(l’Espresso) I vescovi cubani vogliono libera stampa. E la praticano

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In una lettera a un mensile di Roma rivelano le procedure con cui il regime vuole far tacere la Chiesa, senza riuscirci

di Sandro Magister   


ROMA – Botta e risposta tra l’ambasciatore di Cuba presso la Santa Sede e i vescovi dell’isola. Con i vescovi che per la prima volta mettono in pubblico le procedure soffocanti con le quali il regime di Fidel Castro tiene sotto controllo la Chiesa.


Ha cominciato in marzo l’ambasciatore Isidro Gómez Santos con un’intervista al mensile “30 Giorni” diretto da Giulio Andreotti.

In essa ha affermato che «a Cuba esiste una assoluta libertà religiosa».

Ha vantato che nell’isola «esistono 55 congregazioni religiose femminili e 22 maschili, più di quante erano all’inizio della rivoluzione».

Ha assicurato che c’è libertà di comunicazione. Piuttosto ha rimproverato alla Chiesa cubana di rifiutare di iscrivere nel registro del ministero della cultura più di 50 sue pubblicazioni.

Ebbene, a queste e ad altre affermazioni dell’ambasciatore, il direttivo della conferenza episcopale cubana, con a capo l’arcivescovo dell’Avana, cardinale Jaime Lucas Ortega y Alamino (nella foto), ha risposto con una lunga lettera pubblicata sul numero di maggio della medesima rivista edita a Roma, “30 Giorni”.

Quanto alla libertà religiosa – scrivono i vescovi – «il signor ambasciatore, membro del partito comunista, ha un concetto di libertà religiosa in linea con la sua ideologia marxista, che non corrisponde a ciò che la Chiesa cattolica intende e insegna».

Perché la libertà di culto non basta. E tutto quello che eccede il culto «si scontra con numerose limitazioni; un esempio è l’impossibilità, da parte dei genitori, di scegliere il tipo di educazione che desiderano per i propri figli».

Quanto alla asserita indipendenza tra la Chiesa e lo Stato, i vescovi fanno parlare i fatti:

«L’ufficio per gli affari religiosi del comitato centrale del partito comunista di Cuba controlla la vita e l’azione della Chiesa, dall’entrata nel paese di sacerdoti, religiosi e religiose necessari all’evangelizzazione, fino all’imposizione di restrizioni per l’acquisizione di mezzi utili nell’azione evangelizzatrice, come possono essere l’acquisto di computer, di materiale da costruzione per la riparazione di chiese, di attrezzature per la stampa, di mezzi di trasporto, ecc. La nostra conferenza episcopale detiene l’eccezionale primato di essere l’unica del continente, e forse del mondo, a non avere l’accesso a internet, e questa è solo una delle frequenti limitazioni che l’ufficio per gli affari religiosi ci impone».

Sulla presenza di sacerdoti e religiosi a Cuba, i vescovi mettono a fronte le cifre attuali e quelle che c’erano non «all’inizio della rivoluzione», ma subito prima di essa.

Nel 1959, ricordano i vescovi, i preti erano 700, le comunità religiose femminili 158, le maschili 87, per un totale di 2000 religiosi, con una popolazione di 6 milioni di abitanti.

Mentre oggi i preti sono 300 e i religiosi 600, con una popolazione salita a 11 milioni. «Le difficoltà relative all’ingresso a Cuba di sacerdoti e religiose non dipendono da condizionamenti o priorità interne alla Chiesa [come asserito dall’ambasciatore nell’intervista], ma dal fatto che qualsiasi richiesta è sottoposta al rigoroso e lento processo di approvazione da parte dell’ufficio per gli affari religiosi, che non sempre si conclude in modo favorevole alla Chiesa». Il risultato è che «Cuba oggi ha il minor numero di sacerdoti per abitante di tutto il continente americano».

Ma il passaggio più nuovo della lettera dei vescovi cubani è quello in cui descrivono il controllo sui mezzi di stampa:

«Totalmente ignorata dai mezzi di comuncazione ufficiali, la Chiesa cattolica a Cuba, con molti sforzi e limitazioni e con l’aiuto delle Chiese sorelle, è riuscita a editare, assai modestamente, alcune proprie pubblicazioni. Dal 1997 il governo cubano ha chiesto insistentemente alla conferenza episcopale l’iscrizione nel registro del ministero della cultura di dette pubblicazioni, le quali, però, non sono state ancora registrate poiché il regolamento del registro nazionale delle pubblicazioni periodiche, che stabilisce la necessità di ‘garantire un controllo centralizzato ed effettivo su tutte le pubblicazioni’, è talmente minuzioso nelle sue norme che arriva a decidere se si può cambiare oppure no il profilo tematico, la frequenza di uscita, il numero delle pagine o la tiratura di una pubblicazione. La Chiesa cubana non si ‘ostina’ nel non voler registrare le proprie pubblicazioni. Abbiamo comunicato alle autorità competenti le nostre preoccupazioni circa questi eccessivi controlli. La nostra intenzione di arrivare a un dialogo in proposito non ha dato frutti».

In effetti decine di pubblicazioni cattoliche, a Cuba, figurano come clandestine, sotto minaccia permanente di chiusura. Ma preferiscono correre questo rischio, piuttosto che iscriversi ai registri di Stato. Per la prima volta i vescovi hanno spiegato perché.