(il Timone) I cattolici fai da te non hanno più la fede

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Il disagio della Chiesa di fronte alle sortite che contestano apertamente il Magistero.


Ecco come riconoscere alcuni fra gli errori più diffusi, anche fra i credenti.
Per evitare di fare “naufragio nella fede”.


di Mario Palmaro

Ogni tanto capita, con la stessa ripetitività delle
stagioni. Una personalità del mondo cattolico rilascia
un’intervista nella quale prende le distanze
dall’insegnamento della Chiesa. A questo punto i giornali –
giustamente – rilanciano con grande fragore la notizia,
gli intellettuali discutono, il mondo cattolico ufficiale
soffre in silenzio per non alimentare scandali. E il
popolo dei fedeli rimane disorientato, stordito. Come un
gregge nel quale qualche pecora si mettesse a contestare
l’affidabilità del pastore.

In realtà, questi episodi hanno alcuni elementi fra loro
comuni, che permettono di smascherarli per quello che sono:
l’espressione dell’antica e mai sopita ambizione dell’uomo
di essere norma a sé stesso. L’adesione alla Chiesa è un
atto insieme di libertà e di sottomissione: fede e ragione
si sostengono, ma l’atteggiamento richiesto al cuore
dell’uomo è innanzitutto l’umiltà. Dio, e non l’uomo, è
l’artefice della Creazione. E dunque, Dio e non l’uomo è il
Legislatore. Dunque, la verità è stata affidata da Cristo
alla Chiesa. Spetta al Papa custodirla, in conformità alla
Tradizione e in comunione con i vescovi. I teologi, gli
intellettuali, i sinodi, i convegni ecclesiali, e perfino i
singoli vescovi sono voci senza dubbio interessanti; ma non
sono la Chiesa.

Ora, basta rileggere alcuni esempi di queste “voci fuori dal
coro” del Magistero, per riconoscere che esse mettono a
repentaglio la salvezza stessa delle anime. Ricordiamo che,
per l’uomo, il rischio più grande è fare “naufragio nella
fede”, e perdere così la vita eterna, come San Paolo ricorda
con toni accorati a Timoteo. Ecco una sintesi dei principali
errori che si ritrovano in queste sortite, compiute da
cattolici in stato confusionale.

L’ importante è dialogare: meglio evitare divisioni che dire
la verità.
Il cattolico “dialogante” ritiene che affermare delle verità
oggettive, insegnate dalla Chiesa e confermate dalla ragione
umana, sia un atto di prevaricazione, frutto di preconcetti
e di posizioni pregiudiziali. La Chiesa deve scendere dalla
sua scomoda cattedra, per lasciare il suo posto ai non
credenti, che assumono il compito di insegnare la (loro)
verità ai cattolici, che brancolano nel buio. Questo tipo
umano sogna un Papa che si affacci dalla sua finestra solo
per benedire e salutare in molte lingue. Ma che sia muto
ogni volta che ci sia di affermare verità scomode e
impopolari sulla dottrina della fede e della morale.
L’importante è evitare affermazioni apodittiche. E
siccome i dieci
comandamenti sono quanto di più apodittico si possa
immaginare, ecco che si propone di ritirare dal mercato il
decalogo, almeno nelle sue prescrizioni più contestate.

La verità forse esiste, ma l’uomo non può conoscerla.
Per questo cattolico, la Chiesa non può dirimere sempre ogni
controversia morale, perché esistono delle “zone grigie”,
delle aree nebbiose dove la verità non si distingue, e dove
la cosa migliore è aprire un dibattito. Quali sono queste
zone grigie? Quelle nelle quali si manifesta una diversità
di opinioni nella società. Dunque, in una società pluralista
e relativista, tutta la vita morale può diventare una
sconfinata “zona grigia”, riducendo l’autorità della Chiesa
al silenzio praticamente su tutto. Saranno da evitare in
particolare pronunciamenti su divorzio, aborto, fecondazione
artificiale, eutanasia.
La verità è un prodotto del dialogo. Per questo genere di
cattolici, la verità non preesiste alla discussione. Non è
una realtà che c’è, e che l’uomo ha il compito di scoprire
con l’auto della Chiesa. No: la verità si rinnova
continuamente, grazie alla dialettica: le “parti” esprimono
rispettosamente delle posizioni, e così si raggiunge un
punto di mediazioni (provvisorio) che costituisce la verità
accettabile da tutti in quel momento. Se, ad esempio, uno
dice che l’aborto è lecito, e un altro dice che non è
lecito, la verità prodotta sarà che l’aborto è un po’
lecito: si può fare in certi casi.

Anche se sei ignorante, dialoga lo stesso.
Per discutere, è buona regola sapere ciò di cui si parla. Ma
la foga di dialogare è così forte, in alcuni cattolici, che
si va al confronto senza essere preparati. Il tuo
interlocutore dice, ad esempio, che l’ootide non è un essere
umano? Prendi subito per buona questa solenne corbelleria.
Mentre dovresti sapere che dal primo momento della
fecondazione in poi il nuovo organismo vivente (anche con
due pronuclei, cioè allo stadio di ootide) è caratterizzato
da uno sviluppo coordinato, continuo e graduale, che
permette di qualificarlo appunto come individuo (umano) e
come vivo (A. Serra e R. Colombo, Identità e statuto
dell’embrione umano: il contributo della biologia in
Pontificia Accademia Pro Vita, Identità e statuto
dell’embrione umano, Libreria Editrice Vaticana, Città
del Vaticano 1998). All’ignoranza scientifica si
accompagna talvolta un’imbarazzante impreparazione
morale: potrà così accadere che si giustifichi l’aborto
facendo leva sul principio della legittima difesa; tesi
assurda, che implicherebbe attribuire
al concepito il ruolo di “ingiusto aggressore”!

Bisogna inventare un “cattolicesimo sostenibile”.
Il cattolicesimo oggi è diventato impresentabile di fronte
alla modernità: bisogna aggiornarne gli elementi più scomodi
per renderlo sostenibile, un po’ come affermano gli
ambientalisti di fronte allo sviluppo. La prima regola per
questo lifting è astenersi dal giudicare frettolosamente:
meglio discutere serenamente per non creare inutili
divisioni, e far derivare le regole da ciò che i più pensano
e fanno. La sociologia sostituisce la riflessione morale e
soppianta la legge naturale. La prassi genera la norma. Per
cui, se la gente chiede la fecondazione artificiale, noi
gliela dobbiamo dare.

Il male non si combatte: si regolamenta.
Secondo questo falso cattolicesimo, si può anche riconoscere
che una certa condotta sia cattiva. Ma – in base al
principio assoluto che si deve dialogare con tutti – bisogna
in un certo senso dialogare anche con il male. E scendere a
patti con esso. Quindi, le leggi dello Stato non vieteranno
l’aborto. Se lo facessero, si creerebbero inutili divisioni.
Meglio regolamentare il fenomeno. Così, il male non consiste
più nell’atto dell’uccidere il concepito. Il male è l’aborto
clandestino (che minaccia la vita delle donne) mentre l’aborto
legale diventa “buono”, perché fatto secondo le norme dello
Stato. Verranno uccisi molti innocenti, è vero; ma sarà
salva la pace sociale e il dialogo permanente con tutti i
sopravvissuti.

Chi compie il male va capito e giustificato.
La Chiesa insegna una dottrina esigente e offre insieme un
perdono senza limiti da parte di Dio. Invece, per il
cattolico del dissenso (dal Papa) il perdono sostituisce la
dottrina. Siccome chi commette un male può agire in
circostanze molto difficili, allora occorre sospendere il
giudizio sulla sua condotta, ed evitare ogni condanna.
Questo approccio non ha solo valenze morali – potremmo dire
“da confessionale” – ma pretende di avere conseguenze
giuridiche e politiche. Esempio: una donna abortisce.
Peccato, ma poiché ha vissuto un dramma, come può la società
prevedere una pena, anche lieve, per la sua condotta? E
ancora: un uomo elimina con l’eutanasia sua moglie. Non è
bello. Però, vista sua sofferenza, quale giudice potrà
dichiararlo colpevole? Questo criterio potrà essere
applicato ad altre infinite “zone grigie”: un uomo scopre
che la moglie lo tradisce, e la uccide. Ma in quest’ultimo
caso, il cattolico politicamente corretto si dichiarerà
inflessibile e per nulla comprensivo, nonostante le
“terribili circostanze” in cui il delitto è avvenuto.

Come si vede, quello che alla fine ci resta in mano è
soltanto un pallido ricordo del cattolicesimo. Un corpo
freddo e morto, che ha perso per strada l’amore per la
Verità e la certezza della presenza viva e reale di Cristo
in mezzo alla Chiesa. Un cattolicesimo senza croce e senza
testimonianza, in fuga di fronte al martirio quotidiano
dell’incomprensione del mondo.
Non rimane che aiutare questi fratelli con l’apostolato
della verità. E pregare per loro, perché grande è il
pericolo che rappresentano per la salvezza di molte anime. A
cominciare dalla loro.


Mario Palmaro
http://www.iltimone.org/ N. 54, giugno 2006