(il Tempo) Dare il nostro uno per ricevere cento dal Signore

  • Categoria dell'articolo:Pubblicazioni

Sharing is caring!

 «Il mondo ha bisogno di preti davvero santi»


Il cardinale: le cose materiali non sono priorità della vita, i giovani riscoprano il contatto con Dio


Parla Ratzinger: di fronte alla povertà i sacerdoti non devono solo insegnare cose utili, ma mostrare un cuore paterno


 


di Giuseppe De Carli



I funerali del Beato Annibale Maria Di Francia, come dimostrato da un filmato girato da un turista francese a Messina nel giugno 1927, dimostrano la straordinaria popolarità del Di Francia.


Eminenza Ratzinger, come è venuto a contatto con questa figura?


«Avevo sentito parlare del Di Francia circa vent’anni fa, poi ho avuto l’opportunità di conoscere meglio questa figura quando sono stato invitato a celebrare a Roma la Messa nella parrocchia dei Rogazionisti per commemorare il Beato. Allora ho avuto occasione di studiarne la biografia commovente e sono rimasto veramente colpito. Rogate ergo. La vita per e con i poveri non era, nel Di Francia, che un riflesso ingrandito del rapporto indissolubile tra la vigna del Signore e l’apostolato della carità».


In questo senso lo si può definire un anticipatore, come ha detto Wojtyla?


«Certamente. Questa parola del Signore Rogate è collocata in un momento in cui il Signore aveva visto la povertà spirituale e anche materiale del suo popolo e aveva detto: “Sono come pecore senza pastore”. Quando Padre Annibale entrò nel malfamato quartiere Avignone di Messina, conobbe proprio questa esperienza: quella della gente che viveva in una miseria incredibile e realmente nell’abisso della povertà spirituale e materiale, esposta a tutti i vizi e miserie della vita; allora capì che cosa significavano le parole “pecore senza pastore”. E credo che il Rogate del Signore, collocato in questa esperienza della vita del Padre Annibale contiene la novità di un’esperienza veramente anticipatrice dei bisogni del nostro tempo».


Padre dei poveri per un prete: la paternità più alta. Bisogna essere padri, papà, più che operatori sociali, manager o organizzatori del tempo libero per i giovani!


«Sì, proprio all’epoca del Padre Annibale questo era visibile, ma è vero che non basta un operatore sociale, anche se fa cose utili naturalmente! Nella miseria, nella povertà anche spirituale molto diffusa, non basta insegnare cose tecniche, alfabetizzare: tutto questo è valido, ma è necessaria la presenza del cuore, farsi padre; solamente così si può dire di andare incontro a quanto la gente aspetta; più che fare e avere, aspetta un cuore realmente paterno».


Oggi abbiamo più che mai bisogno di sacerdoti pieni del mondo perché pieni di Dio, e tanti hanno nostalgia di preti santi, di preti che insegnano a pregare.


«Sì, forse non sono tutti consapevoli di desiderare preti santi, ma nella profondità del cuore c’è realmente la domanda di persone credibili, che non fanno soltanto qualcosa di esteriore, ma che stanno alla presenza di Dio e che hanno la capacità di entrare in relazione con Dio».


Perché tanta difficoltà, nei Paesi ricchi, a incontrare giovani attratti dalla vita religiosa consacrata?


«Forse sono proprio la ricchezza e l’abbondanza a sviare. Abbiamo tanto da fare, tante cose che appaiono belle, importanti, e così manca la semplicità e la libertà spirituale di dare se stessi, di lasciare le cose materiali, che possono essere belle e anche utili, ma che non costituiscono la priorità. La priorità è andare alle fonti, al contatto con Dio e da lì attingere la forza di dare se stessi agli altri per avvicinare anche gli altri al Signore».


Sacerdote testimone dell’Eterno in una società in cui si cerca spesso una eternità surrogata. Si ha la paura di invecchiare, la paura del limite, si ha la paura di guardarsi allo specchio. C’è una ricetta per rimanere giovani?


«C’è un culto sbagliato della gioventù. Se uno di sessant’anni volesse presentarsi come un adolescente, pretenderebbe una cosa assurda, anzi ridicola. Dobbiamo imparare che alla nostra vita appartiene anche la temporalità. Come nella natura esistono la primavera, l’estate, l’autunno e l’inverno e abbiamo l’arco del tempo con tutta la sua ricchezza, così anche la vita umana è temporale e ogni periodo e fase ha il suo valore proprio, la sua dignità; dobbiamo riconoscere questo e viverlo con profonda convinzione; solo così possiamo dare tutto quello che è presente nella temporalità umana. Direi che la vera gioventù della quale abbiamo desiderio, e giustamente, è un po’ diversa e risulta dal desiderio dell’infinito, dell’avvicinarsi all’infinito: ma, proprio in riferimento a questo, siamo sempre dei principianti, siamo sempre all’inizio. La vera gioventù nasce dal desiderio di infinito e di partecipare all’eternità di Dio.


Prendendo spunto da Padre Di Francia, santo, cosa direbbe ad un giovane per abbracciare una vocazione religiosa. Valgono ancora oggi le parole di Gesù al giovane ricco: “Va’, vendi quello che hai, dallo ai poveri, poi vieni e seguimi”?


«Valgono sempre le parole del Signore, attuali anche se suonano un po’ difficili. Dobbiamo tenere presente che il Signore dice: voi che avete abbandonato tutto, avrete cento volte le cose abbandonate e la vita eterna cento volte, anche se con persecuzioni. In questa vita il Signore dà cento per uno, ma prima dobbiamo dare noi questo uno. Se vogliamo ingrandire la nostra vita dobbiamo liberarci dall’attaccamento all’avere, al fare, e osare questo salto. Lasciare tutto e porci alla sequela del Signore».


Il Tempo, 16 maggio 2004