(l’Espresso) Non possiamo abbandonare ora il popolo iracheno

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Il Vaticano impegna in Iraq le sue divisioni. Sotto le insegne NATO


Un’intervista del cardinale Sodano e un editoriale di “Avvenire” invocano un più forte sostegno militare al governo Allawi e alla nascente democrazia irachena. Con il massiccio invio di truppe dell’Alleanza Atlantica


di Sandro Magister

 ROMA, 28 settembre 2004 – Il papa e i capi della Chiesa romana non l’hanno detto in prima persona, ma l’hanno fatto capire in modo chiarissimo. Essi vedrebbero con grande favore un impegno massiccio della NATO in Iraq, a sostegno del governo di Iyad Allawi e a difesa di libere elezioni.

Ha parlato per loro, dalla prima pagina dell’edizione di domenica 26 settembre, il giornale “Avvenire” che fa capo alla conferenza episcopale italiana e al suo presidente, il cardinale vicario del papa, Camillo Ruini.

In un editoriale del suo maggiore esperto di politica internazionale, Vittorio E. Parsi, professore all’Università Cattolica di Milano, “Avvenire” ha richiamato l’Occidente e l’Europa al “dovere” di assicurare libere elezioni in Iraq rafforzando la loro presenza militare in quel paese attraverso “il solo strumento che ha i requisiti necessari: la NATO”.

Un editoriale così impegnativo, di domenica e in prima pagina sul giornale dei vescovi, non può essere frutto del caso. Nasce da una decisione presa ai più alti livelli della Chiesa.

Che tale decisione stesse maturando lo si era intuito da un crescendo di indizi, nei giorni immediatamente precedenti.

Il primo indizio è di lunedì 20 settembre. Il cardinale Ruini parla al consiglio permanente della conferenza episcopale italiana e ribadisce il dovere dell’Occidente cristiano di “contrastare le organizzazioni del terrore con la più grande energia e determinazione, senza dare nemmeno l’impressione di subire i loro ricatti e le loro imposizioni,” e nello stesso tempo di trasformare in “nostri principali alleati” le componenti del mondo islamico che vogliono libertà e democrazia.

Ruini, si sa, è stato tra i protagonisti dell’apparente svolta della politica vaticana sull’Iraq, nell’autunno del 2003: dalla condanna e dal rifiuto della guerra a un convinto sostegno a una presenza di truppe occidentali di “pacificazione” in quel paese.

Il secondo indizio è di martedì 21 settembre. Sul quotidiano “Il Foglio” esce un appello al governo italiano perché si faccia promotore presso la NATO e l’Unione Europea di un invio massiccio in Iraq di truppe dell’Alleanza Atlantica, “per il periodo necessario a tutelare il diritto degli iracheni a votare e a scegliersi per la prima volta il loro parlamento, la loro costituzione, il loro governo”.

Firmano l’appello Marta Dassù, direttore della rivista dell’Aspen Institute in Italia, Giuliano Ferrara, direttore di “Il Foglio”, Piero Ostellino, già direttore del “Corriere della Sera”, il maggior quotidiano italiano, e Vittorio E. Parsi, editorialista di “Avvenire”. Quest’ultimo nome è il più intrigante. Gli osservatori di affari vaticani si chiedono in che misura, con questo suo passo, egli rifletta gli orientamenti della diplomazia pontificia.

E il terzo indizio dà una prima risposta. Mercoledì 22 settembre il corrispondente a New York del quotidiano “La Stampa”, Paolo Mastrolilli, pubblica un’intervista con il segretario di stato vaticano, cardinale Angelo Sodano (nella foto).

Sodano è in quel momento a New York per una conferenza internazionale sulla fame nel mondo, ospite dell’osservatore vaticano presso le Nazioni Unite, l’arcivescovo Celestino Migliore. Nell’intervista ha parole di stima per gli Stati Uniti e stilettate pungenti contro l’Europa troppo antiamericana e laicista, come pure contro il “logoramento” dell’ONU.

Sulla teoria della guerra preventiva tace. Chiede però che si fissi nella Carta dell’ONU il dovere di intervenire militarmente nei paesi dove i diritti umani sono calpestati.

Su quella che il cardinale Ruini chiama “minaccia mondiale” a matrice islamista, Sodano è elusivo – come è prassi per la diplomazia vaticana, preoccupata di non peggiorare le condizioni delle minoranze cristiane nei paesi musulmani. Si limita a parlare di “bande criminali”.

È chiarissimo, invece, nel definire un “dovere” della comunità internazionale il sostegno al governo di Iyad Allawi, indipendentemente dal giudizio che si è dato sulla guerra:

“Questo figlio è nato. Sarà anche illegittimo, ma ora c’è, e bisogna educarlo ed allevarlo”.

Non dice però come aiutare l’Iraq in concreto, specie in quel passaggio cruciale che saranno le future elezioni.

Ed è Vittorio E. Parsi a dirlo – o meglio, a ridirlo – nel suo editoriale di domenica 26 settembre sul giornale dei vescovi. Come? Con “decine di migliaia di soldati” della NATO inviate a integrare le truppe già sul campo, americane e non.

Parsi ha critiche taglienti per “l’ignavia” di paesi come la Francia e per i sognatori di un diritto non difeso dalla forza delle armi. Ma la sua polemica più forte è contro chi vorrebbe “isolare” e “abbandonare” l’Iraq.

La politica vaticana – scrive – è opposta. Lo è stata quando contrastò le sanzioni, che affamarono il popolo invece di isolare e rovesciare il tiranno Saddam Hussein. E lo è oggi, quando chiede non il ritiro ma il rafforzamento delle truppe pacificatrici:

“Non è casuale che chi autorevolmente si oppose alle sanzioni prima e alla guerra poi, oggi chieda che il popolo iracheno non sia lasciato senza difese”.

Ecco qui di seguito, integrale, l’editoriale di prima pagina di “Avvenire” di domenica 26 settembre 2004:


Scenari iracheni. A questo punto c’è solo la carta NATO

di Vittorio E. Parsi


La situazione in Iraq peggiora giorno dopo giorno, inverando le facili profezie secondo cui i mesi tra l’insediamento del governo provvisorio guidato da Allawi e le prime elezioni libere sarebbero stati terribili. Bisogna dire che i terroristi e i seguaci del vecchio regime stanno facendo del loro meglio per condurre in porto un piano tanto semplice quanto scellerato: isolare l’Iraq dal mondo, alimentare una guerra xenofoba che possa lasciarli poi liberi di regolare i conti nel solo modo che conoscano, quello brutale dei macellai.

Quello che vogliono infatti non è “l’Iraq agli iracheni”, ma “l’Iraq agli assassini”, assassini innanzitutto del popolo iracheno. Quand’anche l’ultimo straniero – vuoi soldato o vuoi volontario – lascerà il paese, i terroristi avranno vinto, e il popolo iracheno avrà, ancora una volta, perso. Così, l’intero Iraq diverrà una colossale zona franca per il terrorismo fondamentalista, per i predoni del Baath e per i mullah sciiti più estremisti.

La comunità internazionale e l’Occidente, che al proprio interno detiene oggettivamente una quantità maggiore di potere, cultura e responsabilità, hanno il dovere di ostacolare il compiersi di questo piano.

Il primo passo necessario in tale direzione è garantire che le elezioni di gennaio si possano svolgere quanto più liberamente possibile. Per fare ciò appare indispensabile individuare lo strumento politico-militare di obiettiva garanzia, in grado di trasformare le petizioni di principio in atti di fatto.

Ebbene, per quanto difficile possa apparire la prospettiva, e per quanto arduo risulti ottenere l’ingaggio, esiste oggi un solo strumento che abbia i requisiti necessari: la NATO.

L’Alleanza Atlantica, con le sue attitudini e i suoi bilanciamenti, è l’istituzione multilaterale che può assumersi l’onere di proteggere il diritto degli iracheni a esprimere con il voto la propria volontà politica.

Anche i paesi europei che si sono opposti alla decisione americana di abbattere con una guerra unilaterale il regime di Saddam Hussein sanno bene che un Iraq in mano ai peggiori terroristi e criminali va contro l’interesse di tutti: dell’Occidente come del mondo arabo-islamico. Pensare che il ritiro delle truppe americane consentirebbe da solo di migliorare la situazione, o semplicemente di rimuoverla dalle preoccupazioni, è ingenuità pura. E d’altra parte, per vedere diminuita la presenza americana in Iraq c’è un’unica condizione, quella di una multilateralizzazione della crisi: anche e soprattutto dal punto di vista militare.

La scelta, dunque, che oggi l’Occidente ha di fronte è ancora una volta: emarginare l’Iraq oppure rinsaldarlo di più alla comunità internazionale?

Ai tempi di Saddam Hussein, per oltre dieci anni, la scelta disastrosa fu di isolarlo attraverso le sanzioni: che affamarono il popolo e lasciarono intatto il potere del tiranno, un potere che solo una controversissima guerra potè rovesciare.

Oggi, per evitare il “contagio islamista”, qualcuno si illude sia possibile abbandonare l’Iraq dentro un cordone sanitario intrecciato con l’ignavia e la finta indifferenza.

Non è casuale che chi autorevolmente si oppose alle sanzioni prima e alla guerra poi, oggi chieda che il popolo iracheno non sia lasciato senza difese. Qui in gioco non ci sono più gli ambiziosi piani di esportazione della democrazia attraverso la forza delle armi, ma consentire che la forza delle armi sia impiegata per difendere il diritto degli iracheni a votare per il proprio parlamento, che poi è il primo e indispensabile passo per avviare quel paese a una vera autonomia, fuori dalla morsa della violenza elevata a sistema.


* * *

E questi sono i passaggi salienti dell’intervista del segretario di stato vaticano su “La Stampa” del 22 settembre 2004:


Il cardinale Sodano: “Perché bisogna appoggiare Allawi”

di Paolo Mastrolilli


D. – Qual è il suo giudizio sull’Iraq?

R. – “So bene che i giudizi sull’attuale situazione in Iraq sono molto contrastanti a causa del diverso orientamento politico di chi pur cerca di esaminare il tutto in una visione d’insieme. Su di una cosa, però, tutti dovremmo concordare: ora dobbiamo aiutare quelle popolazioni che vivono fra il Tigri e l’Eufrate a vivere in pace e riconciliarsi tra loro. Hanno già sofferto troppo. Ora bisogna aiutare il governo Allawi. In Europa si discute sulla legittimità del nuovo esecutivo [in carica a Baghdad], e forse il giudizio della storia sull’intervento in Iraq sarà severo. Però va considerato un fatto: questo figlio è nato. Sarà anche illegittimo, ma ora c’è, e bisogna educarlo ed allevarlo. Presto quel governo invierà pure un ambasciatore presso la Santa Sede. essa è già presente a Baghdad con un suo nunzio apostolico, l’arcivescovo Filoni, che in questi tempi difficili è rimasto sempre in Iraq. La sfida attuale è quella della riconciliazione. Questa è anche la sfida che lanciano i cristiani dell’Iraq, i quali ben ricordano come fu proprio là, da Ur dei Caldei, che col patriarca Abramo iniziò la grande avventura dei credenti delle tre grandi religioni monoteiste: ebrei, cristiani e musulmani, che dovrebbero riconoscersi figli dello stesso Dio onnipotente e misericordioso”.

D. – Eppure continuano i rapimenti e le violenze.

R. – “Spesso si tratta di bande criminali che approfittano della mancanza di autorità. Capitò anche a noi, in Italia, alla fine della seconda guerra mondiale. Ricordo che ero ragazzo ad Asti, e un giorno sentii delle grida nella strada. Mi affacciai e vidi un uomo che picchiava un altro. Scesi a dividerli e l’aggredito mi disse che era stato membro del Fascio, ma non aveva mai toccato l’aggressore. A un altro giovane andò peggio, e fu trovato morto sotto un albero. Intendiamoci: i nazisti compirono orrori terribili. Ma quanti delitti avvennero in Italia dopo la guerra, ad esempio in regioni come l’Emilia Romagna per mancanza di autorità! E il nostro paese è una culla della civiltà. Qualcosa di simile capita ora in Iraq, dove c’è anche un fattore politico importante”.

D. – Cioè?

R. – “I terroristi sanno che se una democrazia stabile prendesse piede a Baghdad metterebbe in difficoltà anche i paesi vicini come l’Iran e l’Arabia Saudita, dove ancora si va in prigione per il possesso di un Crocefisso”. […]

D. – Il presidente Bush ha parlato all’Onu in un Palazzo di Vetro blindato per la minaccia del terrorismo.

R. – “New York mi è parsa in stato di assedio, ma l’autodifesa è il primo obbligo. Questo antiamericanismo in Europa è facile, però chi è stato scottato ha priorità diverse. Naturalmente il terrorismo non si sconfigge solo con le misure di sicurezza e con gli strumenti militari, ma bisogna proteggere la popolazione”.

D. – Negli Stati Uniti la fede e i valori giocano un ruolo centrale.

R. – “È vero. Negli USA i valori religiosi sono molto sentiti. Ciò fa onore a questo grande paese dove si è creato un modello di società che deve far riflettere anche gli altri popoli. Sovente, in Europa, la giusta laicità dello stato è degenerata in laicismo militante che fa dimenticare l’eredità storica del nostro continente”. […]

D. All’ONU è in corso un intenso dibattito sulla sua riforma. Qual è la posizione della Santa Sede?

R. – “Ogni organizzazione umana è perfettibile. La Santa Sede ha sempre appoggiato questa istituzione, nonostante il suo logoramento col passare del tempo. Giovanni Paolo II ha più volte auspicato che diventi realmente ‘una famiglia delle nazioni’, elevandosi dal puro livello amministrativo. […] Da parte della Santa Sede vi è l’auspicio che si introduca nella Carta delle Nazioni Unite un principio nuovo, e cioè la possibilità, anzi il dovere, di un ‘intervento umanitario’ in casi conclamati, in cui i diritti umani all’interno di una nazione siano calpestati”.

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I link ai quotidiani su cui sono usciti l’editoriale di Parsi, l’intervista di Sodano e l’appello per l’invio di truppe NATO in Iraq:

> Avvenire

> La Stampa

> Il Foglio

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Il testo integrale dell’appello di Parsi, Dassù, Ferrara e Ostellino:

> “La proposta è questa: un solido contingente della NATO…”