(www.chiesa) Il Papa detta la linea pastorale ai vescovi americani

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"Venerati fratelli nell’episcopato…"

di Benedetto XVI

Discorso ai vescovi degli Stati Uniti, Washington, 17 aprile 2008
Venerati fratelli nell’episcopato, grande è la mia gioia nel
salutarvi oggi, all’inizio della mia visita in questo paese, e
ringrazio il cardinale George per le gentili parole rivoltemi a nome
vostro. Desidero ringraziare ognuno di voi, specialmente gli officiali
della conferenza episcopale, per l’impegnativo lavoro che hanno
affrontato nella preparazione di questo viaggio. Il mio grato
apprezzamento va inoltre allo staff e ai volontari del Santuario
Nazionale, i quali ci hanno qui accolto questa sera. I cattolici
d’America sono noti per la loro leale devozione alla sede di Pietro. La
mia visita pastorale qui è un’occasione per rafforzare ulteriormente i
vincoli di comunione che ci uniscono. Abbiamo iniziato con la
celebrazione della preghiera serale in questa basilica dedicata
all’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, santuario di
speciale significato per i cattolici americani, proprio nel cuore della
vostra capitale. Uniti in preghiera con Maria, Madre di Gesù,
amorevolmente affidiamo al nostro Padre celeste il Popolo di Dio in
ogni parte degli Stati Uniti.

Per le comunità cattoliche di Boston, New York, Filadelfia e
Louisville, questo è un anno di celebrazioni particolari, dato che
segna il bicentenario dell’erezione di queste Chiese locali a diocesi.
Mi unisco a voi nel rendere grazie per i molti celesti doni concessi
alla Chiesa in tali luoghi nei trascorsi due secoli. Dato che l’anno
corrente segna pure il bicentenario dell’erezione della sede
fondatrice, Baltimora, ad arcidiocesi, questo mi offre l’opportunità di
ricordare con ammirazione e gratitudine la vita e il ministero di John
Carroll, primo vescovo di Baltimora e degno pastore della comunità
cattolica nella vostra nazione resasi da poco indipendente. I suoi
instancabili sforzi per diffondere il Vangelo nel vasto territorio
affidato alle sue cure posero le basi della vita ecclesiale nel vostro
paese e permisero alla Chiesa in America di crescere verso la
maturazione. Oggi la comunità cattolica che servite è una delle più
vaste del mondo ed una delle più influenti. Quanto importante è dunque
far sì che la vostra luce brilli di fronte ai vostri concittadini e al
mondo "perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro
Padre che è nei cieli" (Mt 5, 16).

Molte delle persone nei confronti delle quali John Carroll e i suoi
confratelli vescovi esercitarono il ministero due secoli orsono erano
giunte da terre lontane. La diversità della loro provenienza è riflessa
nella ricca varietà della vita ecclesiale dell’odierna America. Cari
fratelli vescovi, desidero incoraggiare voi e le vostre comunità a
continuare ad accogliere gli immigranti che si uniscono alle vostre
file oggi, a condividere le loro gioie e speranze, a sostenerli nelle
loro sofferenze e prove, e ad aiutarli a prosperare nella loro nuova
casa. Questo, d’altra parte, è ciò che fecero i vostri concittadini per
generazioni. Sin dagli inizi, essi hanno aperto le porte agli
affaticati, ai poveri, alle "masse che si accalcavano alla ricerca di
respirare nella libertà" (cfr il sonetto inciso sulla Statua della
Libertà). Queste erano le persone che l’America ha fatto proprie.

Fra quanti vennero qui per costruirsi una nuova vita, molti furono
capaci di far buon uso delle risorse e delle opportunità che vi
trovarono, e di raggiungere un alto livello di prosperità. In verità, i
cittadini di questo paese sono conosciuti per la loro grande vitalità e
creatività. Essi sono pure conosciuti per la loro generosità. Dopo
l’attacco alle Torri Gemelle, nel settembre del 2001, ed ancora dopo
l’uragano Katrina nel 2005, gli americani hanno mostrato la loro
prontezza a venire in aiuto dei loro fratelli e sorelle che erano nel
bisogno. A livello internazionale, il contributo offerto dal popolo
d’America alle operazioni di soccorso e di salvataggio dopo lo tsunami
del dicembre del 2004 è un’ulteriore dimostrazione di tale compassione.
Permettetemi di esprimere particolare apprezzamento per le innumerevoli
forme di assistenza umanitaria offerta dai cattolici americani
attraverso le Caritas cattoliche ed altre agenzie. La loro generosità
ha dato frutti nell’attenzione verso i poveri e i bisognosi, come pure
nell’energia manifestata nella costruzione della rete nazionale di
parrocchie cattoliche, di ospedali, scuole e università. Tutto ciò
offre solido motivo per rendere grazie.

L’America è anche una terra di grande fede. La vostra gente è ben
conosciuta per il fervore religioso ed è fiera di appartenere ad una
comunità orante. Ha fiducia in Dio e non esita ad introdurre nei
discorsi pubblici ragioni morali radicate nella fede biblica. Il
rispetto per la libertà di religione è profondamente radicato nella
coscienza americana, un dato di fatto che ha contribuito a far sì che
questo paese attraesse generazioni di immigranti alla ricerca di una
casa dove poter liberamente rendere culto a Dio secondo i propri
convincimenti religiosi.

In questo contesto, prendo atto volentieri della presenza fra di
voi di vescovi da tutte le venerabili Chiese orientali in comunione con
il successore di Pietro: li saluto con speciale gioia. Cari fratelli,
vi chiedo di rassicurare le vostre comunità del mio profondo affetto e
dell’incessante preghiera, sia per loro come pure per i molti fratelli
e sorelle rimasti nella loro terra d’origine. La vostra presenza in
questo paese è memoria della coraggiosa testimonianza per Cristo di
tanti membri delle vostre comunità, spesso tra le sofferenze, nelle
rispettive patrie. Ciò è anche un grande arricchimento per la vita
ecclesiale in America, poiché offre una vivida espressione della
cattolicità della Chiesa e della varietà delle sue tradizioni
liturgiche e spirituali.

È in questo suolo fertile, nutrito da così numerose differenti
fonti, che voi, venerati fratelli nell’episcopato, siete chiamati oggi
a spargere la semente del Vangelo. Questo mi conduce a domandarmi come,
nel ventunesimo secolo, un vescovo possa adempiere al meglio alla
chiamata di "fare nuova ogni cosa in Cristo, nostra speranza"? Come può
egli condurre il suo popolo "all’incontro con il Dio vivente", sorgente
di quella speranza che trasforma la vita di cui parla il Vangelo? (cfr
"Spe salvi", 4). Forse egli ha bisogno anzitutto di abbattere alcune
barriere che impediscono tale incontro. Anche se è vero che questo
paese è contrassegnato da un genuino spirito religioso, la sottile
influenza del secolarismo può tuttavia segnare il modo in cui le
persone permettono che la fede influenzi i propri comportamenti. È
forse coerente professare la nostra fede in chiesa alla domenica e poi,
lungo la settimana, promuovere pratiche di affari o procedure mediche
contrarie a tale fede? È forse coerente per cattolici praticanti
ignorare o sfruttare i poveri e gli emarginati, promuovere
comportamenti sessuali contrari all’insegnamento morale cattolico, o
adottare posizioni che contraddicono il diritto alla vita di ogni
essere umano dal concepimento alla morte naturale? Occorre resistere ad
ogni tendenza a considerare la religione come un fatto privato. Solo
quando la fede permea ogni aspetto della vita, i cristiani diventano
davvero aperti alla potenza trasformatrice del Vangelo.

Per una società ricca, un ulteriore ostacolo ad un incontro con il
Dio vivente sta nella sottile influenza del materialismo, che può
purtroppo molto facilmente concentrare l’attenzione sul "cento volte
tanto" promesso da Dio in questa vita, a spese della vita eterna che
egli promette per il tempo che verrà (Mc 10,30). Le persone hanno oggi
bisogno di essere richiamate allo scopo ultimo dell’esistenza. Hanno
bisogno di riconoscere che dentro di loro vi è una profonda sete di
Dio. Hanno bisogno di avere l’opportunità di attingere al pozzo del suo
amore infinito. È facile essere ammaliati dalle possibilità quasi
illimitate che la scienza e la tecnica ci offrono; è facile compiere
l’errore di pensare di poter ottenere con i nostri propri sforzi
l’adempimento dei bisogni più profondi. Questa è un’illusione. Senza
Dio, il quale ci dona ciò che da soli non possiamo raggiungere (cfr
"Spe salvi", 31), le nostre vite sono in definitiva vuote. Le persone
hanno bisogno di essere continuamente richiamate a coltivare una
relazione con lui, che è venuto affinché avessimo la vita in abbondanza
(cfr Gv 10,10). Lo scopo di ogni nostra attività pastorale e
catechetica, l’oggetto della nostra predicazione, il centro stesso del
nostro ministero sacramentale deve esser quello di aiutare le persone a
stabilire ed alimentare una simile relazione vitale con "Cristo Gesù,
nostra speranza" (1 Tm 1,1).

In una società che dà molto valore alla libertà personale e
all’autonomia, è facile perdere di vista la nostra dipendenza dagli
altri, come pure le responsabilità che noi abbiamo nei loro confronti.
Questa accentuazione dell’individualismo ha influenzato persino la
Chiesa (cfr Spe salvi, 13-15), dando origine ad una forma di pietà che
talvolta sottolinea il nostro rapporto privato con Dio a scapito della
chiamata ad esser membri di una comunità redenta. Eppure sin
dall’inizio, Dio vide che "non è bene che l’uomo sia solo" (Gn 2,18).
Siamo stati creati come esseri sociali che trovano compimento soltanto
nell’amore verso Dio e verso il prossimo. Se vogliamo veramente tenere
fisso lo sguardo su di lui, sorgente della nostra gioia, dobbiamo farlo
come membri del Popolo di Dio (cfr Spe salvi, 14). Se ciò sembrasse
andar contro la cultura odierna, sarebbe semplicemente un’ulteriore
prova dell’urgente necessità di una rinnovata evangelizzazione della
cultura.

Qui in America siete stati benedetti con un laicato cattolico di
considerevole varietà culturale, che pone i propri multiformi doni al
servizio della Chiesa e della società in generale. Esso guarda a voi
per ricevere incoraggiamento, guida e indirizzo. In un’epoca satura di
informazioni, l’importanza di offrire una solida formazione della fede
non rischia di essere sopravalutata. I cattolici americani hanno
riservato per tradizione un alto valore all’educazione religiosa, sia
nelle scuole che nell’insieme dei programmi di formazione per adulti:
occorre mantenere ed espandere. I numerosi uomini e donne che
generosamente si dedicano alle opere caritative devono essere aiutati a
rinnovare il loro impegno mediante una "formazione del cuore": un
"incontro con Dio in Cristo che susciti in loro l’amore ed apra il loro
animo agli altri" ("Deus caritas est", 31). In un’epoca in cui i
progressi nelle scienze mediche portano nuova speranza a molti, possono
essere suscitate sfide etiche in antecedenza inimmaginabili. Ciò rende
più importante che mai assicurare una solida formazione negli
insegnamenti morali della Chiesa a quei cattolici che sono impegnati
nella sfera della salute. Una saggia guida è necessaria in tutti questi
campi di apostolato, perché possano portare frutti abbondanti. Se essi
vogliono veramente promuovere il bene integrale della persona, devono
essi stessi essere resi nuovi in Cristo nostra speranza.

Quali annunciatori del Vangelo e guide della comunità cattolica,
voi siete chiamati anche a partecipare allo scambio di idee nella
pubblica arena, per aiutare a modellare atteggiamenti culturali
adeguati. In un contesto in cui la libertà di parola è apprezzata e un
dibattito robusto ed onesto viene incoraggiato, la vostra è una voce
rispettata che molto ha da offrire alla discussione sulle questioni
sociali e morali dell’attualità. Nel far sì che il Vangelo venga udito
in modo chiaro, voi non soltanto formate le persone della vostra
comunità, ma, nell’ambito della più vasta platea della comunicazione di
massa, aiutate a diffondere il messaggio della speranza cristiana in
tutto il mondo.

L’influenza della Chiesa nel pubblico dibattito, è chiaro, si
effettua a molti livelli diversi. Negli Stati Uniti, come altrove, vi
sono attualmente molte leggi già in vigore o in discussione che
suscitano preoccupazione dal punto di vista della moralità e la
comunità cattolica, sotto la vostra guida, deve offrire una
testimonianza chiara ed unitaria su tali materie. Ancor più importante,
tuttavia, è l’apertura graduale delle menti e dei cuori della comunità
più ampia alla verità morale: qui c’è ancora molto da fare. In questo
ambito è cruciale il ruolo dei fedeli laici nell’agire come "lievito"
nella società. Tuttavia, non si deve dare per scontato che tutti i
cittadini cattolici pensino secondo l’insegnamento della Chiesa circa
le questioni etiche fondamentali di oggi. Ancora una volta è vostro
dovere far sì che la formazione morale offerta ad ogni livello della
vita ecclesiale rifletta l’autentico insegnamento del Vangelo della
vita.

A tale proposito, un argomento di profonda preoccupazione per noi
tutti è la situazione della famiglia all’interno della società. È vero:
il cardinale George ha prima ricordato come voi abbiate posto il
rafforzamento del matrimonio e della vita familiare fra le priorità
della vostra attenzione nei prossimi anni. Nel Messaggio di quest’anno
per la Giornata Mondiale per la Pace, ho parlato del contributo
essenziale che una vita familiare sana offre alla pace entro e fra le
nazioni. Nella casa della famiglia sperimentiamo "alcune componenti
fondamentali della pace: la giustizia e l’amore tra fratelli e sorelle,
la funzione dell’autorità espressa dai genitori, il servizio amorevole
ai membri più deboli perché piccoli o malati o anziani, l’aiuto
vicendevole nelle necessità della vita, la disponibilità ad accogliere
l’altro e, se necessario, a perdonarlo" (n. 3). La famiglia è inoltre
il luogo primario dell’evangelizzazione, nella trasmissione della fede,
nell’aiutare i giovani ad apprezzare l’importanza della pratica
religiosa e dell’osservanza della domenica. Come non essere sconcertati
nell’osservare il rapido declino della famiglia quale elemento basilare
della Chiesa e della società? Il divorzio e l’infedeltà sono in
aumento, e molti giovani uomini e donne scelgono di ritardare il
matrimonio o addirittura di ignorarlo completamente. Per alcuni giovani
cattolici il vincolo sacramentale del matrimonio appare scarsamente
distinguibile da un legame civile, o è percepito addirittura come un
semplice accordo per vivere con un’altra persona in modo informale e
senza stabilità. In conseguenza si vede un allarmante decremento di
matrimoni cattolici negli Stati Uniti insieme ad un aumento di
coabitazioni, nelle quali il reciproco donarsi degli sposi al modo di
Cristo, mediante il sigillo di una pubblica promessa di vivere le
esigenze di un impegno indissolubile per l’intera esistenza, è
semplicemente assente. In tali circostanze viene negato ai figli
l’ambiente sicuro di cui hanno bisogno per crescere come esseri umani,
e vengono pure negati alla società quegli stabili pilastri che sono
necessari, se si vuole mantenere la coesione e il centro morale della
comunità.

Come il mio predecessore, il papa Giovanni Paolo II, insegnava, "il
primo responsabile della pastorale familiare nella diocesi è il
Vescovo. Egli deve consacrare interessamento, sollecitudine, tempo,
personale, risorse; soprattutto, però, appoggio personale alle famiglie
ed a quanti lo aiutano nella pastorale della famiglia" ("Familiaris
consortio", 73). È vostro compito proclamare con forza gli argomenti di
fede e ragione che parlano dell’istituto del matrimonio, compreso come
impegno per la vita fra un uomo e una donna, aperto alla trasmissione
della vita. Tale messaggio dovrebbe risuonare di fronte alle persone di
oggi, poiché è essenzialmente un "sì" incondizionato e senza riserve
alla vita, un "sì" all’amore e un "sì" alle aspirazioni del cuore della
nostra comune umanità, mentre ci sforziamo di portare a compimento il
nostro profondo desiderio di intimità con gli altri e con il Signore.

Fra i segni contrari al Vangelo della vita che si possono trovare
in America, ma anche altrove, ve n’è uno che causa profonda vergogna:
l’abuso sessuale dei minori. Molti di voi mi hanno parlato dell’enorme
dolore che le vostre comunità hanno sofferto quando uomini di Chiesa
hanno tradito i loro obblighi e compiti sacerdotali con un simile
comportamento gravemente immorale. Mentre cercate di eliminare questo
male ovunque esso capiti, siate sicuri del sostegno orante del Popolo
di Dio in tutto il mondo. Giustamente voi date priorità alla
manifestazione di compassione e sostegno alle vittime: è responsabilità
che vi viene da Dio, quali Pastori, quella di fasciare le ferite
causate da ogni violazione della fiducia, di favorire la guarigione, di
promuovere la riconciliazione e di accostare con amorevole
preoccupazione quanti sono stati così seriamente danneggiati.

La risposta a simile situazione non è stata facile e, come indicato
dal presidente della vostra conferenza episcopale, è stata "talvolta
gestita in pessimo modo". Ora che la dimensione e la gravità del
problema sono compresi più chiaramente, avete potuto adottare misure di
rimedio e disciplinari più adeguate e promuovere un ambiente sicuro che
offre maggiore protezione ai giovani. Mentre si deve ricordare che la
stragrande maggioranza dei sacerdoti e dei religiosi in America
svolgono un’eccellente opera nel recare il messaggio liberante del
Vangelo alle persone affidate alle loro premure pastorali, è di vitale
importanza che i soggetti vulnerabili siano sempre protetti da quanti
potrebbero causare ferite. A tale proposito, i vostri sforzi per
alleviare e proteggere stanno portando grande frutto non soltanto nei
confronti di quanti sono posti direttamente sotto la vostra cura
pastorale, ma anche dell’intera società.

Se vogliamo che raggiungano il loro pieno scopo, tuttavia, occorre
che le misure e le strategie da voi adottate siano poste in un contesto
più ampio. I bambini hanno diritto di crescere con una sana
comprensione della sessualità e il ruolo che le è proprio nelle
relazioni umane. Ad essi dovrebbero essere risparmiate le
manifestazioni degradanti e la volgare manipolazione della sessualità
oggi così prevalente; essi hanno il diritto di essere educati negli
autentici valori morali radicati nella dignità della persona umana. Ciò
ci riporta alla considerazione sulla centralità della famiglia e sulla
necessità di promuovere il Vangelo della vita. Che cosa significa
parlare della protezione dei bimbi quando la pornografia e la violenza
possono essere guardate in così tante case attraverso i mass media
ampiamente disponibili oggi? Dobbiamo con urgenza riaffermare i valori
che sorreggono la società, così da offrire a giovani e adulti una
solida formazione morale. Tutti hanno un ruolo da svolgere in tale
compito, non solo i genitori, le guide religiose, gli insegnanti e i
catechisti, ma anche l’informazione e l’industria dell’intrattenimento.
Sì, ogni membro della società può contribuire a questo rinnovamento
morale e trarre beneficio da esso. Prendersi cura davvero dei giovani e
del futuro della nostra civiltà significa riconoscere la nostra
responsabilità di promuovere e di vivere quegli autentici valori morali
che soli rendono capace la persona umana di prosperare. È vostro
compito di pastori che hanno come modello Cristo, il Buon Pastore, di
proclamare in modo forte e chiaro tale messaggio e di affrontare
pertanto il peccato d’abuso entro il più vasto contesto dei
comportamenti sessuali. Inoltre, nel riconoscere il problema e
nell’affrontarlo quando accade in un contesto ecclesiale, voi potete
offrire un orientamento agli altri, dato che questa piaga si trova non
solo dentro le vostre diocesi, ma in ogni settore della società. Essa
esige una risposta determinata e collettiva.

Pure i sacerdoti hanno bisogno della vostra guida e della vostra
vicinanza durante questo tempo difficile. Essi hanno sperimentato la
vergogna per ciò che è accaduto e molti di loro percepiscono di avere
perduto parte di quella fiducia che una volta avevano. Non sono pochi
quelli che sperimentano una vicinanza a Cristo nella sua passione,
mentre si sforzano di affrontare le conseguenze della crisi presente.
Il vescovo, come padre, fratello e amico dei suoi sacerdoti, li può
aiutare a trarre frutto spirituale da questa unione con Cristo,
rendendoli consci della consolante presenza del Signore nel mezzo delle
loro sofferenze, ed incoraggiandoli a camminare con il Signore nel
sentiero della speranza (cfr "Spe salvi", 39). Come osservava il papa
Giovanni Paolo II sei anni orsono, "dobbiamo aver fiducia che questo
tempo di prova porterà una purificazione dell’intera comunità
cattolica", che condurrà "ad un sacerdozio più santo, ad un episcopato
più santo e ad una Chiesa più santa" (Messaggio ai cardinali degli
Stati Uniti, 23 aprile 2002, 4). Vi sono molti segni che, nel periodo
successivo, una tale purificazione ha davvero avuto luogo. La costante
presenza di Cristo nel mezzo delle nostre sofferenze sta gradualmente
trasformando le nostre tenebre in luce: ogni cosa viene fatta nuova
veramente in Cristo Gesù, nostra speranza.

In questo momento parte vitale del vostro compito è di rafforzare i
rapporti con i vostri sacerdoti, specialmente in quei casi in cui è
sorta tensione fra preti e Vescovi in conseguenza della crisi. È
importante che continuiate a dimostrare nei loro confronti la vostra
preoccupazione, il vostro sostegno e la vostra guida attraverso
l’esempio. Così di certo li aiuterete ad incontrare il Dio vivente e li
orienterete verso quella speranza che trasforma l’esistenza della quale
parla il Vangelo. Se voi stessi vivrete in un modo che si configura
strettamente a Cristo, il Buon Pastore, che diede la vita per le sue
pecore, ispirerete i vostri fratelli sacerdoti a dedicarsi nuovamente
al servizio del gregge con la generosità che caratterizzò Cristo. In
verità, una concentrazione più chiara sull’imitazione di Cristo nella
santità di vita è ciò che abbisogna, se vogliamo andare avanti.
Dobbiamo riscoprire la gioia di vivere un’esistenza incentrata su
Cristo, coltivando le virtù ed immergendoci nella preghiera. Quando i
fedeli sanno che il loro pastore è uomo che prega e dedica la propria
vita al loro servizio, rispondono con quel calore ed affetto che nutre
e sostiene la vita dell’intera comunità.

Il tempo trascorso nella preghiera non è mai gettato via, per
quanto siano importanti i doveri che ci pressano da ogni dove.
L’adorazione di Cristo nostro Signore nel Santissimo Sacramento
prolunga ed intensifica quell’unione a lui che si costituisce mediante
la celebrazione eucaristica (cfr "Sacramentum caritatis", 66). La
contemplazione dei misteri del Rosario sprigiona tutta la loro forza
salvifica conformandoci, unendoci e consacrandoci a Gesù Cristo (cfr
"Rosarium Virginis Mariae", 11.15). La fedeltà alla Liturgia delle Ore
assicura che l’intero nostro giorno sia santificato, ricordandoci
continuamente la necessità di restare concentrati nel compiere l’opera
di Dio, nonostante tutte le urgenze o le distrazioni che possono
sorgere nei confronti degli obblighi da compiere. In tale maniera, la
devozione ci aiuta a parlare e ad agire "in persona Christi", ad
insegnare, governare e santificare i fedeli nel nome di Gesù, recando
la sua riconciliazione, la sua guarigione ed il suo amore a tutti i
suoi amati fratelli e sorelle. Questa radicale configurazione a Cristo
Buon Pastore è al centro del nostro ministero pastorale e se apriamo
noi stessi, mediante la preghiera, alla potenza dello Spirito, Egli ci
elargirà i doni di cui abbiamo bisogno per compiere il nostro
formidabile dovere, tanto da non dover mai preoccuparci "di come o di
che cosa parlare" (Mt 10,19).

Nel concludere questo mio discorso rivolto a voi questa sera,
affido in maniera tutta particolare la Chiesa che è nel vostro Paese
alla materna sollecitudine e all’intercessione di Maria Immacolata,
Patrona degli Stati Uniti. Possa lei, che ha portato nel proprio grembo
la speranza di tutte le nazioni, intercedere per il popolo di questa
nazione, affinché tutti siano resi nuovi in Cristo Gesù, il Figlio suo.
Cari fratelli vescovi, assicuro a ciascuno di voi qui presente la mia
profonda amicizia e la mia partecipazione alle vostre preoccupazioni
pastorali. A voi tutti, al clero, ai religiosi ed ai fedeli laici
imparto cordialmente la benedizione apostolica, pegno di gioia e di
pace in Cristo Risorto.

__________

I vescovi domandano, il papa risponde

D. – Santo Padre, come valuta la crescente sfida del secolarismo
nella vita pubblica e del relativismo nella vita intellettuale? Come
suggerisce di affrontare tali sfide, per una evangelizzazione più
efficace?

R. – Ho affrontato brevemente questo tema nel mio discorso. Ritengo
significativo il fatto che qui in America, a differenza di molti luoghi
in Europa, la mentalità secolare non si è posta come intrinsecamente
opposta alla religione. All’interno del contesto della separazione fra
Chiesa e Stato, la società americana è sempre stata segnata da un
fondamentale rispetto della religione e del suo ruolo pubblico e, se si
vuol dar credito ai sondaggi, il popolo americano è profondamente
religioso. Ma non è sufficiente contare su questa religiosità
tradizionale e comportarsi come se tutto fosse normale, mentre i suoi
fondamenti vengono lentamente erosi. Un impegno serio nel campo
dell’evangelizzazione non può prescindere da una diagnosi profonda
delle sfide reali che il Vangelo ha di fronte nella cultura
contemporanea americana.

Naturalmente, ciò che è essenziale è una corretta comprensione
della giusta autonomia dell’ordine secolare, un’autonomia che non può
essere disgiunta da Dio Creatore e dal suo piano di salvezza (cfr
"Gaudium et spes", 36). Forse il tipo di secolarismo dell’America pone
un problema particolare: mentre permette di credere in Dio e rispetta
il ruolo pubblico della religione e delle Chiese, sottilmente tuttavia
riduce la credenza religiosa al minimo comune denominatore. La fede
diviene accettazione passiva che certe cose "là fuori" sono vere, ma
senza rilevanza pratica per la vita quotidiana. Il risultato è una
crescente separazione della fede dalla vita: il vivere "come se Dio non
esistesse". Ciò è aggravato da un approccio individualistico ed
eclettico alla fede e alla religione: lungi dall’approccio cattolico
del "pensare con la Chiesa", ogni persona crede di avere un diritto di
individuare e scegliere, mantenendo i vincoli sociali ma senza una
conversione integrale, interiore alla legge di Cristo. Di conseguenza,
piuttosto che essere trasformati e rinnovati nell’animo, i cristiani
sono facilmente tentati di conformarsi allo spirito del secolo (cfr Rm
12,2). L’abbiamo constatato in maniera acuta nello scandalo dato da
cattolici che promuovono un presunto diritto all’aborto.

A un livello più profondo, il secolarismo sfida la Chiesa a
riaffermare e a perseguire ancor più attivamente la sua missione nel e
al mondo. Come è stato reso chiaro dal Concilio, i laici a questo
riguardo hanno una responsabilità particolare. Sono convinto che ciò di
cui vi è bisogno sia un maggior senso del rapporto intrinseco fra il
Vangelo e la legge naturale da una parte, e il perseguimento dall’altra
dell’autentico bene umano, come viene incarnato nella legge civile e
nelle decisioni morali personali. In una società che giustamente tiene
in alta considerazione la libertà personale, la Chiesa deve promuovere
ad ogni livello i suoi insegnamenti – nella catechesi, nella
predicazione, nell’istruzione seminaristica ed universitaria –
un’apologetica tesa ad affermare la verità della rivelazione cristiana,
l’armonia tra fede e ragione, ed una sana comprensione della libertà,
vista in termini positivi come liberazione sia dalle limitazioni del
peccato che per una vita autentica e piena. In una parola, il Vangelo
dev’esser predicato ed insegnato come un modo di vita integrale, che
offre una risposta attraente e veritiera, intellettualmente e
praticamente, ai problemi umani reali. La "dittatura del relativismo",
alla fin fine, non è nient’altro che una minaccia alla libertà umana,
la quale matura soltanto nella generosità e nella fedeltà alla verità.

Si potrebbe dire molto di più, naturalmente, su questo argomento:
lasciatemi concludere, tuttavia, dicendo che io credo che la Chiesa in
America, in questo preciso momento della sua storia, ha di fronte a sé
la sfida di ritrovare la visione cattolica della realtà e di
presentarla in maniera coinvolgente e con fantasia ad una società che
fornisce ogni genere di ricette per l’auto realizzazione umana. Penso
in particolare al nostro bisogno di parlare al cuore dei giovani, i
quali, nonostante la costante esposizione a messaggi contrari al
Vangelo, continuano ad aver sete di autenticità, di bontà, di verità.
Molto resta ancora da fare a livello della predicazione e della
catechesi nelle parrocchie e nelle scuole, se si vuole che
l’evangelizzazione rechi frutto per il rinnovamento della vita
ecclesiale in America.

D. – Santo Padre, come giudica il silenzioso abbandono di tanti
cattolici dalla pratica della fede, dalla partecipazione alla messa e
dall’identificazione con la Chiesa?

R. – Certamente molto di tutto ciò dipende dal progressivo ridursi
di una cultura religiosa, talvolta paragonata in modo dispregiativo ad
un "ghetto", che potrebbe rafforzare la partecipazione e
l’identificazione con la Chiesa. Come ho appena detto, una delle grandi
sfide che stanno di fronte alla Chiesa in questo paese è quella di
coltivare un’identità cattolica basata non tanto su elementi esterni,
quanto piuttosto su un modo di pensare e di agire radicato nel Vangelo
ed arricchito in base alla tradizione vivente della Chiesa.

Il tema coinvolge chiaramente fattori come l’individualismo
religioso e lo scandalo. Ma andiamo al cuore della questione: la fede
non può sopravvivere se non è nutrita, se non "opera per mezzo della
carità" (Gal 5,6). La gente ha oggi difficoltà ad incontrare Dio nelle
nostre chiese? La nostra predicazione ha forse perso il proprio sale?
Non potrebbe ciò essere dovuto al fatto che molti hanno dimenticato, o
addirittura mai imparato, come pregare nella e con la Chiesa?

Non parlo qui di persone che lasciano la Chiesa alla ricerca di
"esperienze" religiose soggettive; questo è un tema pastorale da
affrontare nei termini propri. Penso che stiamo parlando di persone che
sono cadute fuori strada senza aver coscientemente rigettato la fede in
Cristo, ma che, per una qualche ragione, non hanno ricevuto forza
vitale dalla liturgia, dai sacramenti, dalla predicazione. Eppure la
fede cristiana, come sappiamo, è essenzialmente ecclesiale, e senza un
vincolo vivo con la comunità, la fede dell’individuo non crescerà mai
sino a maturità. Per tornare alla questione appena discussa: il
risultato può essere un’apostasia silenziosa.

Lasciatemi perciò fare due brevi osservazioni sul problema del
"processo di abbandono", che spero stimoleranno ulteriori riflessioni.

Per prima cosa, come sapete, diviene sempre più difficile nelle
società occidentali parlare in maniera sensata di "salvezza". Eppure la
salvezza – la liberazione dalla realtà del male e il dono di una vita
nuova e libera in Cristo – è al cuore stesso del Vangelo. Dobbiamo
riscoprire, come ho già detto, modi nuovi e avvincenti per proclamare
questo messaggio e risvegliare una sete di quella pienezza che soltanto
Cristo può dare. È nella liturgia della Chiesa, e soprattutto nel
sacramento dell’Eucaristia, che queste realtà vengono manifestate nel
modo più potente e vengono vissute nell’esistenza dei credenti; forse
abbiamo ancora molto da fare per realizzare la visione del Concilio
circa la liturgia, come esercizio del sacerdozio comune e come slancio
per un fruttuoso apostolato nel mondo.

In secondo luogo, dobbiamo riconoscere con preoccupazione la quasi
completa eclissi di un senso escatologico in molte delle nostre società
tradizionalmente cristiane. Come sapete, ho sollevato tale problema
nell’enciclica Spe salvi. Basti dire che fede e speranza non sono
limitate a questo mondo: come virtù teologali esse ci uniscono al
Signore e ci portano verso il compimento non soltanto del nostro
destino ma anche di quello di tutta la creazione. La fede e la speranza
sono l’ispirazione e la base dei nostri sforzi per prepararci alla
venuta del Regno di Dio. Nel cristianesimo non vi può essere posto per
una religione puramente privata: Cristo è il Salvatore del mondo e,
quali membra del suo Corpo e partecipi dei suoi munera profetico,
sacerdotale e regale, non possiamo separare il nostro amore per Lui
dall’impegno dell’edificazione della Chiesa e dell’ampliamento del
Regno. Nella misura in cui la religione diventa un affare puramente
privato, essa perde la sua stessa anima.

Lasciatemi concludere, affermando l’ovvio. I campi sono a tutt’oggi
pronti per la mietitura (cfr Gv 4,35); Dio continua a far crescere la
messe (cfr 1 Cor 3,6). Possiamo e dobbiamo credere, insieme col defunto
papa Giovanni Paolo II, che Dio sta preparando una nuova primavera per
la cristianità (cfr Redemptoris missio, 86). Ciò di cui c’è maggior
bisogno, in questo specifico tempo della storia della Chiesa in
America, è il rinnovamento di quello zelo apostolico che ispiri i suoi
pastori in maniera attiva a cercare gli smarriti, a fasciare quanti
sono stati feriti e a rafforzare i deboli (cfr Ez 34,16). E ciò, come
ho detto, esige nuovi modi di pensare basati su una sana diagnosi delle
sfide odierne ed un impegno per l’unità nel servizio alla missione
della Chiesa verso le generazioni presenti.

D. – Santo Padre, come valuta il declino delle vocazioni,
nonostante le qualità personali e la sete di santità dei candidati che
decidono di proseguire?

R. – Siamo sinceri: la capacità di coltivare le vocazioni al
sacerdozio e alla vita religiosa è un segno sicuro della salute di una
Chiesa locale. Non c’è spazio per alcun compiacimento a questo
riguardo. Dio continua a chiamare i giovani, ma spetta a noi
incoraggiare una risposta generosa e libera a quella chiamata. D’altra
parte, nessuno di noi può prendere tale grazia come scontata.

Nel Vangelo, Gesù ci dice di pregare perché il Signore della messe
mandi operai; egli ammette pure che gli operai sono pochi al confronto
dell’abbondanza della messe (cfr Mt 9,37-38). Sembrerà strano, ma io
spesso penso che la preghiera – l’unum necessarium – è l’unico aspetto
delle vocazioni che sia efficace e noi tendiamo spesso a dimenticarlo o
a sottovalutarlo!

Non parlo soltanto di preghiera per le vocazioni. La preghiera
stessa, nata nelle famiglie cattoliche, nutrita da programmi di
formazione cristiana, rafforzata dalla grazia dei sacramenti, è il
mezzo principale mediante il quale veniamo a conoscere la volontà di
Dio per la nostra vita. Nella misura in cui insegniamo ai giovani a
pregare, e a pregare bene, noi cooperiamo alla chiamata di Dio. I
programmi, i piani e i progetti hanno il loro posto, ma il
discernimento di una vocazione è anzitutto il frutto di dialogo intimo
fra il Signore e i suoi discepoli. I giovani, se sanno pregare, possono
essere fiduciosi di sapere che cosa fare della chiamata di Dio.

È stato notato che vi è una sete crescente di santità in molti
giovani oggi e che, anche se in numero sempre minore, quanti vanno
avanti dimostrano un grande idealismo e offrono molte promesse. È
importante ascoltarli, comprendere le loro esperienze ed incoraggiarli
ad aiutare i coetanei a vedere il bisogno di sacerdoti e religiosi
impegnati, come pure a vedere la bellezza di una vita di sacrificio e
di servizio al Signore e alla sua Chiesa. A mio giudizio, molto è
richiesto ai direttori e formatori delle vocazioni: ai candidati, oggi
più che mai, bisogna offrire una sana formazione intellettuale e umana
che li ponga in grado non soltanto di rispondere alle domande reali e
ai bisogni dei contemporanei, ma anche di maturare nella loro
conversione e di perseverare nella vocazione attraverso un impegno che
duri per la vita intera. Quali vescovi, siete coscienti del sacrificio
che viene richiesto quando vi domandano di sollevare dagli impegni uno
dei vostri preti migliori per lavorare in seminario. Vi esorto a
rispondere con generosità per il bene della Chiesa intera.

Da ultimo, penso che sappiate per esperienza che molti dei vostri
fratelli sacerdoti sono felici nella loro vocazione. Ciò che dissi nel
mio discorso sull’importanza dell’unità e della collaborazione con il
presbiterio si applica anche in questo campo. Vi è la necessità per
tutti noi di lasciare le sterili divisioni, i disaccordi e i
preconcetti e di ascoltare insieme la voce dello Spirito che guida la
Chiesa verso un futuro di speranza. Ciascuno di noi sa quanto
importante è stata la fraternità sacerdotale nella propria vita; essa
non è soltanto un possesso prezioso, ma anche una risorsa immensa per
il rinnovamento del sacerdozio e la crescita di nuove vocazioni.
Desidero concludere incoraggiandovi a creare opportunità di un dialogo
ancora maggiore e di incontri fraterni fra i vostri sacerdoti,
specialmente quelli giovani. Sono convinto che ciò porterà frutto per
il loro arricchimento, per l’aumento del loro amore al sacerdozio e
alla Chiesa, come pure per l’efficacia del loro apostolato.

Con queste poche osservazioni, vi incoraggio ancora una volta nel
vostro ministero nei confronti dei fedeli affidati alle vostre premure
pastorali e vi affido all’amorevole intercessione di Maria Immacolata,
Madre della Chiesa.