Omelia 13 giugno 2010 – XI Domenica del Tempo Ordinario

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Omelia per la XI Domenica del Tempo Ordinario – 13 giugno 2010

LETTURE
2 Sam 12,7-10.13
Sal 31,1-2.5.7.11
Gal 2,16.19-21
Vangelo: Lc 7,36-8,3 (forma breve: Lc 7,36-50)

NESSO TRA LE LETTURE
Il messaggio di questa domenica è semplice, ma non facile da assimilare per la nostra natura umana, ferita dal peccato. Le letture esprimono chiaramente che il mistero della salvezza, il mistero della misericordia di Dio, passa attraverso il sacrificio e la rinuncia di sé. Il profeta Zaccaria ci dice che il Signore riverseà grazia e consolazione sulla casa di David, ma che le genti guarderanno "a colui che hanno trafitto" — cioè Dio stesso —, sarà un giorno di lutto e pianto come per si fa per un figlio unico (prima lettura). San Giovanni accosterà questo oracolo a Cristo Gesù, ma il suo primo significato rimanda a Dio stesso (occorre ricordare che Zaccaria scrive circa cinquecento anni prima dell´interpretazione offerta da san Giovanni). Guarderanno a Dio, cioè si convertiranno a lui. E guarderanno "a colui che hanno trafitto", cioè a Dio stesso che avevano offeso nella persona dei più poveri. È il mistero dell´amore di Dio offeso dai nostri peccati. Il vangelo, da parte sua, ci dà la risposta che Dio offre agli uomini: manda suo Figlio affinché ci redima mediante i suoi patimenti, la sua morte e la sua resurrezione. Cristo stesso dice chiaramente ai suoi apostoli che deve soffrire e che, se desiderano seguirlo, ognuno dovrà farsi carico della propria croce (Vangelo). Messaggio arduo, perché contraddice spesso le nostre aspirazioni più intime e, tuttavia, questo è il messaggio di salvezza. Per mezzo del battesimo siamo stati incorporati a Cristo, rivestiti di Lui, e nostra è la promessa di salvezza (seconda lettura).

MESSAGGIO DOTTRINALE

1. Ha sete di te, Signore, l´anima mia.

Il profeta Zaccaria ci parla di come le genti guarderanno a Dio. Lo guarderanno cercando la salvezza, perché nell´uomo molti dubbi si agitano, insieme a molte sofferenze e rimorsi. È il mistero della grandezza e della piccolezza dell´uomo. Grande perché è creatura di Dio, fatta a sua immagine e somiglianza, piccolo perché ha abusato della sua libertà e perché si è reso schiavo del peccato. L´uomo, dunque, fa ritorno a Dio che può salvarlo, torna da Lui aspettandosi compassione e misericordia, perdono e salvezza. Per questo il salmo 62 canta oggi mirabilmente: "ha sete di te, Signore, l´anima mia". Non è possibile spegnere la sete di felicità che l´uomo ha in sé con null´altro che non sia Dio stesso. Il cuore dell´uomo è tanto grande che solo Dio può colmarlo. Perciò, l´invito della liturgia è oggi più attuale che mai: guardare nuovamente al Signore! Cioè conformare la propria vita allo sguardo di Dio, all´amore di Dio; vivere in santa obbedienza alla sua volontà per amore, perché la sua volontà è la sola che ci conduce alla felicità. Pare che la disgrazia più grande della nostra epoca sia quella di voler prescindere da Dio nella costruzione del mondo e della vita sociale. Chi si comporta così si allontana a poco a poco dalla verità della sua condizione umana, perché senza la verità di Dio Creatore si perde la verità dell´uomo creatura. Voler costruire un mondo senza Dio è un tentativo destinato al fallimento e all´autodistruzione, come quello della torre di Babele. La nostra anima ha sete di Dio e non possiamo zittire questo richiamo, dobbiamo dissetarci alle fonti della vita, nella conoscenza e nell´amore di Dio. La Gloria di Dio è che l´uomo viva, ma la vita dell´uomo è la visione di Dio, diceva sant´Ireneo.

2. Se vogliamo salvare la vita, dobbiamo perderla.

Il vangelo ci ricorda una verità fondamentale e paradossale della vita cristiana: se vogliamo vivere, dobbiamo morire. È Cristo stesso che ce ne dà l´esempio. Nessuno gli toglie la vita, Egli la offre da se stesso, ha il potere di darla e di riprenderla. Egli dice ai suoi apostoli che è necessario che egli soffra, che sia rifiutato dai capi del popolo, che sia crocifisso e che resusciti al terzo giorno. Ma i suoi apostoli non riescono a capire una lezione tanto grande. In realtà, la croce si erge di fronte all´uomo come un ostacolo, come qualcosa che contraddice la sua felicità, che non ha nulla di aggraziato, né di desiderabile. Come accettare, dunque, la croce della propria vita? L´unica risposta è "guardare Cristo", contemplare in Lui l´amore del Padre che offre il Figlio Unigenito per amor nostro. E fare una profonda meditazione sul suo amore, sulle sue sofferenze, sulla sua donazione per amor mio, fatta a noi personalmente e individualmente per poter, così, farci poi carico della nostra propria croce. Cioè prendere parte alla croce di Cristo, per amore. Scoprire che la nostra croce quotidiana, quella che ci fa soffrire nel segreto del nsotro cuore, è la nsotra via per il cielo ed è il nsotro contributo all´opera di salvezza. Cristo ha voluto che noi, individualmente e personalmente, restiamo associati alla sua croce di salvezza. Tentiamo in questo giorno speciale di volgere lo sguardo alla croce che Dio ha posto sulle nostre spalle — perché in realtà ogni uomo porta la propria croce — e cerchiamo di scoprire l´amore racchiuso in essa e l´amore che noi possiamo dare nel portarla.

SUGGERIMENTI PASTORALI

1. La lettura biblica

La meditazione della liturgia odierna ci ricorda una verità importante: dobbiamo leggere continuamente la Sacra Scrittura per riempire di essa il nostro cuore. Nella Scrittura troviamo la Parola di Dio, che è luce per il nostro cammino, che ci orienta nella vita, ci insegna il vero modo di vivere. Bisognerebbe proporre ancora ai nostri fedeli la lettura quotidiana della Sacra Scrittura, specialmente del vangelo, magari con l´aiuto di un breve e semplice commento. "Correrò sulla via del Signore, quando il mio cuore sarà dilatato", ci dice il salmo. Perciò, dilatiamo il cuore con la lettura e la meditazione della Parola di Dio. Non ci tuffiamo forse nella lettura delle ultime novità editoriali che qua e là ci vengono proposte? Badiamo allo stesso modo alla lettura assidua di ciò che è essenziale nella nostra esistenza?

2. La rinuncia personale.

In un mondo come il nostro, parlare di rinuncia personale è sfidare la corrente. In realtà, tutto ci invita al massimo comodo, a ciò che è più rapido, più piacevole, ciò che produce più piacere. È l´attuale modo di vivere. Tuttavia, la vita cristiana, senza respingere il valore di tutto ciò che di buono e di bello c´è nel mondo, ci insegna a rinunciare a noi stessi, cioè a dominare le nostre intime passioni e ad incanalarle per scopi buoni e santi. Non è possibile educare la gioventù senza fare un´ascesi, cioè senza fare un allenamento della forza delle passioni, delle emozioni, dei sentimenti e degli appetiti naturali. Si tratta, però, non di reprimere tutte queste forze, bensì di incanalarle, di metterle al servizio di un alto ideale. Qui assume senso la rinuncia personale: saper prescindere da un gusto personale a beneficio degli altri in famiglia, saper sacrificare il proprio tempo per visitare i malati o per aiutare i poveri, saper rinunciare ad un uso smodato di Internet, della televisione o del computer per poter convivere con la propria famiglia. Infine, sono innumerevoli le opportunità di rinunciare a se stessi per diventare dono di Dio per gli altri.