCERE UNIONI GAY. Già collaboratore del cardinale Walter Kasper al Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, il vescovo di Anversa, che l’anno prossimo potrebbe sostituire l’arcivescovo di Malines-Bruxelles André-Joseph Léonard, ha aggiunto che «la Chiesa deve riconoscere la qualità fondamentale di una relazione diversa [da quella tra uomo e donna]. (…) Come nella società esistono diversi quadri legali per i partner, così dovrebbe essere in seno alla Chiesa, che dovrebbe avere diverse forme di riconoscimento per diversi tipi di relazione».

«OMOSESSUALI DA SEMPRE BENVENUTI». Gli studenti cattolici hanno contestato il vescovo perché le sue parole, secondo loro, «darebbero a intendere che attualmente gli omosessuali non hanno un posto nella Chiesa. Questo è palesemente sbagliato perché (…) la Chiesa è aperta a tutte le persone, a prescindere dall’orientamento sessuale. Anche gli omosessuali, e non ci sarebbe bisogno di dirlo, sono i benvenuti».

MATRIMONIO E SESSUALITÀ. Ma parlando di riconoscere le unioni omosessuali, continuano gli studenti, «monsignor Bonny varca la frontiera della decenza e della morale. (…) Il matrimonio, sacramento istituito da Gesù, è aperto all’uomo e alla donna, che si uniscono liberamente. La sessualità esperita all’interno del matrimonio ha come obiettivo la riproduzione umana e la crescita della famiglia e la Chiesa non la ammette al di fuori del matrimonio tanto per le coppie gay quanto per quelle eterosessuali». E se la Chiesa non accetta i matrimoni tra omosessuali «è perché la sessualità non può essere asservita al suo scopo».

OMOFOBIA. Questa presa di posizione degli studenti cattolici ha suscitato la reazione dei Giovani socialisti di Anversa, che hanno criticato la «visione angosciante dell’omosessualità all’interno della Chiesa» e denunciato l’associazione studentesca cattolica per «omofobia».

di Leone Grotti, per Il Timone

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Paolo VI: Lutero fu un falso riformatore

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 Montini: Lutero falso riformatore;
la sua è la religiosità dell’uomo cieco sui misteri di Dio

 Dalla prefazione di mons. Giovanni Battista Montini al libro di Jacques Maritain Tre Riformatori. Lutero, Cartesio, Rousseau (Morcelliana, 1928)

 

«Il libro […] rintraccia le origini del soggettivismo contemporaneo, in cui si vuole dai più ravvisare quel peculiare carattere che costituisce la modernità del pensiero, e che una esperienza altrettanto dolorosamente moderna denuncia come causa delle tre grandi rivoluzioni, eufemisticamente chiamate riforme – religiosa con Lutero, filosofica con Cartesio, sociale con Rousseau –, di cui soffre l’anima e il secolo nostro, e di cui, infatuata com’è di quei dogmi riformatori, l’età nostra non riesce a scoprire né rimedio, né scampo.

Così che se coloro i quali della modernità si gloriano, come della propria ragione di vivere e di pensare, potessero persuadersi non essere tale modernità svincolata da una esorbitante influenza del passato, […] sarebbero indotti a riconoscere nel relativismo individualista, prodotto dal soggettivismo, non già una fonte ed una veste di libera personalità, ma un abbandono inavvertito e spesso servile all’opprimente gioco delle condizioni esteriori in cui essi hanno cominciato a studiare e a pensare.

[…] la triplice riforma, la quale voleva non solo mutare, ma addirittura abbattere il principio della tradizione con il principio individualista, non [ha] fatto altro che inaugurare un’altra tradizione, a cui non il dogma del vero oggettivo è sostegno, ma il dogma arbitrario e asseverante del riformatore.

[…] quando il seguace dei riformatori, ch’è il figlio del nostro mondo attuale, dopo d’essersi riconosciuto discepolo, passi a riconoscere il valore dei maestri suoi, e possa accorgersi che ad essi una sola cosa mancò – quella propria ch’è da tutti invece loro attribuita come eminentemente illustrata e vissuta, e per la quale divennero celebri -, da quale stupore, da quale disillusione e forse da quale umile e benefico desiderio di novità antica, non dovrà sentirsi sorpreso?

Poiché a Lutero mancò la religione, a Cartesio la ragione, a Rousseau la moralità sociale, non già perché rispettivamente essi abbiano verbalmente negato tale campo di loro competenza, o in esso non abbiano prodotto grandissime opere e causato durevolissime conseguenze, ma perché, riformatori volendo essere, e radicali, in realtà o in genere, negarono il principio delle cose prese a riformare; così che da Lutero ai nostri giorni, la religione piegò in religiosità, rimanendo senza altro contenuto che l’emozione dell’uomo rifatto cieco sui misteri di Dio; dopo Cartesio la filosofia si umiliò nel dubbio, fino a disperare del vero, e restar paga delle proprie esperienze immanentistiche; e la società, che in Rousseau vide il sistematore nuovo, tumultuò e perdette il primitivo amore che l’unificava, e decadde così, lottando e soccombendo travagliata da furori sovversivi e anarchici.

Perciò se la sapienza di queste limpide pagine potesse convincere qualche giovane che s’ha da esser cauti a parlar di riforme, cioè ad inventare sistemi nuovi e mai prima scoperti, e a procedere nel pensiero e nella vita con la spavalda e avventurosa libertà degli egoisti e dei rivoluzionari, credo che sarebbe raggiunto scopo sufficiente e opportuno anche per i nostri tempi e per il nostro paese».

 

Da: http://www.iltimone.org/35222,News.html

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E’ santo il piccolo guerriero cristero

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 Clamoroso autogol della TV di Galantino: il film "Cristiada", trasmesso in prima serata, mostra come la rivolta armata è non solo lecita ma anche doverosa per un cattolico. Può portare il martirio e la santificazione. E la vittoria per la causa della fede.

La Storia della Chiesa smentisce certe teorie pacifiste che trovano ancora spazio anche tra alcuni vescovi.
Incorrotto il corpo del piccolo guerriero che ha offerta la vita per Cristo Re: re dei cuori, ma anche delle nazioni.

 

La canonizzazione del martire cristero José Sanchez Del Rio

(di Cristina Siccardi) José Sanchez Del Rio, che morì a 14 anni in difesa della fede cattolica per amore di Cristo Re e della Madonna, sarà canonizzato il 16 ottobre prossimo da Papa Francesco, il quale visitò la sua tomba durante il viaggio apostolico del febbraio scorso. Nel bellissimo film Cristiada questo giovane ed eroico martire compare con lo stendardo raffigurante la Madonna di Guadalupe. «Cara mamma», scrisse prima di morire sul biglietto che sarà rinvenuto sul suo corpo, «mi hanno catturato, stanotte sarò fucilato. Ti prometto che in Paradiso preparerò un buon posto per tutti voi. Il tuo José che muore in difesa della fede cattolica per amore di Cristo Re e della Madonna di Guadalupe».

Egli nacque il 28 marzo 1913 a Sahuayo de Morelos, in Messico, nel tempo in cui governava il Presidente Plutarco Elías Calles, a capo di un governo massonico e socialista, propugnatore di leggi anticattoliche e laiciste. La persecuzione ai danni della Chiesa messicana fu feroce, l’obiettivo era quello di annientarla: scuole cattoliche e seminari chiusi, sacerdoti sottoposti all’autorità civile, preti stranieri espulsi. La popolazione non poteva sfuggire alla scelta, o rinunciare alla fede o perdere il lavoro. Di fronte a tutto ciò si sollevò una ardita, valorosa e fiera insurrezione, così forte da ricordare la resistenza vandeana ai tempi della Rivoluzione francese. Un esercito, composto da contadini, operai, studenti… difese il proprio Credo e per farlo fu costretto ad impugnare le armi. Ecco, dunque, formarsi l’esercito dei Cristeros, sostenitori del Regno sociale di Nostro Signore Gesù Cristo. «¡Viva Cristo Rey!» il loro grido di battaglia e la Madonna di Guadalupe la loro bandiera.

Il fanciullo José impugna con orgoglio quello stendardo mariano il giorno della cruenta battaglia di Cotija. È il 6 febbraio 1928. Ha supplicato la madre di non essere lasciato a guardare, ma di poter far parte della milizia di Cristo. Ottenuto il consenso, si prepara ad affrontare anche la morte: tutto per Cristo Re. Diventa così la mascotte dei Cristeros, che lo chiamano Tarcisius come il santo adolescente di Roma, che subì il martirio mentre portava l’Eucaristia ai cristiani in carcere: scoperto, aveva stretto al petto il Corpo di Gesù per non farlo cadere in mani profane e venne barbaramente ucciso, come lo sarà anche il prossimo san José.

Infatti, quando, nella concitazione della battaglia frontale un proiettile abbatte il cavallo del suo comandante, il ragazzo messicano gli offre il suo e tenta di coprirgli la ritirata a colpi di fucile, ma il tentativo fallisce, ed entrambi vengono catturati. José finisce prigioniero nella chiesa del suo paese, Sahuayo, profanata dai soldati federali e trasformata in un pollaio. Vedendo un tale sacrilegio, José non trattiene la sua santa rabbia e tira il collo a qualche gallinaceo, ma il gesto provoca una tragica rappresaglia. Alcuni soldati lo picchiano, lo torturano, tuttavia non lo piegano e non lo tacciono. A ripetizione insistente continua a formulare il grido di battaglia: «¡Viva Cristo Rey!».

L’8 febbraio è costretto ad assistere, come ammonizione, all’impiccagione di Lázaro, un altro ragazzo che era stato imprigionato insieme a lui. Il corpo del giovane, ritenuto morto, viene trascinato nel vicino campo santo, dove è abbandonato; tuttavia si tratta di morte apparente, infatti Lázaro si riprende e fugge via. La tenace e ostinata resistenza di José, che nessuna sofferenza è in grado di flettere, diventa una questione da risolvere al più presto per i persecutori. Gli aguzzini cercano di fargli rinnegare la fede promettendogli, oltre alla libertà anche del denaro, una brillante carriera militare, persino un espatrio nei ricchi Stati Uniti d’America. Ma la sua risposta è una sola: «Viva Cristo Re, viva la Madonna di Guadalupe!».

I senza Dio escogitano un’alternativa: chiedere un riscatto ai genitori, ma José li convince a non pagare. Padre e madre, autentici cattolici, che sanno vedere oltre la contingenza presente e la finitudine terrena, comprendono la giustizia filiale di quella richiesta. José riesce ancora a ricevere una volta la Santa Comunione prima del 10 febbraio 1928, quando verso le 23 i militari, con spietato odio, spellano le piante dei piedi del santo, costringendolo a camminare sul sale, per poi spingerlo verso il cimitero.

Mentre il giovane continua a gridare il nome di Gesù e di Maria, uno dei soldati lo ferisce accoltellandolo, e per l’ultima volta gli chiedono di rinnegare il suo Credo, ma egli rifiuta ancora e domanda di essere fucilato, continuando a invocare a gran voce gli immacolati Nomi. Vorrebbero finirlo a pugnalate, ma il capitano, innervosito da quelle sante grida, estrae la pistola e gli spara. José spira, ma dopo essere riuscito a tracciare una croce sul terreno con il proprio sangue.

Testimone, José Sanchez Del Rio, di fondamentale importanza per questi tempi della religione dell’uomo che si fa dio e non della Santissima Trinità, dove il pensiero massonico ha esteso il suo potere dagli “illuminati” alla cultura generale e mentalità comune, a tal punto da far apparire una Madre Teresa di Calcutta, anch’essa canonizzata il 4 settembre scorso, simbolo del moderno pensiero solidale, ignorando come essa agì dopo aver ascoltato Cristo in più visioni.

Era il 10 settembre 1946 quando avvertì la Voce di Gesù: «Voglio missionarie indiane Suore della Carità, che siano il mio fuoco d’amore fra i più poveri, gli ammalati, i moribondi, i bambini di strada. Sono i poveri che devi condurre a Me, e le sorelle che offrissero la loro vita come vittime del Mio amore porterebbero a Me queste anime», perché «Ho sete di anime». E migliaia, migliaia ne donò Madre Teresa a Dio.

«Sacro Cuore di Gesù, confido in Te. Sazierò la Tua sete di anime» scriverà all’arcivescovo Périer il 27 marzo 1957.
Alla cerimonia dei premi Nobel del 1979 gridò contro l’aborto legalizzato.
Alla domanda che le venne posta in quella sede «Che cosa possiamo fare per promuovere la pace mondiale?», ella rispose senza esitazione: «Andate a casa e amate le vostre famiglie».

Donare la vita a Dio, sia in modo cruento che in modo incruento, è il segreto della Comunione dei Santi.

(Cristina Siccardi. per http://www.corrispondenzaromana.it/la-canonizzazione-del-martire-cristero-jose-sanchez-del-rio/)

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Cattolici subalterni: i frutti

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 Una crescente parte del Popolo di Dio diviene sempre più succube della cultura moderna dominante, delle sue idee, mode e tendenze.
 E' l'eterno ritorno del "cedere per non perdere", che si oppone alla santa intransigenza fondata sulla verità.
 Il risultato? La scomparsa del Popolo di Dio, senza escludere la scomparsa delle strutture stessa della Chiesa.

"Cedere su qualcosa per non perdere applausi" è da sempre l'atteggiamento spirituale della Terza Forza giansenistica, del cattolicesimo liberale, di quello democratico o modernista, del progressismo, dei cattolici adulti della "scelta religiosa" del postconciliare.
 Al suo opposto, la vera fede ci ricorda che "la Chiesa non può sottrarsi al compito di evangelizzazione e di educazione" (Mons. L. Negri): una fede che non è missionaria, è un fede destinata all'estinzione.
 Una chiesa che rinuncia al proselitismo (cioè ad operare per la conversione di tutti degli uomini e delle nazioni), che rifiuta il comandamento finale del Vangelo di Matteo (28,19) è stata quella del QUEBEC, in Canada, sulla quale si riporta l'impressionante situazione.

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Nel regno senza cieli

Benvenuti in Québec, il luogo più ateo d’occidente. Dove il cattolicesimo è stato allegramente espugnato

di Giulio Meotti | Il Foglio del 03 Ottobre 2016

 

Un paesaggio sterminato, grande come mezza Europa, che ha il sapore della provincia francese, dove le strade sono fiancheggiate da file di case in stile franco-normanno, dalle quali si diffonde un’aria di intimità che le rende subito care al turista. E poi le botteghe che commerciano ricordi e oggetti sacri. Le strade che hanno nomi di santi, di re, di generali di Francia, tortuose e strette. Case di mattoni, con gli abbaini aperti negli aguzzi tetti d’ardesia. E le insegne: “La laiterie du public”, “Boulangerie Lapointe”, “Restaurant chez Denise”, “Hotel Normandie”…

Benvenuti in Québec, uno degli angoli più religiosi e fertili d’occidente, i cui nomi delle strade dicono tutto: Saint-Augustin-de-Desmaures, Saint-Nicolas, Saint-Basile-Sud, Sainte-Catherine-de-la-Jacques-Cartier, Notre-Dame-de-Portneuf, Saint-Marc-des-Carrières, Sainte-Anne-de-la-Pérade, Saint-Pierre-les-Becquets, Sainte-Geneviève-de-Batiscan, Saint-Luc-de-Vincennes, Saint Maurice, Saint-Louis-de-France. Ma religioso e fertile soltanto nel ricordo, ormai. Un saggio sulla rivista First Things racconta il Québec come la provincia più decristianizzata dell’emisfero occidentale.  La “scomparsa del cattolicesimo in Québec” è diventato persino un classico della sociologia della religione. “Non c’è luogo religiosamente più arido tra il Polo Nord e la Terra del Fuoco”, si legge in First Things. “E tutto è successo in un batter d’occhio”.

E pensare che fu fondata qui, in Québec, la prima chiesa di tutto il Nord America, Stati Uniti inclusi, da cui venne lanciata l’evangelizzazione del continente. La voce si è diffusa in tutto l‘occidente: “Stanno chiudendo le chiese in Québec”. Fino agli anni Ottanta, anche l’Italia importava parrocci dalla Belle Province canadese. A Montereale arrivarono dieci sacerdoti canadesi, nominati parroci dall’arcivescovo dell’Aquila, per poter riaprire finalmente le troppe chiese abbandonate da anni. Ma la colonia canadese all’Aquila non si limitava al cospicuo gruppo che si è formato intorno alla comunità del Figli di Maria. Canadese è il rettore del seminario, padre Denis Laprise, e poi il vicerettore, padre Pierre Mastropietro. L’elenco si allunga con il prefetto degli studenti del seminario, padre Roger Botly, e con il vicerettore del seminario aquilano “De Urbe”, padre Michel Palud. Oggi è il Québec a dover importare sacerdoti dal Vietnam, da Haiti e dall’America Latina.

Oggi, all’interno della chiesa di Saint-Jude, a Montréal, i personal trainer hanno preso il posto dei preti e le macchine per il body building hanno sostituito i fonti battesimali. In questa città, ex roccaforte cattolica in cui Mark Twain ha detto una volta che non si poteva buttare un mattone senza rompere una finestra di una chiesa, i canadesi non sanno più che farci con le chiese. Saint-Jude ha così lasciato il passo a un centro benessere e a una spa che ha aperto nel quartiere alla moda di Plateau Mont-Royal. La ristrutturazione, che è costata 2,65 milioni di dollari canadesi, ha vinto pure un premio della rivista Canadian Architect.

“Diventa quasi una religione per alcune persone”, ha detto al National Post Sonya Audrey Bonin, direttore generale della palestra Saint-Jude Espace Tonus. “Lo yoga, il prendersi cura di sé, essere attenti a ciò che si mangia, avere uno stile di vita sano”. E in un’epoca laica in cui le persone vanno più in palestra che in chiesa, la spa e palestra è stata salutata come un modello per preservare gli edifici religiosi che costituiscono una parte importante del patrimonio architettonico del Québec.
In Québec si è passati dal famoso “cattolicesimo culturale” all’aperta discussione sulla “exculturation” della religione cattolica. Il Théatre Paradoxe nel sud-ovest di Montréal ha rilevato la chiesa di Notre-Dame-du-Perpétuel-Secours dopo la sua chiusura nel 2009. A un costo di  2,7 milioni di dollari, il progetto ha mantenuto la chiesa nella facciata, ma la navata centrale è oggi teatro di concerti e conferenze, e gli spettacoli da discoteca hanno sostituito gli inni della domenica. Gli edifici religiosi sconsacrati in Québec sono così abbondanti che il governatorato ha istituito un comitato consultivo per contribuire ad affrontare la vendita di queste chiese. Come racconta la radio pubblica canadese Cbc, “anche la diocesi anglicana del Québec potrebbe presto essere estinta”.

Il 64 per cento delle congregazioni protestanti chiuderanno entro cinque anni o verranno integrate con altre chiese.
Al campus dell’Università del Québec, la stanza cattolica è stata trasformata in una sala da preghiera per gli studenti musulmani. E come racconta il Globe and Mail, “un terzo delle chiese cattoliche di Québec City hanno chiuso”. Nella regione di Gaspésie, un solo prete si prende cura di dieci parrocchie. A rotazione. In rue Saint Laurent, nel quartiere italiano di Montréal, un condominio di lusso sorge dove un tempo c’era Saint Jean de la Croix, vecchia e grande chiesa, dopo aver rimosso le campane e aver trasformato le navate in bilocali a migliaia di dollari il metro quadro. La diocesi cattolica di Montréal ha venduto 50 chiese ed altri edifici religiosi negli ultimi quindici anni.

Il 24 maggio 2015, è stata celebrata l’ultima messa nella famosa chiesa di San Giovanni Battista. Costruita nel 1880 e dedicata al patrono dei canadesi francesi, la chiesa era fra quelle di maggior profilo dell’arcidiocesi e della provincia del Québec. La sua capienza di 2.400 persone ne dà una importanza pari alla cattedrale di San Patrizio a New York. E nonostante fosse annoverata tra gli edifici considerati “intoccabili”, il vescovo ausiliare del Québec, Gaetan Proulx, ha parlato del “segnale che ci stiamo muovendo verso qualcosa di diverso”. Il vescovo Proulx ritiene “realistico” che la metà delle chiese debba chiudere nei prossimi dieci anni. Michael Gauvreau, uno storico della McMaster University in Ontario, e Kevin J. Christiano, un sociologo alla Notre-Dame, in un libro dal titolo “Church confronts Modernity”, fanno risalire questo deserto religioso alla “rivoluzione tranquilla” degli anni Sessanta, “il raggiungimento della maggiore età di un popolo nel suo incontro con la modernità tardiva”.

Gauvreau parla di “due decenni di intimidatoria e  sempre più acuta denigrazione di un’élite spirituale auto-nominatasi”. Come ha scritto Charles Doran, uno studioso americano: “Il clero che aveva salvato il Québec dall’arretratezza di Luigi XV e della sua corte ora è diventato un peso. Una fede cattolica che aveva fornito il cemento sociale per la colonia, il conforto dalla paura, è diventata un ricordo imbarazzante di un passato che tutti volevano dimenticare”. E’ così, come ha spiegato Richard John Neuhaus in “Appointment in Rome”, che i vescovi del Canada sono entrati “finemente in sintonia” con le preferenze e i capricci della cultura d’élite. “Con stupefacente rapidità, paragonabile soltanto dai Paesi Bassi, il Québec è passato da essere una delle società più osservanti a una fra le meno”, scrive Neuhaus. “Scuole, ospedali e servizi sociali sono stati rigorosamente confiscati; le vocazioni sacerdotali sono evaporate; la partecipazione alla messa è crollata; le chiese si sono svuotate; e i politici e i preti insieme hanno dichiarato la rivoluzione un successo”.

Anche per questo Papa Benedetto XVI aveva nominato relatore del sinodo dei vescovi del 2008 e poi prefetto della congregazione per i vescovi il canadese originario del Québec Marc Ouellet, proveniente dalla rivista internazionale di teologia Communio, fondata tra gli altri da Joseph Ratzinger e Hans Urs von Balthasar, e che da primate del Canada si è battuto per ridare voce e corpo al cristianesimo nella sua terra. Ma senza grande successo. Lo stato del cattolicesimo in Québec oggi è a dir poco triste. I sociologi parlano di una “caduta libera”. Nel 1966, c’erano 8.800 sacerdoti; oggi ce ne sono 2.600, la maggior parte dei quali anziani e molti in case di cura. Nel 1945, la partecipazione alla messa settimanale era pari al 90 per cento; oggi siamo a quattro per cento. Centinaia di comunità religiose sono semplicemente scomparse.

Il tasso di natalità è sceso da una media di quattro figli per coppia a 1,5, ben al di sotto di quello che i demografi chiamano il “tasso di sostituzione”. Si parla di un calo della fertilità così rapido e netto che non ha uguali nei paesi sviluppati. Per quanto riguarda il ruolo pubblico del clero, esso è trattato con “indifferenza gentile”. Il Consiglio del Québec per il patrimonio religioso ha riferito che un record di 72 chiese sono state chiuse nel 2014. La situazione è apparentemente ancora peggiore nell’arcidiocesi di Montréal. Da 257 parrocchie nel 1966 si è passati a 169 parrocchie nel 2013. Il nuovo arcivescovo di Montréal, Christian Lépine, ha dovuto lanciare una moratoria a tempo indeterminato sulla vendita delle chiese. I vasti edifici cattolici si svuotano, le risorse sono sempre più scarse, il clero sta invecchiando.

Nell’arcidiocesi di Québec, dal 1997 al 2010 il numero dei sacerdoti è passato da 166 a 73. Dal 2001 al 2006, la percentuale totale di battesimi in Québec è passato dal 73,5 per cento al 59,9. Quarant’anni fa, la diocesi di Montréal aveva già chiuso un certo numero di parrocchie nel centro della città. Una dozzina di chiese monumentali, vendute alle autorità pubbliche, sono state demolite per far posto a strade, scuole e parchi pubblici. Allo stesso tempo, una crescente consapevolezza dell’importanza del patrimonio cattolico ha fatto sì che questi grandi monumenti siano entrati nell’immaginario collettivo.

Uno slogan è apparso all’improvviso in tutto il Québec: “Le nostre chiese sono i nostri castelli!”. Con il suo alto campanile che può essere visto da tutta la città, la chiesa di San Giovanni Battista a Montréal era “il simbolo che la fede cattolica è ben definita qui”, ha detto il vescovo Proulx. “Le chiese sono in Québec ciò che i castelli sono in Francia”. Nello stemma del Québec vi è il giglio, il leone e la scritta “Je me souviens”: mi ricordo. Ma cosa, esattamente, si ricorda oggi in Québec?
Mentre a Roma si discute del sesso degli angeli, la Bella Provincia cattolica è già stata espugnata.

(Su questo stesso argomento, Meotti aveva scritto relativamente alla Francia: http://www.ilfoglio.it/articoli/2014/01/27/cattolici-adieu___1-v-93088-rubriche_c184.htm

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La nuova religione di Enzo Bianchi

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 Amare la Terra e fare bene da mangiare:
la nuova religione del "priore" Enzo Bianchi

di Antonio Gurrado | Il Foglio 23 Settembre 2016

 

Abbiamo una nuova religione: l'ha appena inventata padre Enzo Bianchi in occasione del Salone del Gusto, aperto a Torino fino a lunedì prossimo.

Non è una religione rivelata ma si basa su “due convinzioni”: la prima è “una sorta di undicesimo comandamento” che recita “ama la terra come te stesso”; l'altra è che il miglior modo di dimostrare amore a una persona sia farle bene da mangiare.
Le parole di "padre" Bianchi mi fanno improvvisamente accorgere di tutti gli anni gettati portando le fidanzate in ottimi ristoranti, quando anziché pagare a iosa mi sarebbe bastato imbastire una decente omelette; ma, più dell'economia, è la teologia che m'interessa.
Mi chiedo se "padre" Bianchi sia persuaso che la terra sia una divinità: una divinità creatrice (“c'è una relazione vitale tra l'uomo e la natura”), una divinità psichica (“la nostra vita interiore non è estranea alla terra”) e una divinità spietata: “Dio perdona sempre, la terra non perdona mai”.

In particolare ho remore sull'undicesimo comandamento. Non l'aveva già dato Gesù, quando aveva detto: “Vi do un comandamento nuovo, che vi amiate gli uni gli altri”?
Adesso emerge che il comandamento nuovo non parla di amare né il prossimo né Dio ma la terra; del resto Gesù non scriveva sulla Stampa, quindi è una fonte meno attendibile.
A questo comandamento nuovo "padre" Bianchi aggiunge un corollario: “Ama la terra come te stesso, e la terra ti ricompenserà”: formula più efficace, nei nostri tempi frettolosi, rispetto alla promessa che “grande sarà la vostra ricompensa nei cieli”; rispetto all'ammonimento “pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra”.

 

Non apprezzo i monaci atei

Livi, autorevole e venerabile teologo di establishment nega la cattolicità del “profeta” Bianchi

di Paolo Rodari | 19 Aprile 2012

 

"Per aver detto ciò che penso su Enzo Bianchi mi danno del cattolico tradizionalista, pigiando con disprezzo sull’aggettivo, ma io non mi sento tale, mi sento piuttosto cattolico punto e basta, uno che senza offendere nessuno cerca di difendere la vera teologia dai falsi profeti, da coloro che dicono di fare teologia e invece altro non fanno che una squallida filosofia religiosa. Bianchi è uno di questi”.

Del clero romano, già decano della facoltà di Filosofia alla Pontificia università lateranense, “il più solido filosofo metafisico che le facoltà teologiche romane e italiane abbiano conosciuto dopo padre Cornelio Fabro” (copyright Sandro Magister), insomma non proprio l’ultimo arrivato, monsignor Antonio Livi spiega al Foglio dove diavolo abbia trovato il coraggio (e soprattutto per quale motivo l’abbia voluto trovare) di attaccare a testa bassa, qualche settimana fa, il monaco più mediatico del panorama ecclesiale italiano, Enzo Bianchi il quale, oltre che fondatore e "priore" di Bose, è scrittore prolifico ed editorialista per Repubblica, Sole 24 ore, Avvenire e Famiglia Cristiana.
Un attacco durissimo e che, vergato sulle pagine del giornale cattolico on line la Bussola quotidiana, ha provocato qualche tempo dopo la reazione, in difesa di Bianchi, del direttore di Avvenire Marco Tarquinio che poi ha lasciato la palla direttamente al monaco bosiano per un botta e risposta con Livi sui generis rispetto al consueto ecclesialese del quale i personaggi di chiesa ammantano il più delle volte il loro parlare.

“Enzo Bianchi?”, si è domandato Livi il giorno che ha deciso di aprire il fuoco. “Si presenta come il priore della Comunità di Bose, che dei cristiani ritengono essere un nuovo ordine monastico, mentre canonicamente non lo è, perché non rispetta le leggi della chiesa sulla vita comune religiosa. I cattolici lo ritengono un maestro di spiritualità, un nuovo san Francesco d’Assisi capace di riproporre ai cristiani di oggi il vangelo sine glossa, ma nei suoi discorsi la scrittura non è la parola di Dio custodita e interpretata dalla chiesa ma solo un espediente retorico per la sua propaganda a favore di un umanesimo che nominalmente è cristiano ma sostanzialmente è ateo”.

Tutto è iniziato il 4 marzo, per colpa di un paginone a colori nell’inserto domenicale di Avvenire nel quale Bianchi, all’inizio della Quaresima, commentava il racconto evangelico delle tentazioni di Gesù nel deserto.
Qui, secondo Livi, Bianchi nega esplicitamente la divinità di Cristo, parla del suo “essere creatura” e lo presenta come un simbolo dell’etica sociale politically correct, l’etica dell’uomo che, come scrive il priore di Bose, deve “avere il cuore e le mani libere per dire all’altro uomo: mai senza di te”.
Ma è l’11 marzo che per Livi la misura diviene colma. Quel giorno Bianchi scrive sulla Stampa un pezzo dedicato a Hans Küng, con tanti elogi al “teologo ribelle” e una dura accusa alla Santa Sede: non comprendendo le ragioni del professore svizzero, anzi togliendogli la qualifica di teologo cattolico, la chiesa avrebbe perso un’occasione importante.
Secondo Bianchi, infatti, “le sue posizioni, così stimolanti per i cristiani di oggi e per l’uomo contemporaneo non hanno più avuto come luogo di confronto e di risonanza la comunità cattolica in quanto tale”.

Apriti cielo. Per Livi, da sempre abituato a parlare senza fronzoli e in modo spiccio davanti ai suoi alunni della Lateranense (a lezione non si toglie mai il cappotto), è davvero troppo.
Dice: “Ho recentemente pubblicato un libro, “Vera e falsa teologia” (Editrice Leonardo da Vinci), il cui sottotitolo spiega molte cose. Recita così: ‘Come distinguere l’autentica scienza della fede da un’equivoca filosofia religiosa’. Bianchi non fa teologia, non si rifà al dogma cattolico ma un’equivoca ideologia filosofico-politica che ben poco serve a comprendere e a vivere la verità rivelata da Dio. Da troppi anni il "priore" di Bose non solo gode di grande favore presso gli intellettuali atei ma è anche considerato in alcuni ambienti cristiani un ‘maestro della fede’ e un ‘profeta’ del cristianesimo del futuro: a un certo punto era opportuno che qualcuno facesse notare l’ambiguità di questa operazione culturale. Io non ho nulla contro Bianchi, e tutti hanno la libertà di interpretare il cristianesimo come meglio credono, ma è importante avvertire chi dovrebbe avere responsabilità pastorale (anche giornali come Avvenire e Famiglia Cristiana) che in materia di fede l’unica autorità garantita dalla fede stessa è il magistero della chiesa. La falsa teologia propone soltanto dottrine di uomini, invece di farsi eco della parola di Dio. La teologia è autentica serve alla fede se non contraddice il magistero del Papa e del Concilio, e nemmeno si sovrappone a essi, ma ne tenta un’interpretazione scientifica che risulti affidabile”.

Insomma, sta dicendo lei farebbe vera teologia e Bianchi no?

Io non c’entro. La chiesa ha tanti ottimi teologi anche al giorno d’oggi. Io nel mio libro critico alcuni noti teologi che seguono più Hegel che i concili ecumenici, ma rendo anche omaggio a teologi di fama internazionale come Charles Journet, Henri de Lubac, Hans Urs von Balthasar e Joseph Ratzinger (oltre a italiani come Carlo Caffarra, Inos Biffi, Rino Fisichella). Io uso la mia competenza epistemologica per mostrare qual è l’unico metodo logico per fare vera teologia. La vera teologia è opera di chi crede nella verità rivelata e procede con metodo scientifico a formulare ipotesi d’interpretazione del dogma al servizio della fede della chiesa. Ma, essendo questo il suo statuto epistemologico, essa deve rispettare il proprio limite ermeneutico e non rimettere in discussione ciò che costituisce il nucleo essenziale (sia in senso semantico che in senso aletico) della fede di sempre e di tutti. Procedere diversamente significa fare, non più teologia ma ‘filosofia religiosa’, che è un discorso su Dio e sulla religione ibrido e incoerente, privo di consistenza aletica, cioè veritativa”.

Sostiene Livi che una filosofia siffatta è anche un regresso al razionalismo e al fideismo dell’Ottocento, che già il Concilio Vaticano I aveva dichiarato incompatibili con la fede cattolica.
Dice: “Il razionalismo teologico ha avuto un suo apogeo con Hegel e Schelling, i quali parlavano dei misteri rivelati (l’incarnazione del Verbo, la Trinità) risolvendoli in elucubrazioni meramente filosofiche; nello stesso periodo Kierkegaard esaltava il fideismo. Io dico: tutti sono liberi di non credere a una rivelazione divina e di preferire al Vangelo una sapienza umana, ma non vengano a dire che è teologia, perché questa non è un nutrimento sano della fede ma una specie di sofisticazione alimentare. Chi trasforma la dottrina cristiana in cattiva teoria religiosa, ricorrendo agli artifici della letteratura di moda, allontana i fedeli dall’intelligenza della fede, facendo credere che i dogmi siano d’intralcio alla spiritualità e che la fraternità cristiana consiste nel far proprie, come se fossero sempre valide, tutte le idee dei cosiddetti ‘dissidenti’ e dei contestatori della chiesa-istituzione”.

Alle parole di Livi, Bianchi ha reagito.
Scrivendogli una lettera poi resa pubblica, Bianchi assicura Livi della sua “fede cattolica” e della sua “leale appartenenza alla chiesa”. E ancora: “La fede che professo” ha scritto “è quella del credo che proclamo ogni domenica nella messa. Per me, quindi, Gesù Cristo è il Figlio di Dio, il Signore morto e risorto per la nostra salvezza. Se non lo ritenessi tale, ma solo un uomo, lei pensa che avrei scelto la vita monastica cristiana, che da quasi cinquant’anni tento di vivere, con fatiche e inadempienze certo, ma nella fede in Lui?”.
Dice Livi: “Un conto è dire che si crede in Dio, un altro è continuare a proclamare attraverso i propri scritti un umanesimo ateo. Anche nelle scorse ore Bianchi ha scritto che la resurrezione di Cristo è un simbolo, il simbolo dell’amore che vince la morte. Scrivere così significa buttare ogni cosa della fede – che è il regno del concreto esistenziale – sull’astratto, nell’ideologia. Significa distruggere il dogma e ridurre la chiesa a umanesimo, il tutto mostrandosi, agli occhi dei credenti, come un profeta, portatore di un messaggio in qualche modo divino. Tutto ciò altro non è che un millantato credito di un intellettuale che molti considerano un monaco, un sacerdote e un teologo, mentre queste qualifiche, nei termini in cui vengono usate nella chiesa cattolica, non gli appartengono”.

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Calo di presenze dei pellegrini alla Sede Apostolica

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 Nonostante la forte attenzione riservata dai massmedia al Santo Padre, sembra che il popolo di Dio stia disertando sempre più i pellegrinaggi alla Sede Apostolica.
I dati delle Udienze Generali, della Confcommercio e CNA.

Altro che Olimpiadi, il vero scandalo è il Giubileo

Piangono alberghi, ristoranti, negozi e trasporto Nell’Anno Santo a picco turismo e consumi
(http://www.iltempo.it/roma-capitale/2016/09/23/roma-altro-che-olimpiadi-il-vero-scandalo-e-il-giubileo-1.1576097)

 

Il conto ufficiale dei pellegrini arrivati nella Capitale in oltre otto mesi di tempo dall’inizio del Giubileo segna 16.348.566; è aggiornato al 18 settembre e cresce di ora in ora. Eppure, questi 16 milioni e più di visitatori non hanno avuto un minimo di impatto economico sulla città: niente segno più per l’occupazione alberghiera, tantomeno per i pubblici esercizi, niente ancora per il commercio al dettaglio né per i trasporti su gomma. Insomma, mancano un paio di mesi alla fine dell'evento giubilare e per le categorie produttive è stato un vero e proprio flop. Tanto da far dare un giudizio unanime: «Saremmo andati molto meglio se il Giubileo non ci fosse stato».

TURISMO

Il più categorico nel suo giudizio è Giuseppe Roscioli, presidente Federalberghi Roma: «Da gennaio 2016 a luglio, gli arrivi sono aumentati dell’1,5% ma l’anno scorso sull’anno precedente nello stesso periodo considerato l’incremento era stato del 4,61%. Questo significa che siamo cresciuti molto di più quando il Giubileo non c’era». È vero, precisa Roscioli, «c’è stato anche l’allarme terrorismo che ha rallentato il flusso turistico, ma in Europa, al netto dell’Italia, il turismo è cresciuto del 5%, quindi il problema sta proprio nella Capitale». Sono i dati dell’occupazione degli alberghi 1 e 2 stelle i più emblematici: avrebbero dovuto raccogliere il maggior numero di pellegrini visto che si tratta di un turismo di qualità bassa. Invece, nel periodo gennaio/luglio 2016 gli alberghi a 1 stella hanno segnato una diminuzione dello 0,08% degli arrivi e dell’1,03% delle presenze mentre quelli a 2 stelle del 2,69% delle presenze e del 2,33% degli arrivi.

EXTRALBERGHIERO

Un po’ meglio è andata al settore extralberghiero, almeno a livello di occupazione delle stanze che sono rimaste tra gennaio e agosto al 70-80%. Ma, spiega Claudio Cuomo, presidente extralberghiero della Confesercenti: «Il Giubileo ha influito negativamente sul fronte prezzi, scesi fino a 35-40 euro a camera. Questo è stato causato dal fatto che la clientela che di solito spende di più ha evitato di venire a Roma proprio perché c’era il Giubileo e quella che è venuta ha una capacità di spesa molto più bassa». In poche parole è stata la qualità del turismo a risentirne maggiormente.

BAR E RISTORANTI

Più turisti che girano e che, si diceva, avrebbero consumato nei bar e nei ristoranti. Almeno così speravano gli esercenti. Tutt’altro. Claudio Pica, presidente Associazione esercenti di Roma e Provincia, parla addirittura di un danno per il settore. «La flessione degli incassi è intorno al 6-8% da inizio del Giubileo ad oggi quando invece avevamo stimato un incremento di almeno il 10% degli affari. Gli esercenti hanno grossi problemi ad essere in regola con i pagamenti ai fornitori e a mantenere gli stessi livelli occupazionali». Anche nell’area attorno ai Musei Vaticani i ristoratori lamentano scontrini medi di 15 euro, segno che il turista che entra si ferma alla bibita e al panino più che consumare seduto al tavolo.

TRASPORTI

Da sempre i pellegrini richiamano i pullman privati che li trasportano da una parte all’altra della città. Per questo Giubileo, tuttavia, il via vai dei torpedoni è stato ridotto proprio all’osso. Parla di vero e proprio flop Paolo Delfini, presidente Cna trasporto: «Prima del Giubileo registravamo una media di 400 pullman al giorno. Oggi siamo al 60/70 per cento in meno, un danno notevole per il settore». Una prova? «Basta vedere che nelle zone a più alta concentrazione di pellegrini, come ad esempio via della Conciliazione o via Gregorio VII, altezza San Pietro, non si registrano per nulla file di pullman o traffico».

SHOPPING

E sul fronte commercio? Peggio che mai. Per David Sermoneta, presidente dell'Associazione Piazza di Spagna «questo turismo non è certo quello che spende nei negozi del centro per fare shopping». Ma neppure nelle vie più periferiche si registra il minimo movimento da poter imputare al Giubileo. 

Damiana Verucci

 

Alle udienze di Papa Francesco si registra un forte calo di presenze.

da: http://www.lalucedimaria.it/alle-udienze-di-papa-francesco-si-registra-un-forte-calo-di-presenze/

Cerchiamo di capire il motivo del vistoso calo di popolarità e di consensi nei confronti di Papa Francesco che secondo questi dati ufficiali riguardanti le presenze alle udienze di Bergoglio mettono in luce questa realtà indiscutibile. Una spiegazione plausibile secondo noi potrebbe essere che molti hanno frainteso le dichiarazioni del Pontefice su alcune tematiche delicate […].

Un’emorragia lenta e costante, che in poco più di due anni ha assunto proporzioni preoccupanti. Il numero delle persone che il mercoledì si reca a piazza San Pietro per assistere all’ udienza del Papa ha iniziato a calare con l’ avvento di Francesco al soglio di Pietro, ed il trend non accenna a cambiare verso.

Da che è diventato Pontefice, Bergoglio ha perso suppergiù due fedeli su tre. I numeri non potrebbero essere più ufficiali: a diffondere il conto delle presenza è stata infatti la Prefettura della casa pontificia, ossia l’ organismo vaticano che ha tra i propri compiti quello di provvedere all’organizzazione delle udienze. L’occasione per la pubblicazione del riepilogo è stata offerta dalla centesima udienza tenuta da Bergoglio questo mercoledì.

I numeri: ai cento appuntamenti di Francesco hanno preso parte in totale 3.147.600 persone.
Interessante il dato disaggregato sui singoli anni. Nel 2013, primo anno di pontificato del Papa argentino, i fedeli presenti sono stati 1.548.500 per un totale di 30 udienze (da tenere a mente che il pontificato è iniziato nel marzo di quell’ anno); nel 2014 alle 43 udienze officiate da Francesco hanno preso parte 1.199.000 fedeli; per l’ anno in corso, dove si contano 27 udienze compresa quella di questa settimana, il totale si ferma a quota 400.100.

Per rendersi conto della portata di questa emorragia è utile fare il calcolo delle presenze medie per udienza: nel 2013 l’ udienza papale media è stata seguita da 51.617 persone, nel 2014 da 27.883, nel 2015 da 14.818. E il trend sembra essere in ulteriore contrazione, dato che dal Vaticano fanno sapere che all’ ultima udienza l’ affluenza si è attestata in circa sulle diecimila persone. In ultima analisi, da quando è diventato Papa Jorge Bergoglio ha perso per strada poco meno di due fedeli su tre.

Il confronto diventa ancora più stridente se si va a fare il confronto con chi lo ha preceduto alla guida della Chiesa. I numeri di Giovanni Paolo II, non a caso passato alla storia come Pontefice tra i più amati di sempre, restano irraggiungibili: nel suo primo anno di pontificato, in sole nove udienze, Wojtyla raggiunse quota 200mila fedeli, arrivando nel corso dell’ anno successivo al picco fatto senare a quota 1.585.000 fedeli. Dopo qualche anno di relativa stanca, il grande exploit con l’ Anno Santo del 2000, quando i pellegrini tornarono ad essere in numero superiore ad un milione e 400mila.

MEGLIO RATZINGER

Se da un Pontefice dal carisma unanimemente riconosciuto come Wojtyla certi numeri non stupiscono, lo stesso non può tuttavia dirsi per un Papa al contrario dipinto come respingente e poco incline a suscitare il carisma delle folle: Joseph Ratzinger.

Negli otto anni di Pontificato, Benedetto XVI ha fatto registrare un totale di 20.544.970 fedeli tra incontri in Vaticano e a Castel Gandolfo. Particolarmente lusinghieri i risultati del 2012 (quando i pellegrini sono stati in tutto 2.351.200), del 2011 (2.553.800, persino meglio dell’ anno che sarebbe seguito) e quelli relativi all’ inizio del pontificato: nei primi otto mesi da guida della Chiesa, infatti, Ratzinger aveva fatto registrare oltre 2 milioni e 800 mila fedeli, con 810mila fedeli in appena nove udienze da aprile (momento dell’ elezione) alla fine dell’ anno.
Un trend che, come detto, in seguito all’elezione di papa Francesco ha conosciuto una brusca ed inattesa inversione di tendenza. E che, visti i dati di questi ultimi mesi, le carte in regola per peggiorare pare averle tutte.

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