(l’Espresso) La querelle del patriarcato greco-cattolico di Kiev

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 Tra il papa e Alessio II c’è un convitato di pietra: il patriarca cattolico di Kiev
E anche il patriarca ecumenico di Costantinopoli si è messo di mezzo. La missione impossibile del cardinale Kasper a Mosca. Un’intervista choc del gesuita Robert Taft

di Sandro Magister


l’Espresso 10.2.2004

 ROMA – A pochi giorni dal viaggio a Mosca del cardinale Walter Kasper, presidente del pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, e dal suo incontro con il patriarca della Chiesa ortodossa russa Alessio II, è sempre più chiaro che il principale – e praticamente insuperabile – punto di disaccordo tra le due parti è l’incombente costituzione in patriarcato, con sede a Kiev, della Chiesa cattolica ucraina di rito greco.

La diplomazia vaticana ha fatto di tutto per spianare la strada a Kasper. Nella nota preparatoria al viaggio, pubblicata su “L’Osservatore Romano” del 26-27 gennaio a firma del gesuita polacco Jozef M. Maj, assistente di Kasper per gli affari orientali, non c’è una sola riga che tocchi la questione. Ad Alessio II il Vaticano ha già fatto sapere che non intende per ora procedere alla costituzione del patriarcato grecocattolico di Kiev. E Kasper, incontrandolo a Mosca, glielo dirà di nuovo. Ma per tranquillizzare la Chiesa ortodossa non basta un semplice rinvio. Mosca esige che la decisione non sia presa né oggi né domani né mai, tassativamente.

Ma appunto, questa è una garanzia che il Vaticano non è in grado di dare. La Chiesa grecocattolica ucraina è già un patriarcato di fatto, forte di una dozzina di vescovi, di 2000 preti e di 5 milioni di fedeli. Il suo arcivescovo maggiore, cardinale Lubomyr Husar (nella foto), dallo scorso dicembre risiede già a Kiev, accanto a quella che diventerà la sua nuova chiesa patriarcale e che è quasi ultimata. Manca solo il riconoscimento ufficiale del papa.

E quali siano le intenzioni di Giovanni Paolo II è ormai arcinoto. A fugare ogni dubbio ha provveduto, con una mossa a sorpresa, il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I.

Sul sito web in lingua greca del patriarcato ecumenico di Costantinopoli è infatti comparsa una lunga lettera scritta da Bartolomeo I a Giovanni Paolo II, in risposta a una lettera inviata da Kasper non a lui ma ad Alessio II e riguardante proprio l’istituzione del patriarcato grecocattolico ucraino.

Nella lettera ad Alessio II – e da questi inoltrata a Bartolomeo I – il cardinale Kasper lo informava che è “intenzione” del papa istituire a Kiev il patriarcato. E in un lungo documento allegato forniva tutte le prove d’appoggio alla decisione, storiche e canoniche.

Non è noto se e che cosa Alessio II abbia risposto al papa. Ma nella replica di Bartolomeo I a Giovanni Paolo II, datata 29 novembre 2003, c’è scritto che l’istituzione del patriarcato grecocattolico a Kiev “provocherà forti reazioni da parte di tutte le Chiese sorelle ortodosse”, “farà saltare i tentativi per la continuazione del dialogo” e “farà tornare al clima di ostilità che vigeva fino a pochi decenni fa”, a meno che il papa non receda dalla sua intenzione e di ciò “assicuri con forza persuasiva il popolo ucraino e tutte le Chiese ortodosse”.

Per dare maggiore pubblicità alla sua lettera, Bartolomeo I ne ha passato il testo al mensile di Roma “30 Giorni”, diretto da Giulio Andreotti, senatore a vita ed ex ministro degli esteri con solide connessioni in Vaticano. E “30 Giorni”, nel suo numero di gennaio del 2004, ha dato ampia notizia del carteggio, in coda a un’intervista col patriarca ecumenico di Costantinopoli molto pessimista sullo stato dei rapporti tra cattolicesimo ed ortodossia.


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Ma a mostrare ancor più quanto sia esplosiva la questione del patriarcato ucraino, è arrivata un’altra intervista. L’ha rilasciata a John L. Allen Jr. del “National Catholic Reporter” un gesuita americano che insegna a Roma al Pontificio Istituto Orientale, specialista di fama mondiale del mondo bizantino e slavo, Robert Taft.

Nell’intervista, padre Taft ha messo fragorosamente in pubblico una serie di osservazioni e di giudizi che in Vaticano molti pensano ma non dicono.

Ad esempio, sul gioco delle parti tra Kasper e il papa:

“Il papa ha detto agli ucraini: se riuscite a convincere Kasper avrete il mio okay. Kasper naturalmente è contro. Gli hanno dato il compito di costruire ponti con gli ortodossi, non di imbottirli di dinamite. E fa il suo mestiere. Ma a quelli di Mosca dirà anche che prima o poi la cosa finirà per accadere; e che se proveranno dispiacere, questa reazione farà danno soltanto a loro”.

Sul panico degli ortodossi all’idea di un grande patriarcato rivale a Kiev:

“Per loro la Russia di Kiev include l’Ucraina, la Moscovia e la regione di Novgorod. È la loro madrepatria. Sarebbe come se al papa di Roma qualcuno portasse via l’Italia. È da lì che vengono le loro vocazioni e il loro denaro, in proporzioni schiaccianti”.

Su come risolvere la questione tra Roma e Mosca:

“Più si va a est e più tutto peggiora, eccetto il cibo. La logica peggiora, la razionalità peggiora e tutto finisce in isteria ed emozionalismo. È inutile tentare di ragionare. La Chiesa cattolica non dovrebbe nemmeno tentare di convincere gli ortodossi ad accettare il patriarcato. Prendere o lasciare. Al diavolo Mosca”.

E dentro la Chiesa cattolica:

“Agli ucraini l’ho già detto. Primo, proclamare pubblicamente il patriarcato. Secondo, chiedere il riconoscimento di Roma. E se questo non viene, respingere tutta la posta che non è indirizzata al patriarcato. Non dirlo soltanto, farlo. La segreteria di stato manda una lettera indirizzata all’arcivescovo? Non c’è più nessun arcivescovo, c’è il patriarca. Non aprire la lettera e rimandarla indietro con la scritta: indirizzo sconosciuto”.


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Verso la fine dell’intervista, padre Taft allarga il contenzioso tra cattolicesimo ed ortodossia alla questione del papato. E così prospetta la soluzione:

“Ciò che noi cattolici abbiamo fatto del papato è semplicemente assurdo. Non c’è giustificazione nel Nuovo Testamento o altrove per ciò che ne abbiamo fatto. Non c’è nessuna ragione al mondo per la quale il papa debba nominare il vescovo di Peoria. Proprio nessuna. Ci vuole una devoluzione, una decentralizzazione. La Chiesa cattolica è diventata così grande che abbiamo bisogno anche in occidente di una specie di struttura sinodale del tipo che c’è in oriente. La conferenza episcopale degli Stati Uniti dovrebbe essere una specie di sinodo dei vescovi cattolici, con la facoltà di eleggere i vescovi. Magari lasciando a Roma un diritto di veto. Questo naturalmente non garantisce vescovi migliori. L’idea che quelli del posto necessariamente scelgano uomini migliori che a Roma è falsa, come sa bene chiunque conosca l’oriente. Ma almeno i fedeli li vedranno come vescovi loro, non come quelli di Roma. Il papa potrebbe dire: Non vi piace l’arcivescovo di New York? Mica l’ho nominato io”.