Prove di discriminazione dell’insegnamento di religione
ROMA, martedì, 7 febbraio 2006 (ZENIT.org).- Ha suscitato l’indignazione degli insegnanti di religione e delle famiglie degli alunni l’ordinanza del TAR del Lazio che ha annullato alcuni punti della Circolare Ministeriale numero 84 del 10 novembre 2005 ed ha accolto il ricorso dei “Cobas scuola”, secondo cui l’insegnamento della religione cattolica non va effettuato “nell’ambito delle materie curricolari”.
I “Cobas scuola” prima e la “CGIL-FL” poi avevano presentato un ricorso al TAR sostenendo l’illegittimità della circolare del Ministero dell’Istruzione, perché si violava la normativa che regolamenta la valutazione dell’ora di religione cattolica come ora facoltativa ed era quindi da inserire in un documento valutativo a parte da consegnare solo a quanti scelgono di avvalersene. I sindacati, inoltre, ravvisavano la violazione dell’iter previsto dal Garante della privacy perché venivano trattati dati sensibili che riguardano la biografia degli alunni.
Il Tar ha preso in esame il ricorso presentato dai “Cobas scuola” e, in via cautelativa, lo ha accolto, almeno su due punti:
1) il provvedimento viola la normativa prevista dal T.U. n. 196/2003 in materia di tutela della privacy. In altre parole, l’amministrazione scolastica, prima di raccogliere dati sensibili come quelli contenuti nel portfolio, avrebbe dovuto dotarsi di un regolamento.
2) la Circolare violerebbe l’art. 304 del T.U. 297 del 1994 in quanto prevede che l’insegnamento dell’ora di religione sia inserito tra le materie curricolari anziché tra quelle facoltative.
Per capire il senso e le implicazioni di questa ordinanza, ZENIT ha interpellato il professor Nicola Incampo, Responsabile della sezione Insegnanti della Religione Cattolica (IRC) del sito www.culturacattolica.it.
“Quando si parla dell’ora di religione a scuola sembra che la parola d’ordine di alcuni sindacati sia quella di cacciare fuori gli insegnanti di religione – ha osservato Incampo –. Da tempo e in varie occasioni abbiamo documentato questa tendenza”.
“Notiamo con amarezza come i rapporti con alcuni sindacati su tali argomenti siano ormai impregnati di ideologismo e pregiudizi come neanche nelle stagioni peggiori del Novecento, senza alcuna capacità di affrontare un qualsiasi tema con la dovuta obiettività”, ha continuato il docente di religione.
In merito alla pronuncia del TAR del Lazio che ha annullato alcuni punti della Circolare Ministeriale, il professor Incampo ha sottolineato che “il vero problema, non è l’inserimento della valutazione dell’ora di religione sulla pagella, ma l’esclusione dell’insegnamento della religione cattolica dalla scuola”.
“Non è un caso che i Cobas stanno raccogliendo le firme per invalidare l’assunzione in ruolo degli insegnanti di religione. Vorrei far notare che non è mai avvenuto che un sindacato si sia opposto a delle assunzioni”.
Quanto al compito dell’insegnamento della religione, Incampo ha ricordato che “il Concordato non pone il cattolicesimo come una scelta religiosa della maggioranza degli italiani e neppure come una porta aperta alla Chiesa Cattolica per la formazione dei credenti”.
Chiede, tuttavia, che il cattolicesimo “venga conosciuto a livello scolastico quale forma religiosa che ha contribuito alla formazione della identità della cultura italiana, della nostra civiltà a livello delle sue espressioni non solo letterarie e artistiche ma anche di vita della comunità”.
L’attuale situazione storica, ha osservato, “moltiplica la presenza di altre culture” e non si farebbe “un buon servizio, proprio a quei cittadini di altre civiltà”, se non si chiarisse “a loro e per loro la nostra identità culturale italiana che non può non dirsi cristiana e cattolica in particolare”.
“L’Insegnamento della Religione Cattolica propone delle ipotesi di risposta alle grandi domande di significato di cui ogni giovane è portatore. Il che non significa che ogni alunno italiano si chiuda nella propria beata identità, ma al contrario che senta il desiderio di confrontarsi con i valori di altre culture diverse dalla nostra”.
“Per questo – ha concluso – siamo certi che un sano interscambio porti ad un arricchimento che può venirci dall’altro e che tale confronto possegga anche i criteri di giudizio e di valutazione”.
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