(l’Espresso) Il relativismo cancro dell’Occidente

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Il teologo, il filosofo e il vescovo. Tre lezioni per la Chiesa e l’occidente


Sono Ratzinger, Pera e Caffarra. Ma ad essi fanno corona Biffi, Ruini, Scola. Ecco come i “neoconservative” riscrivono la grande politica della Chiesa


di Sandro Magister

 ROMA – Anche la Chiesa cattolica ha i suoi “neoconservative”. E questo è per loro un momento di forte visibilità. Nei giorni scorsi tre di essi hanno tenuto cattedra a Roma e in Italia con altrettanti discorsi di grande rilievo, tra loro convergenti. I tre sono un vescovo, un filosofo e un teologo. Hanno decretato che l’Europa è malata, è colpita da una mortale malattia dello spirito, ha perso il contatto con la verità e la realtà. E assieme alla diagnosi hanno prescritto la loro terapia.

Il vescovo è quello di Bologna, Carlo Caffarra, successore di un cardinale, Giacomo Biffi, appartenente alla stessa linea di pensiero.

Il filosofo è Marcello Pera, non cattolico ma deciso fautore dell’incontro tra fede e ragione, con la politica come seconda vocazione e dal 2001 presidente del senato italiano.

Il teologo è il cardinale Joseph Ratzinger (nella foto), prefetto della congregazione vaticana per la dottrina della fede.


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Dei tre l’ultimo a parlare è stato Ratzinger. L’ha fatto a Roma il 13 maggio nella biblioteca del senato italiano, ex sala capitolare del chiostro della Minerva, su invito del presidente del senato, Pera. L’ha fatto di fronte a una platea di politici. Il titolo del suo discorso era: “Europa. I suoi fondamenti spirituali ieri, oggi e domani”.

E queste sono state le sue battute conclusive:

“C’è un odio di sé dell’occidente che si può considerare solo come qualcosa di patologico. L’occidente tenta sì in maniera lodevole di aprirsi pieno di comprensione a valori esterni, ma non ama più se stesso; della sua propria storia vede oramai soltanto ciò che è deprecabile e distruttivo, mentre non è più in grado di percepire ciò che è grande e puro. Se vuole davvero sopravvivere, l’Europa ha bisogno di una nuova – certamente critica e umile – accettazione di se stessa.

“La multiculturalità, che viene continuamente e con passione incoraggiata e favorita, è talvolta soprattutto abbandono e rinnegamento di ciò che è proprio, fuga dalle cose proprie. Ma la multiculturalità non può sussistere senza costanti in comune, senza punti di orientamento a partire dai valori propri. Essa sicuramente non può sussistere senza rispetto di ciò che è sacro. Di essa fa parte l’andare incontro con rispetto agli elementi sacri dell’altro, ma questo lo possiamo fare solamente se il sacro, Dio, non è estraneo a noi stessi.

“Certo, noi possiamo e dobbiamo imparare da ciò che è sacro per gli altri, ma proprio davanti agli altri e per gli altri è nostro dovere nutrire in noi stessi il rispetto davanti a ciò che è sacro e mostrare il volto di Dio che ci è apparso – del Dio che ha compassione dei poveri e dei deboli, delle vedove e degli orfani, dello straniero; del Dio che è talmente umano che egli stesso è diventato un uomo, un uomo sofferente, che soffrendo insieme a noi dà al dolore dignità e speranza.

“Se non facciamo questo, non solo rinneghiamo l’identità dell’Europa, bensì veniamo meno anche ad un servizio agli altri che essi hanno diritto di avere. Per le culture del mondo la profanità assoluta che si è andata formando in Occidente è qualcosa di profondamente estraneo. Esse sono convinte che un mondo senza Dio non ha futuro. Pertanto proprio la multiculturalità ci chiama a rientrare nuovamente in noi stessi.

“Come andranno le cose in Europa in futuro non lo sappiamo. La Carta dei diritti fondamentali può essere un primo passo, un segno che l’Europa cerca nuovamente in maniera cosciente la sua anima. In questo bisogna dare ragione a Toynbee, che il destino di una società dipende sempre da minoranze creative. I cristiani credenti dovrebbero concepire se stessi come una tale minoranza creativa e contribuire a che l’Europa riacquisti nuovamente il meglio della sua eredità e sia così a servizio dell’intera umanità”.

In un precedente passaggio del discorso, Ratzinger aveva indicato, come medicina fondamentale per guarire l’Europa dalla sua malattia, il ritorno alla legge naturale, quella che sta prima di ogni legge scritta dall’uomo:

“Un primo elemento [fondante per il futuro dell’Europa] è l’ ‘incondizionatezza’ con cui la dignità umana e i diritti umani devono essere presentati come valori che precedono qualsiasi giurisdizione statale. Questi diritti fondamentali non vengono creati dal legislatore, né conferiti ai cittadini, ma piuttosto esistono per diritto proprio, sono da sempre da rispettare da parte del legislatore, sono a lui previamente dati come valori di ordine superiore. Questa validità della dignità umana previa ad ogni agire politico e ad ogni decisione politica rinvia ultimamente al Creatore: solamente Egli può stabilire valori che si fondano sull’essenza dell’uomo e che sono intangibili. Che ci siano valori che non sono manipolabili per nessuno è la vera e propria garanzia della nostra libertà e della grandezza umana”.

Per Ratzinger il cristianesimo è minoranza, nell’Europa d’oggi e verosimilmente di domani. Ma vuole che sia minoranza “creativa”, capace di restituire vitalità religiosa al continente. Tra il pessimismo di Oswald Spengler e il volontarismo di Arnold Toynbee, il cardinale dichiara di preferire il secondo.

Questo è il link al discorso integrale di Ratzinger, nel sito web del senato:

> Europa. I suoi fondamenti spirituali ieri, oggi e domani



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Il discorso che l’arcivescovo di Bologna, Carlo Caffarra, ha tenuto il 29 aprile si iscrive nella stessa linea di quello del cardinale Ratzinger.

Caffarra ha parlato a un convegno del Centro Sportivo Italiano. Ha tuonato contro i cattivi maestri, i teorici del “gaio nichislimo che non sanno dire nulla all’uomo concreto”. Li ha chiamati per nome, compreso il semiologo e romanziere di fama mondiale Umberto Eco, con ciò suscitando accese reazioni sulla stampa. Ha rilanciato la tesi del grande liturgista Josef A. Jungmann, secondo il quale educare significa “introdurre una persona nella realtà”. E ha argomentato che propro qui sta la difficoltà che ogni educatore incontra nel far ragionare i ragazzi: in quella “malattia mortale dello spirito” che è l’abbandono della realtà in cambio della girandola delle interpretazioni.

A giudizio di Caffarra, realtà e verità si guadagnano o si perdono assieme. La contemporanea “banalità del male”ha la forma del “fai quel che vuoi” senza animazione né regola di verità. Non è un caso che “Veritatis Splendor”, splendore della verità, sia il nome dell’enciclica di Giovanni Paolo II dedicata alla teologia morale, e insieme dell’istituto di studi teologici creato a Bologna dal cardinale Giacomo Biffi. Proprio il giorno del discorso di Caffarra si è inaugurata in diocesi anche una nuova facoltà teologica, la sesta esistente in Italia al di fuori di Roma. Bologna è stata per decenni la mecca del progressismo cattolico conciliare. Oggi sta diventando polo di riferimento del risveglio della teologia ispirata alla grande tradizione.

Questo è il link al discorso integrale di Caffarra, nel sito dell’arcidiocesi:

> L’educazione: una sfida urgente


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Infine il discorso del presidente del senato, il filosofo Marcello Pera. L’ha pronunciato il 12 maggio in un luogo insolito per un politico: l’aula magna della Pontificia Università Lateranense, quella che ha per gran cancelliere il cardinale Camillo Ruini, vicario del papa e presidente della conferenza episcopale italiana, e per rettore il vescovo Rino Fisichella, ghostwriter della maggiore enciclica teologica di Giovanni Paolo II, la “Fides et Ratio” del 1998. Ed è stato da loro invitato, in occasione dei 150 anni di fondazione della facoltà di diritto civile. Il giorno dopo sarà lui a ricambiare, invitando Ratzinger a parlare in una sede politica.

Pera prende di punta il relativismo, come malattia profonda dell’occidente. Ne contesta le radici filosofiche. Ma ne ravvisa la presenza insidiosa anche dentro la Chiesa. Nel conflitto di civiltà che è stato sferrato contro l’occidente – dice – “il relativismo affievolisce le nostre difese culturali e ci prepara o rende inclini alla resa. Perché ci fa credere che non c’è niente per cui valga combattere e rischiare”.

Nel suo argomentare, il presidente del senato si ispira ampiamente a Ratzinger. Cita anche un altro vescovo teologo, Angelo Scola, precedente rettore dell’Università Lateranense e oggi patriarca di Venezia e cardinale. Dà voce al missionario Piero Gheddo. E naturalmente echeggia Giovanni Paolo II.

Insomma, in questo discorso tenuto da un filosofo non cattolico, ma amico, ci sono i nomi di spicco e le tesi dei “neoconservative” della Chiesa, al pari di Biffi e Caffarra, Ruini e Fisichella. La squadra c’è e domina il campo, con epicentro Roma. Il prossimo papa uscirà verosimilmente da questa squadra.

Ecco di seguito l’inizio del discorso del presidente del senato, con il link al testo completo:


Il relativismo, il cristianesimo e l’occidente

di Marcello Pera


Le riflessioni che intendo proporre sono tre. Ritengo che l’occidente soffra di una grave crisi culturale. Ritengo che questa crisi rischi di toccare, se non la dottrina, la predicazione della Chiesa cattolica. E ritengo che il cristianesimo possa contribuire in maniera decisiva a curare la sofferenza dell’occidente. Questa sofferenza ha un nome noto: relativismo…

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