Il card. Eijk accusa la teoria del gender

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Intervento di S. Emin. il card. Willem Jacobus Eijk al Rome Life Forum che si svolto alla Pontificia Università dell’Angelicum, a Roma, gli scorsi 16-17 maggio 2019 (lungo, da leggere con calma).

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Uno sviluppo odierno che fa contrastare la città dell’essere umano con la Città di Dio e l’ordine del mondo con la fede cristiana è sicuramente la teoria del Gender.

Che cosa implica la teoria del gender? Il termine ‘sesso’ riguarda le due categorie ‘maschio’ e ‘femmina’ in cui gli esseri umani e la maggior parte degli esseri viventi sono divisi in base alle differenze anatomiche e fisiologiche degli organi riproduttivi e le caratteristiche sessuali secondarie. A partire dagli anni ’50 fu introdotto il termine gender (genere). Questo concerne piuttosto il ruolo sociale del maschio e della femmina. L’idea fondamentale della teoria del gender è che questo ruolo sociale ha nessun rapporto o solo un rapporto remoto con il sesso biologico.

Nel passato il gender come ruolo sociale sarebbe imposto dalla società all’uomo e alla donna e in molte parti del mondo è ancora così. Tuttavia, nella società occidentale con il suo iper-individualismo e l’etica autonoma annessa l’individuo è sottoposto di non accettare un ruolo imposto dalla società, ma di scegliere autonomamente un proprio gender. D’altronde, che l’individuo si fa guidare in questo dall’opinione pubblica, dai mezzi di comunicazione e dai mezzi sociali e dal mondo della pubblicità gli sfugge. L’individuo ha praticamente solo il sentimento di essere autonomo.

Il ruolo che l’individuo sceglie per se stesso si chiama ‘identità del gender’. L’individuo potrebbe scegliere questa identità del gender senza pressione sociale e indipendentemente dal sesso biologico. Così avrebbe la scelta di essere secondo il proprio orientamento sessuale o a propria scelta un uomo eterosessuale, una donna eterosessuale, un omosessuale, una lesbica, un transessuale, un transgender o un neutro. Un transgender è una persona, la cui identità del gender non coincide con il sesso biologico: si sente donna, mentre è biologicamente un uomo o all’opposto. Nel caso in cui qualcuno è malcontento del proprio sesso, si parla di disforia di genere. Un transessuale è un transgender che intende far cambiare o ha fatto cambiare il suo sesso biologico nell’altro mediante trattamenti medici e operazioni chirurgiche.

Molte organizzazioni internazionali mirano a introdurre ovunque, quindi anche fuori del mondo occidentale, il rispetto della libertà dell’individuo di poter scegliere la sua identità del gender insieme a ciò che si chiama in inglese ‘gender equity’, l’equità del gender. L’Organizzazione Internazionale per la Salute pubblicò nel 2012 un programma per promuovere e facilitare una politica al livello istituzionale al fine di esigere rispetto per il gender, l’equità e i diritti umani. Di fatti, le organizzazioni internazionali impongono alle autorità e alle organizzazioni al livello nazionale mediante i sussidi finanziari – o mediante la minaccia di non fornirli – a garantire agli individui la libertà di scegliere il proprio gender. Con questo impongono anche l’obbligo di facilitare questa scelta nel caso del transgender, offrendogli i trattamenti medici o chirurgici, se necessari per adattare le caratteristiche sessuali biologiche al gender scelto. In molti paesi occidentali l’assicurazione malattie basale o il sistemo nazionale di salute compensano in gran parte o completamente i costi di questi trattamenti e operazioni.

Mediante programmi di educazione si tenta di rendere bambini già al livello della scuola elementare consapevoli della necessità di pensare sul proprio gender e di sceglierlo il più presto possibile nella gioventù. Nei casi i cui bambini che pensano di essere transgender, ma sono ancora incerti sul proprio gender, si può frenare l’inizio dello sviluppo puberale con un mezzo ormonale, chiamato triptorelina, per dare al bambino in questione il tempo considerato necessario da riflettere su questo. A parte gli effetti collaterali di triptorelina, bisogna rendersi conto del fatto che molti giovani hanno dei periodi in cui dubitano la loro identità, anche quella riguardante il genere. Questo fa parte di uno sviluppo puberale normale. Frenando in questi casi la pubertà, si rischia di aggravare un problema che sarebbe passato spontaneamente, o perfino di evocare un problema che non vi sarebbe stato mai, se non si fosse intervenuto, somministrando triptorelina. Bisogna osservare che parecchi transgender, dopo la transizione all’altro sesso, non sono sodisfatti, hanno dei problemi psichici e vogliono perciò ritornare al sesso originale.

La radicalizzazione del gender come la radice della teoria del genere

La teoria del gender ha le sue radici nella radicalizzazione del femminismo a partire dagli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, che trovava il suo inizio negli scritti di Simone de Beauvoir (1908-1986). Essa ha scritto nel suo libro La deuxième sexe, pubblicato nel 1949, la frasi famosa: “non si nasce come una donna, ma se la diventa (On ne naît pas femme, on le devient). Nessun destino biologico, psicologico o economico determina la figura che la femmina umana presenta nella società; lo è la civilizzazione nel suo intero che elabora questo prodotto intermediario fra il maschio e l’eunuco, qualificata come femmina.”

Nella preadolescenza non vi sono tante differenze fra il ragazzo e la ragazza. Tuttavia, dall’inizio di questa fase il ragazzo è ammesso nel mondo degli uomini, mentre la ragazza deve rimanere in quello delle donne, per cui è costretta ad assumere il ruolo sociale della donna (evidentemente, la De Beauvoir sta parlando della propria adolescenza che si svolgeva negli anni dopo la prima guerra mondiale). Dal momento in cui la ragazza matura fisicamente, la società sviluppa una certa ostilità verso di lei: la madre critica il suo corpo e la sua posizione, mentre l’interesse dei maschi nel suo corpo la fanno sentire un oggetto fisico sessuale.

Non si può non riconoscere nelle sue idee l’influsso della teoria di Sigmund Freud (1856-1939) della perversità polimorfica. Questa teoria dice che l’essere umano d’origine non abbia un orientamento sessuale, nel senso odierno di un genere, cioè che sia né eterosessuale né omosessuale, ma diventi questo per il modo in cui si sviluppano i rapporti psicologici con in suoi genitori. Quando nell’ambito di questi il bambino dirige i suoi desideri sessuali al genitore dello sesso opposto, diventerà eterosessuale. Nel caso in cui dirige i desideri sessuali al genitore dello stesso sesso, diventerà omosessuale.

Sotto l’influsso di queste idee e di altro fattori il femminismo radicalizzato è convinto che il ruolo della donna sposata come uno strumento per la procreazione e l’educazione della prole sia solo un ruolo sociale, impostole finora dalla società. Ed è pure convinto che possa e anche debba essere liberata da quello tramite la contraccezione e la riproduzione artificiale. La femminista radicale Firestone nel 1970 dice che, una volta liberate dalla “tirannia della loro biologia riproduttiva,” le donne sarebbero messe in grado di scegliere un proprio ruolo, indipendente dal loro sesso biologico. Questa liberazione esige anche l’attacco all’unità sociale organizzata intorno alla riproduzione e la sottomissione della donna destino biologico, cioè la famiglia. La Firestone estendeva questa richiesta a quella della distruzione di tutti gli istituti che segregano i sessi l’uno dall’altro e i bambini dal mondo degli adulti, come le scuole elementari. Inoltre, aggiunge la richiesta della “libertà di tutte le donne e tutti bambini di fare ciò vogliono sessualmente.” Dopo la rivoluzione ultima del femminismo sarebbe sorta in questo modo una nuova società nella quale “l’umanità potrebbe ritornare alla sua sessualità polimorfica naturale – tutte le forme di sessualità sarebbero state permesse e indulte.”

Così sorgeva dal femminismo radicale la teoria del gender. Bisogna osservare che questa teoria aveva inizio anche nell’introduzione della contraccezione ormonale a larga scala negli anni ’60 del secolo scorso, che ha reso possibile ciò che si chiama la liberazione della donna dalla sua biologia riproduttiva. Per questo fu preparata la via per lo staccamento totale del gender dal sesso biologico. Questi sviluppi sottolineano ancora una volta il carattere profetico dell’enciclica Humanae vitae di Paolo VI, in cui qualificò l’uso di contraccettivi per prevenire la procreazione un male intrinseco, cioè un atto essenzialmente cattivo. Paolo VI non prevedeva evidentemente detti sviluppi nell’anno 1968, in cui la pubblicò. Dopo, la sua enciclica è risultata, però, di avere un significato molto più ampio di solo quello che ha nel campo della procreazione. Di tutto questo testimoniano anche i tentativi del massone francese e ginecologo Pierre Simon. Il suo scopo era che l’essere umano stesso, invece di un Creatore, desse una propria forma alla sua natura e alla sua vita. Vedeva la strada per realizzarlo nella ginecologia. Una prima tappa su questa strada era per lui la diffusione più ampia possibile dei mezzi contracettivi per cambiare radicalmente il concetto della famiglia.

Judith Butler nel 1990 conclude che l’imposizione del ruolo sociale classico alla donna e quella dell’eterosessualità come la norma per vivere la sessualità da parte della società sia un elemento di un piano politico, che si fonda su una metafisica sbagliata della sostanza. Riferendo alla idea di Friedrich Nietzsche che “non c’è un essere dietro l’agire, l’effettuare e il divenire,” la Butler dice: “non c’è una identità di genere dietro le espressioni del genere, ma l’identità è costituita in modo performativo dalle ‘proprie’ espressioni, dette di esserne i risultati.” Il gender, imposto alla donna sarebbe costruito dal potere, “parzialmente in termini di convinzioni eterosessuali e falliche.”

S’intende che nel genere preso come il ruolo sociale dell’uomo e quello della donna vi sono aspetti che sono socialmente determinati: il fatto che le donne guadagnano generalmente meno dell’uomo per lo stesso lavoro, il fatto che alla donna fino o poco tempo va non era lecito di guidare macchina in Arabia-Saudita, o che la donna sposata, anche nei Paesi Bassi, non poteva avere un proprio conto bancario o doveva dimettersi nel momento di sposarsi fino agli anni ‘50. Tuttavia vi sono aspetti legati inseparabilmente al sesso biologico, come il ruolo dell’uomo e quello della donna nel matrimonio, nella famiglia, nella procreazione, come padre e madre.

La teoria del genere nella luce della visione cristiana dell’uomo

Che l’opinione pubblica accetti oggi tanto facilmente un distaccamento totale del genere dal sesso biologico è la conseguenza di un ‘cocktail’, cioè in primo luogo di quello dell’iper-individualismo con la sua etica autonoma, menzionata sopra, e in secondo luogo di una particolare visione dell’uomo, oggi dominante soprattutto nel mondo anglosassone. Secondo questa la persona umana come tale è limitata – consapevolmente of inconsapevolmente – alla ‘mente’, cioè la coscienza ragionale e il centro del volere autonomo, di fatti delle funzioni biochimiche e neurofisiologiche molto complicate nei nuclei superiori e nella corteccia del cervello. Si tratta quindi di una visione materialista dell’essere umano. Il corpo è, invece, visto come qualcosa di secondario, che non è essenziale per la persona umana. Il corpo sarebbe per la persona umana, la ‘mente’, un puro mezzo per esprimersi. La ‘mente’ come la persona umana autonoma determina il fine e il significato del corpo, quindi anche l’identità del gender, senza dover rendersi conto del sesso biologico del corpo. Nella morale sessuale restano così due norme fondamentali: che non si deve recare danno al partner sessuale o esercitare potere su di lui.

Tuttavia, una tale visione di una autonomia quasi assoluta è incompatibile con l’esperienza che l’essere umano ha una certa libertà entro certi limiti: lui è determinato in gran parte dall’educazione da parte di parenti e insegnanti, dagli amici, dall’opinione pubblica, i mass media e i media sociali, come abbiamo osservato sopra già. L’essere umano, creato in immagine di Dio, ma non essendo Dio stesso, non ha una libertà assoluta.

Inoltre, l’essere umano non è solo la sua ‘mente’, ma una unità di una dimensione spirituale e una materiale, anima e corpo. L’essere umano né è solo anima, né solo corpo, ma è “corpore e anima unus” (Gaudium et spes, n. 14). Sia l’uomo che la donna hanno la stessa anima – altrimenti avrebbero delle essenze diverse – e hanno perciò la stessa dignità. La differenza fra i due sessi è quindi di carattere fisico. Tuttavia, il corpo – gli organi riproduttivi e quelli sessuali inclusi – non è una cosa secondaria o accessoria, ma appartiene anche all’essere della persona umana ed è quindi come la persona umana un fine in sé e non un puro mezzo, che la persona umana può usare per qualsiasi fine. Giovanni Paolo II scrive nella sua enciclica Veritatis splendor: “Una libertà che pretende di essere assoluta finisce per trattare il corpo umano come un dato sprovvisto di significati e valori morali finché essa non l’abbia investito del suo progetto” (n. 48).

Tuttavia, il corpo umano non è un dato bruto ma, appartenendo all’essere della persona umana, ha i suoi fini e significati che questa stessa non può cambiare. L’uomo e la donna non sono due specie diverse, ma rappresentano due partecipazioni diverse e mutuamente complementari nella stessa natura umana. Questa complementarietà non concerne una differenza di perfezione o rango, ma il loro ruolo reciproco nella procreazione. Né l’uomo solo né la donna sola è in grado di procreare. Lo possono fare soltanto insieme: la moglie dona la paternità al marito e il marito la maternità alla moglie.

La complementarietà non si limita al campo del matrimonio e della procreazione, ma concerne anche le differenze biopsichiche nel loro rapporto di sposi e nei loro rapporti verso persone terze e tutta la società. Il maschio ha una tendenza di concentrarsi sulla razionalità, ha un mondo interiore piuttosto astratto, esprime in genere meno facilmente i sentimenti e ha una preferenza per l’avventura e l’esperimento. La femmina, invece, si dirige soprattutto alle cose concrete, ha una intuizione più forte, esprime più facilmente i sentimenti ed è in genere più premurosa. Mediante la loro complementarità, che non esclude né l’uno né l’altro da diversi settori sociali si completano a vicenda nella famiglia, nella vita sociale e quella professionale. Anche i maschi e le femmine non sposati contribuiscono con i loro talenti alla vita personale e sociale secondo la loro complementarità fuori del campo del matrimonio e della procreazione.

Giovanni Paolo II ha arricchito tutto questa dalla prospettiva teologica mediante la sua teologia del corpo. Il primo capitolo del libro della Genesi associa la divisione dell’essere umano in due sessi biologici diversi direttamente al suo essere creato in immagine di Dio: “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò” (Gen. 1,27).

A questo segue subito il comando di Dio all’uomo e alla donna di procreare e di sviluppare il creato come amministratori: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra” (Gen. 1,28).

Giovanni Paolo II combina questo nella sua catechesi sulla teologia del corpo con la sua esegesi del secondo capitolo della Genesi, in cui il matrimonio è descritto come la comunione più intensa di due persone umane: “Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne” (Gen. 2, 24).

C’è un unico Dio in tre Persone. Dio è in sé stesso una comunità di tre Persone, che differiscono a vicenda nei loro mutui rapporti, si amano e si donano a vicenda totalmente. Qualcosa dell’”unita della Trinità” è rispecchiata analogicamente nella comunità di persone più intima che c’è, cioè il matrimonio, in cui l’uomo e la donna, ambedue esseri umani, ma mutuamente complementari, si amano e si donano totalmente a vicenda, cioè al livello spirituale, a quello affettivo e a quello fisico, (Mulieris dignitatem n. 7; Familiaris consortio n. 11).

Inoltre, Giovanni Paolo II osserva un’analogia fra l’eterno generare del Figlio dal Padre e quello dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio da una parte e il generare umano dall’altro. Il mutuo dono totale dell’uomo e della donna nel matrimonio diventa fecondo nella generazione (e nell’educazione) di nuove persone umane. Il generare in Dio, pur completamente divino e spirituale, è il modello assoluto per il generare umano, che è ‘proprio dell’«unità dei due»” (Mulieris dignitatem n. 8). Sia l’essere umano in due sessi biologici, sia il generare umano sono stati creati in immagine di Dio. Gli aspetti essenziali del genere mascolino e quello femmineo, l’essere sposi, padre e madre e i sessi biologici umani sono quindi ancorate ugualmente nell’essere creato in immagine di Dio e fanno parte dell’ordine della creazione.

Simone de Beauvoir e i femministi radicali cercano il disprezzo della donna come oggetto di piaceri carnali e di sottopressione e come madre, un essere destinata in modo piuttosto funzionale per la riproduzione e l’educazione, in un ruolo, un genere, che la società l’avrebbe imposto. Giovanni Paolo II, invece, cerca la fonte del disprezzo della donna nel peccato originale, che ha offuscato l’essere stato creato in immagine di Dio sia nell’uomo che nella donna, ma con delle conseguenze più gravi per l’ultima. Perciò Dio dice alla donna dopo la caduta nel peccato: “Verso il tuo marito sarà il suo istinto, ma egli ti dominerà” (Gen. 3,16).

Per questo Giovanni Paolo II raccomanda come rimedio contro la discriminazione e il disprezzo della donna, osservabili in modo diverso lungo la storia dell’umanità la conversione al riconoscimento che sia l’ uomo che la donna sono in primo luogo esseri umani con la stessa dignità, ambedue creati in immagine di Dio. E raccomanda anche la conversione al riconoscimento che la loro mutua complementarità come conseguenza delle loro differenze biologiche, inclusi gli aspetti essenziali del loro genere, sono radicati nel loro essere.

Conseguenze della teoria del genere per la proclamazione della fede cristiana

La teoria del gender ha delle conseguenze gravi per la proclamazione delle fede cristiana.

In primo luogo, la teoria del gender per il distaccamento quasi totale del genere dal sesso biologico, contradice radicalmente l’insegnamento della Chiesa che il rapporto sessuale ha il suo posto solo fra un uomo e la donna dentro il matrimonio e deve essere sempre aperto alla procreazione. Al contrario, la teoria del gender implica una libera scelta del genere indipendentemente dal sesso biologico e accetta anche l’attività sessuale che gli conviene, anche se fuori del matrimonio e non aperto alla procreazione, come quella fra persone delle stesso sesso. Inoltre, promuove il cosiddetto matrimonio fra persone dello stesso sesso biologico e trova moralmente accettabile che questi abbiano dei figli per adozione. Accetta anche rapporti sessuali extraconiugali, la maternità surrogata e la riproduzione artificiale. Inoltre, la riassegnazione del sesso biologico nel transessuale implica pure una sterilizzazione.

In secondo luogo, la teoria di genere, avendo le sue origine nel femminismo radicalizzato, promuove la legittimazione dell’aborto procurato – sotto i termini eufemistici dei diritti sessuali e riproduttivi – per prevenire che una donna, involontariamente incinta, sia costretta ad assumersi il ruolo di madre, visto come un ruolo impostole nel passato della società occidentale e ancora oggi in molti paesi nel mondo alla donna.

In terzo luogo, la teoria del gender impedisce la proclamazione della fede cristiana di per sé, minando i ruoli del padre, della madre, degli sposi, del matrimonio e del rapporto fra figli e genitori. Dobbiamo rendersi conto che la Sacra Scrittura, la Tradizione e il Magistero della Chiesa e di seguito anche la teologia cattolica usano l’analogia fra i rapporti fra le tre Persone in Dio e il generare divino da una parte e il matrimonio e il generare umano dall’altra parte per proclamare la fede cristiana. Il togliere o cambiare i significati del padre, della madre, del matrimonio, della paternità e della maternità rende difficile di annunziare la fede in un Dio in tre Persone, il Dio Padre, Cristo come il Figlio del Dio Padre, fattosi uomo, e Maria come la sposa dello Spirito Santo. Nella Rivelazione Dio si identifica come Padre e lo sposo del suo popolo d’Israele. Minando i significati dello sposo e della sposa, si mina la possibilità di annunciarlo. Così si reco danno anche all’analogia fra il rapporto fra Cristo e la Chiesa da una parte ed il rapporto fra lo sposo e la sposa dall’altra parte (Ef. 5,21-33). Fra l’altro su questa analogia si fonda il fatto che il prete, rappresentando Cristo di persona e avendo perciò la Chiesa come sposa, deve essere un uomo. Il distaccare il gender dal sesso biologico renderebbe di per sé irrilevante, se il prete sia un maschio o una femmina.

Il mostrare gli sbagli della teoria del gender è una cosa molto urgente, perché con questa non è in gioco solo la morale sessuale, ma perfino la proclamazione della fede cristiana di per sé.

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Fonte: https://www.corrispondenzaromana.it/il-card-eijk-accusa-la-teoria-del-gender/

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