(l’Espresso) Vivere il Vangelo ”sine glossa”

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Martiri cristiani del XXI secolo, un bilancio in corso d’opera


Dal 2000 a oggi sono già più di cento in quaranta nazioni. Senza contare le vittime senza nome o cadute nelle guerre. Un monito del papa, proprio mentre in India si registrano nuove uccisioni e aggressioni


di Sandro Magister

 ROMA – All’Angelus di domenica 29 agosto, giorno nel quale la tradizione cristiana fa memoria del martirio di san Giovanni Battista, Giovanni Paolo II ha ammonito i cristiani a esser pronti ogni giorno alla “suprema testimonianza del sangue per la verità e la giustizia”, di fronte ai moderni Erode:

“Se relativamente pochi sono chiamati al sacrificio supremo, vi è però una coerente testimonianza che tutti i cristiani devono esser pronti a dare ogni giorno anche a costo di sofferenze e di gravi sacrifici. Ci vuole davvero un impegno talvolta eroico per non cedere, anche nella vita quotidiana, alle difficoltà che spingono al compromesso e per vivere il Vangelo ‘sine glossa’”.

Come modello il papa ha richiamato quello dei martiri dei nostri tempi, troppo spesso ignorati:

“L’eroico esempio di Giovanni Battista fa pensare ai martiri della fede che lungo i secoli hanno seguito coraggiosamente le sue orme. In modo speciale, mi tornano alla mente i numerosi cristiani che nel secolo scorso sono stati vittime dell’odio religioso in diverse nazioni d’Europa. Anche oggi, in alcune parti del mondo, i credenti continuano ad essere sottoposti a dure prove per la loro adesione a Cristo e alla sua Chiesa”.

Il richiamo del papa è arrivato proprio nel giorno in cui si celebravano in India i funerali di padre Job Chittilappilly, settantunenne parroco di Thuruthiparambu, nel Kerala, ucciso il sabato precedente mentre recitava il rosario.

E la sua uccisione è avvenuta mentre in altri stati dell’India, Orissa e Jharkhand, bande di fanatici induisti assaltavano chiese e case di cristiani, accoltellando un parroco, John Sunderam, e il suo vice, Albino Tirkey.

Dal 2000 a oggi sono una quarantina i paesi in cui si è registrato almeno un caso di morte violenta a danno di cristiani, e oltre cento le vittime. Gerolamo Fazzini, condirettore di “Mondo e Missione”, la rivista del Pontificio Istituto Missioni Estere di Milano, ne ha scritto un bilancio ragionato sull’ultimo numero di “Vita e Pensiero”, il bimestrale dell’Università Cattolica di Milano. Eccolo qui di seguito:


Uccisi perché scomodi: il martirio globalizzato

di Gerolamo Fazzini


Grazie a Giovanni Paolo II, la Chiesa cattolica ha preso coscienza del fatto che l’esperienza del martirio è ancor oggi attualissima. Il “secolo breve”, segnato dai totalitarismi, ha lasciato dietro di sé una lunga scia di sangue cristiano. Ma anche il terzo millennio si apre nel segno del martirio: un martirio che conosce molteplici volti e appare sempre più come un’esperienza “globale”.

Non soltanto in senso geografico. Oggi nei martirologi finiscono numerosi esponenti delle Chiese locali, a dimostrazione di un impegno “ad gentes “sempre più marcato; non di rado sono i laici a morire, più vulnerabili del prete o del vescovo. Un esempio tra i tanti: Ana Isabel Sanchez Torralba, di soli 22 anni, era una giovane sudamericana del volontariato missionario calasanziano, alla sua prima missione all’estero. È stata uccisa in Guinea equatoriale il 1 luglio 2003, durante un controllo di polizia.

Sono una quarantina i paesi in cui si è registrato almeno un caso di morte violenta a danno di cristiani nel periodo 2000-2003. Il martirologio redatto dall’agenzia vaticana “Fides” parla di 31 vittime per la fede nell’anno 2000, 33 l’anno successivo, 25 nel 2002, 14 nel 2003. E dall’inizio di quest’anno dobbiamo registrare nuovamente una serie di uccisioni in vari paesi.

IL CASO ECLATANTE DELLA COLOMBIA

Per l’efferatezza dei crimini, per il numero di vittime coinvolte, per la durata del conflitto in atto, quello colombiano è un caso assolutamente unico. Che smentisce quanti attribuiscono unicamente al furore anti-cristiano di estremisti musulmani, da un lato, e governi comunisti, dall’altro, il numero di martiri che la Chiesa del XXI si trova oggi ad annoverare. In Colombia soltanto negli ultimi tre anni sono caduti sotto i colpi sia della guerriglia che dei paramilitari un vescovo, vari preti, seminaristi e laici, a motivo della loro testimonianza cristiana e della lotta in difesa della giustizia e dei diritti umani. La Chiesa colombiana paga a caro prezzo la sua fedeltà al Vangelo e il suo impegno per la costruzione di una pace vera. Nel martirologio compilato da “Fides” la Colombia guidava nel 2003 – ex aequo con l’Uganda – la classifica dei paesi dove si è registrato il maggior numero di martiri, con sei vittime per ciascun paese.

Anche in altri paesi ufficialmente cattolici del Centro e Sudamerica si continua a morire per l’opposizione in nome della fede ai potenti di turno, siano essi fazenderos, narcotrafficanti, esercito o squadroni della morte. La violenza non è più macroscopica come in anni passati, ai tempi di monsignor Romero o delle dittature che insanguinavano vari paesi. E tuttavia sangue continua ad essere versato in Brasile, Guatemala, Salvador ecc. Tanto che la rivista teologica “Concilium” di recente, proprio in riferimento alla situazione latinoamericana, ha proposto di riformulare il concetto stesso di martirio alla luce di tante vicende personali di persone uccise non esplicitamente “in odium fidei” ma in nome dei valori evangelici della solidarietà, della giustizia e della pace.

PIÙ VITTIME NEI PAESI MUSULMANI

Dove invece l’avversione esplicita alla fede cristiana miete il numero maggiore di vittime è nei paesi a maggioranza musulmana, come prova anche un recente volume del libanese Camille Eid, “A morte nel nome di Allah”. L’11 settembre e le guerre in Afghanistan e Iraq hanno, in alcuni contesti, complicato ulteriormente le cose: l’estremismo religioso si è mescolato con un odio anti-occidentale che ha portato a individuare nel cristiano un nemico ipso facto.

Qualche esempio. Ai primi di giugno l’agenzia “Asia News” dava notizia di una campagna in favore di Brian Savio O’Connor, cattolico indiano rapito sei mesi fa dalla Muttawa, la polizia religiosa saudita, mentre si trovava in una strada di Riad. Condotto in una moschea, è stato torturato e picchiato, quindi incarcerato a Riad. Conosciuto come un cittadino esemplare O’Connor è stato accusato di far uso di droga, di aver venduto liquori e – soprattutto – di aver predicato Gesù Cristo. Ma pare certo che le accuse di droga siano state inventate dalla polizia e che O’Connor sia stato invece minacciato di morte se non abiurava la sua fede.

Il 24 maggio scorso un giovane cattolico, Samuel Masih, è morto all’ospedale di Lahore, per mano di un poliziotto addetto alla sorveglianza. In prigione era finito per presunto oltraggio alla religione islamica. In realtà, al momento del suo arresto nell’agosto 2003 Samuel stava svolgendo il suo lavoro: pulire un giardino. Aveva ammucchiato dell’immondizia nei pressi del muro di una moschea, pensando di prenderla in un secondo tempo e bruciarla. Ma il suo atto è stato considerato blasfemo: il muezzin di Lahore lo ha picchiato a sangue prima di consegnarlo alla polizia. L’assassinio di Samuel Masih è l’ultimo di una serie di violenze di musulmani contro cristiani: una serie di cui , in Pakistan, non si intravede la fine. Sempre nel maggio scorso un altro giovane, Javed Anjum, è morto per le torture infertigli da militanti islamici. Leader cristiani sono stati minacciati di morte a Quetta e un pastore protestante, Wilson Fazal, è stato rapito e torturato.

Se il Pakistan è oggi uno degli scenari più problematici per i cristiani, tra le situazioni critiche va segnalata l’isola di Mindanao, nelle Filippine, dove la popolazione, contrariamente al resto del paese, è in maggioranza musulmana: nel 1997 venne ucciso il vescovo di Jolo, Benjamin de Jesus, e di recente si sono state minacce di morte contro missionari cattolici.

Anche in Indonesia negli ultimi anni si sono registrate forti tensioni, specie nelle Molucche: a farne le spese sono stati in più occasioni cristiani di varie denominazioni.

In Medio Oriente, Chiese di antichissima tradizione (risalente addirittura all’epoca apostolica) vivono oggi una difficilissima condizione, sottoposte come sono a pesantissime restrizioni della libertà e non di rado a violenze.

La parola martirio è di tremenda attualità anche in Sudan, come ha recentemente denunciato il vescovo di Rumbek, Cesare Mazzolari, missionario comboniano.

Passiamo all’Egitto. La vulgata geopolitica lo considera paese “moderato”, eppure non è certo un luogo dove ai cristiani sia permesso esercitare pienamente il loro diritto alla libertà religiosa. Come ha detto a “Mondo e Missione” in un’intervista recente il patriarca copto cattolico Stephanos II Ghattas, i cristiani sono di fatto cittadini di serie B. E la conferma è che qualche mese fa sono state arrestate 22 persone semplicemente colpevoli di essersi convertite al cristianesimo.

SE A COLPIRE È L’ESTREMISMO INDÙ

Non c’è, tuttavia, solo l’estremismo musulmano a colpire le Chiese. Quello di marca induista non è meno pericoloso e devastante. Negli ultimi anni in India si è verificato uno stillicidio di uccisioni a danno di figure rappresentative della Chiesa cattolica, per mano di elementi in qualche modo legati alle formazioni politiche e militari che propugnano l’ideologia dell’hindutva, secondo cui identità nazionale e religiosa fanno un tutt’uno. In base a questa dottrina, l’indiano che si converte al cristianesimo o all’islam va considerato un elemento deviante e per questo va reciso dal corpo della nazione, a meno che si riconverta.

Un’ondata di violento fondamentalismo religioso ha investito di recente il paese e i cattolici ne hanno fatto le spese in più occasioni. Il 2 marzo in Gujarat due preti cattolici e due fedeli sono stati attaccati da un gruppo di attivisti del Rashtriya Swayamsevak Sangh (RSS, “Corpo nazionale di volontari”), gruppo estremista indù. Padre Nicholas Martiz, maestro dei novizi dei Missionari del Verbo Divino, padre George Bhuriya, parroco, e due loro fedeli, sono stati aggrediti mentre si recavano in jeep alla locale stazione di polizia per denunciare un attacco subito dalla scuola cattolica della missione. Lo stesso giorno un gruppo dell’RSS aveva fatto irruzione nella scuola della missione, terrorizzando studenti e professori.

Sempre in Gujarat, una missione della Società del Verbo Divino è stata completamente saccheggiata a bruciata da attivisti dell’RSS e del Consiglio Mondiale Indù. Padre Chackochan e fratel Gnanarul, residenti nella missione, sono stati colpiti dagli aggressori. Alla luce di tutto ciò si comprende perché i vescovi, estremamente preoccupati alla vigilia delle ultime elezioni per un successo del BJP, il partito nazionalista indù, hanno tirato un sospiro di sollievo quando le urne hanno decretato la sconfitta del partito e la sua estromissione dal governo.

ANCORA PERSECUZIONI NEI PAESI COMUNISTI

Nei paesi comunisti le condizioni di vita per i cristiani permangono difficili, talora drammatiche. In Cina, ad onta dei proclami ufficiali, la libertà religiosa continua a essere un concetto aleatorio e si susseguono arresti e detenzioni arbitrarie di vescovi, preti e laici, cattolici e protestanti, che si rifiutano di sottostare al partito comunista.

In Vietnam ci sono segni di miglioramento, ma l’ufficio per gli affari religiosi mantiene il suo stretto controllo su seminari e nomine episcopali, nonché di fatto sull’esercizio del culto.

Per quanto riguarda Laos e Corea del Nord, di recente Amnesty International ha delineato un quadro decisamente allarmante: lì l’oltraggio ai diritti umani è prassi sistematica.

A Cuba la situazione è migliore rispetto al passato, dal momento che, a seguito della visita papale del ’98, sono state introdotte piccole novità a vantaggio della Chiesa. Quella cubana rimane comunque una società nella quale la cappa del regime comunista mantiene il controllo rigido su tutte le espressioni culturali, religiose e politiche che in qualche modo vengono avvertite come potenzialmente ostili al potere.

L’AFRICA CONTINENTE DI SANGUE

Dei trentanove paesi teatro di massacri di cristiani negli ultimi quattro anni, quasi la metà si trovano nel martoriato continente africano. Non è un caso. L’Africa delle mille guerre dimenticate, della violenza endemica, della povertà che genera violenza chiede alla Chiesa una testimonianza particolarmente esigente. In molti paesi sacerdoti, religiose e laici hanno perso la vita per la semplice ragione che non hanno abbandonato la loro comunità nell’ora della guerra, pur sapendo benissimo a cosa andavano incontro.

Padre Peter Obore, sudanese, non era certo all’oscuro del rischio che correva lavorando in quel Nord Uganda tormentato dalle scorribande del Lord Resistence Army dove il 24 novembre 2001 ha trovato la morte, proprio per mano del feroce esercito dei ribelli che ancora oggi continua a seminare morte.

Come dimenticare, a dieci anni di distanza, l’enorme tragedia del Ruanda dove – se è vero che ad alzare il machete sul fratello furono molti che le statistiche consideravano cristiani – oltre duecento fra preti, suore, vescovi, seminaristi e laici pagarono con la vita il loro rifiuto di adeguarsi alla logica del genocidio?

UN’ANALISI DELLE CAUSE

Non di rado il missionario, la suora o il laico vengono tolti di mezzo perché scomodi. Padre Gopal, ucciso a Puthkel, India, il 12 ottobre 2001, ad esempio ha pagato con la vita la sua partecipazione attiva al programma governativo di sensibilizzazione contro la violenza. È stato ucciso dai guerriglieri per rappresaglia.

Suor Barbara Ann Ford, uccisa il 5 maggio 2001 a Città del Guatemala, lavorava per la difesa dei diritti umani degli indios e per il recupero psicologico delle vittime della guerra civile. E sono in tanti a sospettare che sia questo elemento, unito all’amicizia che la legava al vescovo ausiliare Juan Gerardi, ucciso nel 1998, la vera motivazione per cui è stata eliminata, e non il furto come recita l’ufficialità.

Nel caso di padre Arley Arias Garcia, ucciso il 18 maggio 2002 in un’imboscata a Florencia in Colombia, non v’è dubbio sulle “colpe” che gli hanno attribuito i suoi assassini: il religioso infatti stava cercando di avviare negoziati tra paramilitari e guerriglieri.

Può forse sorprendere, ma da un esame delle circostanze in cui sono stati uccisi missionari e personale ecclesiastico locale negli ultimi anni emerge un dato all’apparenza sconcertante: si tratta spesso di morti casuali, di omicidi dettati da motivazioni banali quali la rapina o il furto.

Il salesiano irlandese Declan Collins è stato ammazzato per rapina a Johannesburg, una delle più pericolose metropoli al mondo, dove svolgeva l’incarico di parroco e si occupava soprattutto degli emarginati dei sobborghi.

Di suor Dionitia Mary, insegnante indiana, uccisa nel suo paese il 21 gennaio 2001, si legge che è stata ammazzata durante un furto nella sua abitazione.

Stessa motivazione per l’omicidio, avvenuto il 19 ottobre 2002, di Alberto Neri Fernarndez, laico focolarino uruguayano, impegnato in Brasile.

A volte il coinvolgimento diretto con la vita della gente porta a morti che apparentemente non hanno nulla di eroico. Padre Pietro De Franceschi, missionario dehoniano italiano, è morto in Mozambico il 1 febbraio 2001 travolto dall’alluvione mentre soccorreva una donna che doveva essere ricoverata in ospedale. In tutti questi casi è chiaro che la definizione di martire “in odium fidei” non regge. Ma come non chiamare martirio – grigio, se si vuole – quello di chi rimane e resiste in contesti potenzialmente pericolosissimi, pur di annunciare il Cangelo e testimoniare la carità cristiana? Un missionario italiano in Colombia, padre Gaetano Mazzoleni, mi ha fatto avere copia di due diverse lettere minatorie, provenienti sia dalle FARC, la guerriglia di sinistra, che dai paramilitari, ricevute dalla sua comunità nella zona meridionale, amazzonica, del paese. Una lettera era accompagnata da una pallottola. Rimanere lì, dopo un avvertimento del genere, non è forse martirio?

In alcuni casi, il martirio assume i contorni del paradosso, quel paradosso tutto interno alla logica della croce. Come non chiamare un’amara beffa, ad esempio, l’omicidio, il 29 luglio 2002, di frere Yves Marie-Dominique Lascanne, piccolo fratello del Vangelo, di origine francese? Ad alzare la mano contro il fondatore del Foyer dell’Esperance a Yaoundé, in Camerun, un centro di accoglienza per i ragazzi di strada, è stato proprio uno dei suoi ex beneficiati. Come per Gesù, c’è un Giuda che non comprende l’amore del Maestro. Analogo destino è toccato a padre Celestino Digiovambattista, camilliano italiano, ucciso in Burkina Faso il 13 ottobre 2001 da uno squilibrato nel corso della visita ai carcerati di cui era cappellano.

ANCHE I LAICI IN PRIMA FILA

Scorrendo la lista dei paesi teatro dei massacri, si scopre una varietà di situazioni che fanno il paio con la diverse modalità di presenza e testimonianza che ogni Chiesa locale offre. Anche qui siamo in presenza di una forma di globalizzazione: l’evangelizzazione non è più patrimonio esclusivo degli istituti missionari “ad gentes”, le Chiese locali danno prova di un nuovo protagonismo. Stando ai dati 2003, su 29 martiri registrati da “Fides” sono ben 22 i seminaristi, preti, laici e laiche del posto che hanno pagato col sangue la loro fedeltà al Vangelo.

Dalle pieghe delle statistiche affiorano storie di vittime meno note ma significative. Insieme con don Saulo Careno, ucciso in Colombia il 3 novembre scorso, c’era – ad esempio – anche Marita Linares, impiegata dell’ospedale, così come a fianco di don William de Jesus Ortez, parroco in Salvador, assassinato a colpi d’arma da fuoco all’interno della chiesa il 5 ottobre, v’era il sacrestano Jaime Noel Quintanilla, di soli 23 anni. Ancora: l’imboscata con la quale i ribelli del Lord Resistence Army, il 1 settembre 2003, hanno ucciso don Lawrence Oyuru, è costata alla vita ad altre 25 persone. Di loro non sappiamo il nome e nessuno aprirà cause di beatificazione. Eppure anche a costoro i cristiani del nord del mondo, meno famigliari col martirio, dovrebbero guardare come a modelli. Silenziosi, ma modelli.

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Il link alla rivista dell’Università Cattolica di Milano su cui è uscito l’articolo, nel numero di luglio-agosto 2004:

> “Vita e Pensiero”

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Le parole di Giovanni Paolo II all’Angelus, nel giorno del martirio di san Giovanni Battista:

> “Angelus” del 29 agosto 2004

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Sugli assalti di fine agosto a chiese e case di cristiani in India, una nota della conferenza episcopale:

> Church Leaders Condemn Desecration of a Church in Orissa

E due dispacci dell’agenzia “Asia News”:

> Attacco a una chiesa cattolica, un sacerdote in gravi condizioni

> Nuovo attacco contro i cattolici in Orissa

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Il martirologio pubblicato anno per anno dall’agenzia “Fides” della congregazione vaticana per la propagazione della fede:

> Dossier sui martiri della Chiesa

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Nell’agenzia “Asia News”, la campagna per liberare dalle prigioni dell’Arabia Saudita il cattolico Brian Savio O’Connor, incarcerato per aver predicato Gesù:

> Salvate il cristiano O’Connor