(l’Espresso) In Palestina aumentano gli ebreocristiani

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Il Vaticano muove alla scoperta di Israele. I suoi fedeli abitano lì


In Israele gli ebreocristiani sono sempre più numerosi e la Santa Sede si adegua. Il nuovo Custode della Terra Santa parla ebraico. E nel Cenacolo, ridato presto alla Chiesa, si tornerà a dir messa


di Sandro Magister

 ROMA – Dal 15 maggio la Terra Santa ha un nuovo Custode, il francescano Pierbattista Pizzaballa, 38 anni, bergamasco. Il Custode ha la potestà su tutti i maggiori luoghi sacri cristiani della terra di Gesù. L’hanno eletto i suoi confratelli, ma è il Vaticano che ha avuto l’ultima parola. Pizzaballa parla ebraico ed è stato parroco degli ebreocristiani di Gerusalemme. È amicissimo del vescovo Jean-Baptiste Gourion, l’ebreo convertito che dallo scorso autunno è stato messo lì dal papa a curare “i fedeli cattolici di espressione ebraica” viventi in Terra Santa.

Il nuovo Custode è la conferma di una svolta in corso. Il Vaticano cerca di raffreddare gli ardori filopalestinesi del patriarcato latino di Gerusalemme, retto dall’arabo Michel Sabbah, e guarda con interesse crescente all’altro versante, a Israele.

La svolta ha ragioni religiose: il forte desiderio di Giovanni Paolo II di far pace con gli ebrei, da lui ribadito nel messaggio del 23 maggio per il centenario della sinagoga di Roma.

Ma ha anche ragioni demografiche: i cristiani arabi in Terra Santa sono sempre di meno, nei Territori ne sono rimaste poche decine di migliaia; mentre sono sempre più numerosi, invece, i cristiani non arabi che abitano in Israele. Negli anni Novanta ne sono arrivati più di duecentomila dalla Russia, dall’Ucraina e da altri paesi slavi. Sono di parentela ebraica ma battezzati. Molti sono nati ortodossi, ma facili a passare al cattolicesimo. In essi la Chiesa di Roma vede il futuro della presenza cristiana in Terra Santa.

Il Vaticano lavora su più terreni e con più uomini. Per la conquista degli immigrati dall’est d’Europa ha dato libero corso ai neocatecumenali, attivissimi nel far proseliti e sicuramente i più filoisraeliani tra i movimenti cattolici nati negli ultimi decenni. Sopra il monte di Korazym, in vista del Mare di Galilea, essi hanno quasi ultimato una cittadella per la formazione dei loro missionari, inaugurata dal papa nel 2000 durante il suo viaggio in Israele, tra gli applausi dei rabbini compiaciuti dello stile anticotestamentario della costruzione. Il loro fondatore e capo supremo, lo spagnolo Kiko Argüello, ha incontrato di recente Ariel Sharon. Anche nei mesi più cupi dell’ultima intifada non hanno mai cessato di portare pellegrini in Terra Santa, facendo capo a un’agenzia di viaggi ebraica o direttamente alla compagnia aerea israeliana El Al.

Quanto agli arabocristiani che abitano nei Territori, il Vaticano fa di tutto perché non emigrino: sollecita i pellegrini che visitano quelle terre a portare loro aiuti in denaro. Ma un conto è il sostegno umanitario, un conto quello politico. Contro gli eccessi d’attivismo filopalestinese il Vaticano s’è fatto più severo. Il francescano Ibrahim Faltas, divenuto celebre come portavoce dei guerriglieri che occupavano la basilica di Betlemme nella primavera del 2002, è sulla lista degli epurandi.

Poi c’è il terreno diplomatico. Lo scorso autunno, quando monsignor Jean-Louis Tauran lasciò la carica di ministro degli esteri, i rapporti tra il Vaticano e Israele erano pessimi. Col suo successore Giovanni Lajolo e col nuovo ambasciatore israeliano presso la Santa Sede, Oded Ben-Hur, qualche lume s’è acceso. È imminente la ripresa di negoziati ufficiali. E uno dei punti vicini a soluzione ha per oggetto la Sala del Cenacolo, a Gerusalemme.

Giovanni Paolo II, nel 2000, vi celebrò messa. Ma formalmente il Cenacolo è una ex moschea di proprietà dello stato d’Israele, visitabile come fosse un museo. La speranza della Santa Sede è di vederlo restituito a luogo di culto cristiano, e il papa contava di darne l’annuncio lo scorso giovedì santo, memoria dell’ultima cena di Gesù. Il governo israeliano è pronto a cedere il Cenacolo non in proprietà ma in uso al capo della Chiesa cattolica. Restano però ancora dei punti da negoziare: ad esempio lì sotto c’è una tomba venerata dagli ebrei come sepoltura di Davide. Per il Vaticano i negoziatori ufficiali sono Lajolo e il nunzio in Israele, l’arcivescovo Pietro Sambi. Ma alla loro ombra si muovono gli sherpa, gli effettivi tessitori di questo e di altri accordi. Sono entrambi francescani: David-Maria Jaeger, altro ebreo convertito, giurista ferratissimo, e Pizzaballa, il nuovo Custode.

[Da “L’espresso” n. 22 del 28 maggio-3 giugno 2004]

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Un altro punto di frizione con il Vaticano riguarda il mancato rinnovo dei visti d’ingresso in Israele per circa centoventi preti, suore, religiosi originari del Libano e di altri paesi arabi.

Per anni essi hanno avuto il visto rinnovato per routine. Ma qualche mese fa, adducendo ragioni di sicurezza, il governo israeliano ha deciso di sottoporre a meticoloso controllo ciascuna richiesta di rinnovo, e le ha tutte bloccate. Col risultato che molti di questi religiosi continuano a restare in Israele illegalmente, a visto scaduto, e non se ne vanno perché temono di non potervi rientrare.

Per accelerare la soluzione del caso si è recato in Israele dal 24 al 28 maggio il cardinale Walter Kasper. Propriamente il suo ruolo è di curare i rapporti religiosi con l’ebraismo. Ma nell’agenda del suo viaggio, fitta di incontri con rabbini e uomini di Chiesa cattolici, greci ed armeni, Kasper, oltre che con autorità d’Israele, ha fatto posto anche alla questione visti.

Alla visita di Kasper farà seguito dal 1 al 4 giugno, a Gerusalemme, un meeting tra i rettori della Hebrew University, della Tel Aviv University, della Bar-Ilan University e i loro omologhi delle quattro maggiori università pontificie romane: il vescovo Salvatore Fisichella della Lateranense, il gesuita Franco Imoda della Gregoriana, padre Giuseppe Cavallotto dell’Urbaniana, l’università di Propaganda Fide, e don Mariano Fazio dell’università della Santa Croce, dell’Opus Dei.

Fisichella è braccio destro del cardinale Camillo Ruini, il vicario del papa che domenica 23 maggio ha letto il messaggio di Giovanni Paolo II agli ebrei nella sinagoga di Roma, nel centenario della costruzione. Mentre Imoda è confratello e amico del cardinale Carlo Maria Martini.

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Senza prevedibili rapide soluzioni è invece la controversia creata dal muro di separazione che Israele sta innalzando tra sé e i Territori.

La protesta della Chiesa è sia di principio (il papa ha invocato pubblicamente “non muri ma ponti”), sia dettata da motivi pratici. Uno degli ultimi atti del predecessore di Pizzaballa come Custode della Terra Santa, padre Giovanni Battistelli, è stato, il 24 marzo, la presentazione a Ginevra, alla commissione dell’Onu per i diritti umani, di una protesta formale.

In essa, oltre a lamentare che il muro non ricalca la “Linea Verde” del 1967 ma ingloba il 7 per cento del territorio palestinese con circa 95.000 abitanti, la Custodia denuncia una serie di “violazioni di diritti umani” a danno dei cristiani del posto.

“Massicci sbarramenti di cemento bloccano la strada verso la città araba di Abu Dis e tagliano in due la città vecchia di Betania. I bulldozer dell’esercito sono penetrati nell’area di un convento e hanno distrutto gli alberi d’ulivo di un altro. Il muro circonda un’altra casa religiosa della stessa area impedendo di accedervi dai Territori. Tutti questi atti violano in modo flagrante l’Accordo Fondamentale tra la Santa Sede e lo stato d’Israele firmato il 30 dicembre 1993 ed entrato in vigore il 10 marzo 1994”. Seguono i rimandi precisi a due articoli di detto Accordo.

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Link utili


Nel sito web della Custodia della Terra Santa, in inglese, il profilo del nuovo titolare, padre Pierbattista Pizzaballa:

> The New Custos of the Holy Land

Il suo ruolo:

> The role of the Custos for the Holy Land

La sua prima intervista programmatica, in italiano:

> Intervista con il nuovo Custode della Terra Santa

E un’altra sua intervista rilasciata all’agenzia “AsiaNews”:

> Essere un ponte per ebrei e musulmani

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Il dialogo tra la Chiesa e gli ebrei, nell’ultimo messaggio di Giovanni Paolo II ad esso dedicato:

> Messaggio del Santo Padre per il centenario della sinagoga di Roma. 23 maggio 2004.

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Il sito web del centro di formazione dei neocatecumenali sul monte di Korazym:

> Domus Galilaeae International Center

E un più dettagliata descrizione della loro presenza in Israele, a firma di un loro dirigente, Giuseppe Gennarini, pubblicata su “il Foglio” del 27 gennaio 2004:

> In Galilea, i neocatecumenali aprono la loro casa agli ebrei