(www.chiesa) Il lungo cammino della convivenza con gli islamici

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Il cardinale scrive, il principe risponde. Le ragioni che dividono il papa dai musulmani

Il contrasto non è solo di fede. Riguarda anche le conquiste dell’Illuminismo: dalla libertà religiosa alla parità tra uomo e donna. La Chiesa cattolica le ha fatte proprie, l’islam no. Riusciranno a discuterne, quando Benedetto XVI e i musulmani della lettera dei 138 si incontreranno?

di Sandro Magister

ROMA, 2 gennaio 2008 – Il nuovo anno ha in agenda, in Vaticano, un incontro che il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, ha preannunciato come "storico", in un’intervista a "L’Osservatore Romano" del 30 dicembre.

L’incontro è previsto in primavera. E avverrà tra Benedetto XVI e una delegazione dei 138 musulmani autori della lettera aperta "Una parola comune tra noi e voi" indirizzata al papa e ad altri capi cristiani lo scorso ottobre.

Oltre che il papa, i rappresentanti dell’islam incontreranno anche altre autorità vaticane e avranno sedute di lavoro in istituti come il PISAI, il Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica.

Ad aprire la strada a questo evento è stato lo scambio epistolare che è avvenuto in novembre e dicembre tra Benedetto XVI – tramite il cardinale segretario di stato Tarcisio Bertone – e un autorevole promotore della lettera dei 138, il principe di Giordania Ghazi bin Muhammad bin Talal.

Come anticipato dalle due lettere, In febbraio o marzo tre rappresentanti dei 138 si recheranno a Roma a concordare gli incontri.

Fra i tre vi saranno l’unico italiano presente tra i 138, Yahya Sergio Yahe Pallavicini, imam della moschea al-Wahid di Milano, e il teologo libico Aref Ali Nayed, autore ben noto ai lettori di www.chiesa, docente a Cambridge e in passato chiamato a insegnare al PISAI.

Nello stesso mese di febbraio il cardinale Tauran si recherà all’università al-Azhar del Cairo, la più importante università dell’islam sunnita. E avrà incontri con la World Islamic Call Society della Libia e con il Royal Institute for Inter-Faith Studies di Amman.

Nella citata intervista a "L’Osservatore Romano" Tauran si è detto "molto fiducioso" e ha apprezzato le "considerevoli aperture" di cui danno prova settori importanti del mondo musulmano.

Ma le difficoltà da superare restano comunque grandi. Lo scambio di lettere tra il cardinale Bertone e il principe di Giordania evidenzia che le due parti non sono affatto concordi soprattutto su un punto essenziale: sui temi da mettere al centro del confronto.

Nella lettera del cardinale Bertone, datata 19 novembre e resa pubblica una decina di giorni dopo, i temi di discussione proposti sono principalmente tre: “un effettivo rispetto della dignità di ogni persona umana”; "la conoscenza obiettiva della religione dell’altro"; "l’impegno comune alla promozione del rispetto e dell’accettazione reciproci tra i giovani".

Commentando la lettera di Bertone, il gesuita egiziano Samir Khalil Samir – che è uno degli islamologi più ascoltati dal papa, assieme all’altro gesuita Christian W. Troll, tedesco – ha sottolineato che sul primo di questi temi la lettera dei 138 non è chiara e, anzi, alcuni dei suoi firmatari si dicono per niente interessati a discutere di libertà di coscienza, di uguaglianza tra uomo e donna e tra credente e non credente, di distinzione tra potere religioso e politico, insomma di quelle conquiste dell’Illuminismo che la Chiesa cattolica ha fatto proprie ma che l’islam è ancora lontano dall’accogliere.

Viceversa, la lettera del principe di Giordania al cardinale Bertone, datata 12 dicembre e anch’essa resa pubblica una decina di giorni dopo, insiste perché il dialogo cattolico-musulmano sia primariamente "teologico" e "spirituale" e abbia come oggetto – più che aspetti definiti "estrinseci" come i comandamenti della legge naturale, la libertà religiosa e la parità tra uomo e donna – quella "Parola comune tra noi e voi" che è al centro della lettera dei 138, ossia l’unicità di Dio e il duplice comandamento dell’amore di Dio e del prossimo.

Non mancano nella lettera del principe di Giordania delle stoccate polemiche nei confronti della linea vaticana. La prima stoccata è dove la lettera cita il comunicato di alcuni delegati musulmani all’incontro interreligioso di Napoli del 21-23 ottobre 2007, organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio: un comunicato scritto per protestare contro alcune dichiarazioni fatte in quei giorni dal cardinale Tauran, sulla quasi impossibilità di una discussione teologica con l’islam, e contro il silenzio di Benedetto XVI, in visita a Napoli, a proposito della lettera dei 138.

La seconda stoccata è nel finale della lettera ed è rivolta contro "alcune recenti dichiarazioni provenienti dal Vaticano e da consiglieri vaticani". Qui il bersaglio è di nuovo il cardinale Tauran, assieme agli islamologi Samir e Troll. Un’analisi critica della lettera dei 138, fatta da Troll, era uscita su "La Civiltà Cattolica", con l’autorizzazione della segreteria di stato, negli stessi giorni in cui il cardinale Bertone aveva scritto al principe di Giordania, a nome del papa.

Tornando a Benedetto XVI, il dialogo da lui voluto con l’islam resta quello spiegato in un passaggio del suo discorso prenatalizio alla curia romana del 22 dicembre 2006:

"In un dialogo da intensificare con l’Islam dovremo tener presente il fatto che il mondo musulmano si trova oggi con grande urgenza davanti a un compito molto simile a quello che ai cristiani fu imposto a partire dai tempi dell’Illuminismo e che il Concilio Vaticano II, come frutto di una lunga ricerca faticosa, ha portato a soluzioni concrete per la Chiesa cattolica.

"Si tratta dell’atteggiamento che la comunità dei fedeli deve assumere di fronte alle convinzioni e alle esigenze affermatesi nell’Illuminismo.

"Da una parte, ci si deve contrapporre a una dittatura della ragione positivista che esclude Dio dalla vita della comunità e dagli ordinamenti pubblici, privando così l’uomo di suoi specifici criteri di misura.

"D’altra parte, è necessario accogliere le vere conquiste dell’Illuminismo, i diritti dell’uomo e specialmente la libertà della fede e del suo esercizio, riconoscendo in essi elementi essenziali anche per l’autenticità della religione.

"Come nella comunità cristiana c’è stata una lunga ricerca circa la giusta posizione della fede di fronte a quelle convinzioni – una ricerca che certamente non sarà mai conclusa definitivamente – così anche il mondo islamico con la propria tradizione sta davanti al grande compito di trovare a questo riguardo le soluzioni adatte.

"Il contenuto del dialogo tra cristiani e musulmani sarà in questo momento soprattutto quello di incontrarsi in questo impegno per trovare le soluzioni giuste. Noi cristiani ci sentiamo solidali con tutti coloro che, proprio in base alla loro convinzione religiosa di musulmani, s’impegnano contro la violenza e per la sinergia tra fede e ragione, tra religione e libertà".

Dallo scambio di lettere tra il cardinale Bertone e il principe di Giordania si ricava che la distanza tra le due parti resta molto ampia e profonda, rispetto a questo percorso indicato da Benedetto XVI.

Ecco dunque i testi integrali delle due lettere, inframmezzati da una breve esegesi alla lettera di Bertone scritta da padre Samir per la rivista "Mondo e Missione" del Pontificio Istituto Missioni Estere:

1. Al principe di Giordania Ghazi bin Muhammad bin Talal

dal cardinale segretario di stato Tarcisio Bertone

Altezza Reale,

il 13 ottobre 2007 una lettera aperta rivolta a Sua Santità Papa Benedetto XVI e ad altri responsabili cristiani è stata firmata da centotrentotto capi religiosi musulmani, tra i quali Lei, Altezza. Lei, a sua volta, è stato così cortese da presentarla al Vescovo Salim Sayegh, Vicario del Patriarca latino di Gerusalemme in Giordania, con la richiesta che venisse inoltrata a Sua Santità.

Il Papa mi ha chiesto di trasmettere la sua gratitudine a Lei Altezza e a tutti coloro che hanno firmato la lettera. Desidera inoltre esprimere profondo apprezzamento per questo gesto, per lo spirito positivo che ha ispirato il testo e per l’esortazione a un impegno comune per la promozione della pace nel mondo.

Senza ignorare o minimizzare le nostre differenze di cristiani e musulmani, possiamo e quindi dobbiamo prestare attenzione a ciò che ci unisce, ed esattamente la fede nell’unico Dio, il creatore provvidente e il giudice universale che alla fine dei tempi considererà ogni persona secondo le sue azioni. Siamo tutti chiamati ad impegnarci totalmente con lui e ad obbedire alla sua sacra volontà.

Memore del contenuto dell’enciclica "Deus Caritas Est" ("Dio è amore") Sua Santità è rimasto particolarmente colpito dall’attenzione prestata nella lettera al duplice comandamento dell’amore verso Dio e verso gli uomini.

Come sa, all’inizio del suo Pontificato, Papa Benedetto XVI ha affermato: "Sono profondamente convinto che dobbiamo affermare, senza cedimenti alle pressioni negative dell’ambiente, i valori del rispetto reciproco, della solidarietà e della pace. La vita di ogni essere umano è sacra sia per i cristiani sia per i musulmani. Abbiamo un grande spazio di azione in cui sentirci uniti al servizio dei fondamentali valori morali" (Discorso ai rappresentanti di alcune comunità musulmane a Colonia, 20 agosto 2005). Questo terreno comune ci permette di fondare il dialogo su un effettivo rispetto della dignità di ogni persona umana, sulla conoscenza obiettiva della religione dell’altro, sulla condivisione dell’esperienza religiosa e, infine, sull’impegno comune alla promozione del rispetto e dell’accettazione reciproci tra i giovani.

Il Papa confida nel fatto che, una volta raggiunto questo obiettivo, sarà possibile cooperare in modo produttivo in seno alla cultura e alla società e per la promozione della giustizia e della pace nella società e in tutto il mondo.

Incoraggiando la sua lodevole iniziativa, sono lieto di comunicare che Sua Santità desidera ardentemente ricevere Lei, Altezza, e un ristretto gruppo che Lei vorrà scegliere tra i firmatari della Lettera aperta. Al contempo, un incontro di lavoro potrebbe essere organizzato dalla vostra delegazione insieme con il Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, con la cooperazione di alcuni Pontifici Istituti specializzati, come il Pontificio Istituto di Studi Arabi Islamici e la Pontificia Università Gregoriana. I dettagli di questi incontri potranno essere decisi in seguito se questa proposta si dimostrerà per Lei accettabile in linea di massima.

Colgo l’occasione per rinnovarLe, Altezza, l’assicurazione della mia più elevata considerazione.

Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato

Dal Vaticano, 19 novembre 2007

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2. Commento alla lettera del cardinale Bertone

di Samir Khalil Samir

A una lettera di quasi trenta pagine, Benedetto XVI risponde con una di meno di 400 parole. Potrebbe sembrare scortese. Invece è una risposta che va in profondità.

Comincia con un “profondo apprezzamento per lo spirito positivo che ha ispirato il testo e per l’esortazione a un impegno comune per la promozione della pace nel mondo”. E papa Benedetto ha spesso invitato tutti a condannare la violenza senza ambiguità.

Continua: “Senza ignorare o sminuire le nostre differenze in quanto cristiani e musulmani, possiamo e quindi dovremmo guardare a ciò che ci unisce”. È tipico di questo papa: una visione positiva, mai parziale. Le differenze non devono nascondere ciò che ci unisce, né queste nascondere le differenze. Una parola di verità (qawl al-haqq) come dice il Corano (sura 19,34) di Cristo: “Egli è la Parola di verità”.

Il papa enumera tre elementi comuni: il fatto di credere nell’unico Dio, che è provvido creatore e (secondo aspetto) giudice universale, che alla fine dei tempi valuterà ciascuno secondo le sue azioni. Infine (terzo aspetto) il fatto che siamo tutti chiamati a dedicarci totalmente a lui e ad obbedire alla sua santa volontà.

Per non rimanere nei “pii voti”, avanza però una proposta, che è la cosa più importante di tutta la lettera: un invito per un incontro di lavoro tra un gruppo di firmatari scelto dal promotore della lettera e un gruppo di specialisti scelti dalla parte cristiana. Si tratta di concretizzare la buona volontà e di renderla duratura. Il papa elenca quattro temi di discussione.

Il primo è “l’effettivo rispetto della dignità di ogni persona umana”. Nella lettera dei 138 non c’è un accenno chiaro a questo punto. La dignità presuppone rispetto della libertà di coscienza, uguaglianza tra uomo e donna, tra credente e non credente, distinzione tra il potere religioso e quello politico. Alcuni dei redattori musulmani della lettera pensano: “Il dialogo etico-sociale avviene già ogni giorno, attraverso istituzioni del tutto secolari. Perciò molti teologi musulmani non sono affatto interessati a un dialogo puramente etico tra culture e civiltà”. Invece, per il papa – come disse il 22 dicembre 2006 nel discorso ai cardinali della curia romana – “è necessario accogliere le vere conquiste dell’Illuminismo, i diritti dell’uomo e specialmente la libertà della fede e del suo esercizio, riconoscendo in essi elementi essenziali anche per l’autenticità della religione”. Per lui, “il contenuto del dialogo tra cristiani e musulmani è in questo momento soprattutto quello di incontrarsi nell’impegno per trovare le soluzioni giuste”. Insieme ai musulmani, impegnarsi “contro la violenza e per la sinergia tra fede e ragione, tra religione e libertà”. Nel dialogo la Chiesa s’ispira al Vangelo, ma non lo mette come fondamento per non escludere nessuno. Il fondamento è “la dignità di ogni persona umana”, espressa dai diritti umani.

Il secondo punto è la conoscenza obiettiva della religione dell’altro. In realtà, né i cristiani hanno una conoscenza seria dell’islam, né i musulmani del cristianesimo. Questo implica una revisione di tutti i libri scolastici, come dei discorsi tenuti in chiesa o in moschea. È un programma vasto, lungo ed essenziale.

Il terzo punto: condividere l’esperienza religiosa. La fede è esperienza di Dio, e non qualcosa di intellettuale, un’ideologia. Dialogare è condividere l’esperienza profonda dell’altro.

L’ultimo punto è incentrato sui più giovani. Occorre far crescere una nuova generazione che promuova il rispetto e l’accettazione reciproca. Sono i giovani, infatti, a rischiare di lasciarsi trascinare nell’ideologia della violenza. Con questa risposta di Benedetto XVI ai 138 si passa, dunque, dai buoni sentimenti a un progetto di costruzione della pace, cominciando dai giovani.

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3. Al cardinale segretario di stato Tarcisio Bertone

dal principe di Giordania Ghazi bin Muhammad bin Talal

Eminenza,

La ringrazio per la sua cortese lettera del 19 novembre 2007, una copia della quale mi è stata consegnata dal nunzio pontificio in Giordania il 27 novembre 2007. Io sono solo uno dei 138 firmatari della lettera aperta "Una parola comune tra noi e voi", ma per rispondere alla sua lettera ho contattato e consultato un buon numero tra i principali autorevoli musulmani e sapienti religiosi che hanno firmato o poi aderito alla lettera aperta. Ed essi hanno gentilmente acconsentito che coordinassi questa risposta anche in loro vece. Posso quindi rispondere, a nome loro e mio personale, come segue.

Innanzitutto, La ringraziamo per la sua risposta, per la lettera e gli amichevoli suggerimenti. La preghiamo di trasmettere il nostro grazie anche a Sua Santità papa Benedetto XVI per il suo personale incoraggiamento e interessamento.

In secondo luogo, anche noi siamo molto desiderosi di incontrare Sua Santità a Roma. Ci è rimasta caldamente impressa nella mente e nel cuore la recente visita in Vaticano di Sua Maestà. Abd Allah bin Abd Al-Aziz, re dell’Arabia Saudita e custode dei Due Luoghi Santi.

Terzo, accettiamo, in via di principio, il dialogo che ci ha proposto, nella sua concezione generale e nell’impostazione. Le invieremo, Dio volendo, nel febbraio o nel marzo del 2008, come lei preferisce, tre rappresentanti per elaborare con Sua Eminenza o con suoi rappresentanti i dettagli dell’’organizzazione e delle procedure. Se Sua Eminenza avesse delle date particolari che preferirebbe all’interno di quel lasso di tempo, La pregheremmo di informarci di conseguenza.

Quarto, riceviamo la lettera di Sua Eminenza come risposta alla nostra lettera aperta "Una parola comune". Inoltre, Sua Eminenza dice che “"Sua Santità è rimasto particolarmente colpito dall’attenzione prestata nella lettera al duplice comandamento dell’amore verso Dio e verso gli uomini." e che “"possiamo e quindi dobbiamo prestare attenzione a ciò che ci unisce, ed esattamente la fede nell’unico Dio, il creatore provvidente e il giudice universale che alla fine dei tempi considererà ogni persona secondo le sue azioni"”, tuttavia “"senza ignorare o minimizzare le nostre differenze di cristiani e musulmani". Capiamo così che l’’aspetto ‘intrinseco’ di questo nostro particolare dialogo cattolico-musulmano sarà basato, Dio volendo, sulla nostra lettera "Una parola comune" – che è, come ben sa, essenzialmente un’affermazione dell’unico Dio e del duplice comandamento di amare Lui e il prossimo – anche se traspare che tra noi esistono delle differenze nell’interpretazione o comprensione del testo di questa lettera, ognuna in accordo con le rispettive sensibilità religiose e tradizioni. Queste stesse differenze sono anch’’esse presumibilmente un argomento di discussione tra noi, e dovrebbero essere un’’occasione per il reciproco rispetto ed omaggio, e non per una disputa che divide.

Crediamo anche che Sua Santità papa Benedetto XVI abbia proposto i Dieci Comandamenti (di Esodo 20, 2-17 e Deuteronomio 5, 6.-21) come una base di dialogo tra ebrei, cristiani e musulmani. Non abbiamo alcuna obiezione a proposito di questa eccellente idea aggiuntiva, come base della dimensione ‘estrinseca’ del nostro dialogo (poiché questi comandamenti sono ripetutamente prescritti anche nel Santo Corano in varie forme), nonostante il comandamento di osservare il Sabato, che il Sacro Corano menziona come istituito da Dio per gli antichi israeliti ma che i musulmani non sono più tenuti ad osservare in quanto tale. Per ‘intrinseco”’ intendo ciò che si riferisce alle nostre anime e alla loro intima impronta, mentre per “’estrinseco’” intendo ciò che è riferito al mondo e quindi alla società.

È su questa comune base intellettuale e spirituale, quindi, che capiamo che stiamo perseguendo, Dio volendo, un dialogo sui tre temi generali di dialogo che Sua Eminenza ha saggiamente menzionato nella sua lettera: (1) "“effettivo rispetto della dignità di ogni persona umana"”; (2) “"conoscenza obiettiva della religione dell’altro”" attraverso “"la condivisione dell’esperienza religiosa”"; e (3) "un impegno comune alla promozione del rispetto e dell’accettazione reciproci tra i giovani". Potremmo forse anche discutere su come portare i risultati del nostro dialogo su questi tre temi a una realizzazione pratica tra cristiani e musulmani, basata su "Una Parola Comune" ed i Dieci Comandamenti (ferma restando la precisazione sopra detta sul Sabato).

Quinto, la nostra ‘visione’ di dialogo è stata espressa con esattezza dal comunicato di alcuni dei delegati musulmani all’incontro "Per un mondo senza violenza: religioni e culture in dialogo", (Napoli, 21-23 ottobre 2007, Comunità di Sant’Egidio), quando dissero:

"Il dialogo è per definizione tra persone di differenti vedute, non tra persone con lo stesso punto di vista. Il dialogo non è imporre agli altri le proprie concezioni, né decidere in proprio ciò che l’altra parte è capace o no di fare, tanto meno di credere. Il dialogo comincia con una mano aperta e un cuore aperto. Propone ma non fissa unilateralmente un’agenda. È ascoltare l’altra parte che parla liberamente per sé, e insieme è esprimere se stessi. Il suo proposito è vedere dove ci sia un terreno comune per incontrarsi e quindi rendere il mondo migliore, più pacifico, più armonioso e più capace di amare".

Il nostro ‘motivo’ per dialogare è essenzialmente quello di voler cercare la buona volontà e la giustizia al fine di praticare quello che noi musulmani chiamiamo rahmah (e quello che voi preferite chiamare caritas), in modo di ricevere a nostra volta Rahmah da Dio. Il Profeta Muhammad (su di lui la pace e la benedizione di Dio) disse: "A chi non dimostra misericordia, non sarà dimostrata Misericordia" (Sahih Bukhari, Kitab Al-Adab, n. 6063).

Infine, il nostro ‘metodo’ di dialogo è in accordo col divino comandamento del Santo Corano: "Non disputate con le genti del Libro se non nel modo migliore, eccetto con quelli di loro che sono ingiusti. Dite: “Crediamo in quello che è stato fatto scendere su di noi e in quello che è stato fatto scendere su di voi, il nostro Dio e il vostro sono lo stesso Dio e a Lui ci sottomettiamo" (Al-Ankabut, il Ragno 29, 46).

Noi confidiamo, naturalmente, che Lei abbia un analogo atteggiamento generale a favore del dialogo, poiché leggiamo con piacere (nella prima Lettera ai Corinti 13, 1-6) le parole di san Paolo:

"Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova. La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, Non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ ingiustizia, ma si compiace della verità".

Richiamo queste ultime cose soltanto a seguito di alcune recenti dichiarazioni provenienti dal Vaticano e da consiglieri vaticani – che non possono essere sfuggite all’attenzione di Sua Eminenza –– riguardo al principio di fondo del dialogo teologico con i musulmani. Anche se molti di noi considerano queste dichiarazioni superate dalla sua lettera, nondimeno desideriamo ripeterle che anche noi, al pari di Lei, riteniamo che un accordo teologico completo tra cristiani e musulmani non sia intrinsecamente possibile per definizione, ma nonostante questo desideriamo cercare e promuovere una comune attitudine e cooperazione basata su ciò in cui siamo d’accordo (come menzionato sopra) –– comunque si voglia chiamare questo tipo di dialogo: “’teologico’” o “’spirituale”’ o in qualsivoglia altro modo – per la ricerca del bene comune e per il bene del mondo intero, Dio volendo.

Colgo questa occasione per estendere alla sua persona i migliori auguri e il mio profondo rispetto, e le chiedo di trasmettere a Sua Santità papa Benedetto XVI i nostri migliori auguri per un Natale gioioso e di pace.

Ghazi bin Muhammad bin Talal

Amman, Giordania, 12 Dicembre 2007