(il Giornale) Rese pubbliche le direttive contro la pedofilia

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il Giornale 13-4-2010

Ecco le norme anti-pedofilia del Vaticano
di Andrea Tornielli

La Santa Sede mette online il regolamento interno del 2003, mai pubblicato e voluto da Ratzinger Denunce alla magistratura e possibilità di ricorrere direttamente al Papa per «spretare»»i colpevoli

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Roma. La Santa Sede mette online per la prima volta le linee operative adottate dalla Congregazione per la dottrina della fede contro i preti pedofili: si ribadisce l’invito alle vittime di rivolgersi anche alla magistratura civile ed è messa nero su bianco la facoltà papale di dimettere dallo stato clericale in modo inappellabile il sacerdote riconosciuto colpevole. E nuove iniziative «che sorprenderanno» sono in arrivo da parte di Benedetto XVI, come ha anticipato ieri dal Cile il Segretario di Stato Tarcisio Bertone.
Le norme rese note ieri non sono affatto nuove, ma sono state elaborate dopo la pubblicazione nell’aprile 2001 del motu proprio di Giovanni Paolo II, seguito qualche settimana dopo dalle specificazioni tecniche contenute nella lettera De delictis gravioribus, firmata dall’allora cardinale Joseph Ratzinger. Il regolamento interno ora reso disponibile è stato redatto nel 2003 ed è applicato da allora.
Innanzitutto, si stabilisce che sia la diocesi a indagare «su qualsiasi sospetto di abusi sessuali da parte di un religioso nei riguardi di un minore». Nel caso il sospetto «abbia verosimiglianza con la verità, il caso viene deferito alla Congregazione per la dottrina della fede». Dal 2001 è infatti la Santa Sede competente per ogni caso di abuso su minori. Il vescovo locale trasmette a Roma «ogni informazione necessaria ed esprime la propria opinione sulle procedure da seguire e le misure da adottare a breve e a lungo termine». Importantissimo è il passaggio successivo del regolamento: «Va sempre dato seguito alle disposizioni della legge civile per quanto riguarda il deferimento di crimini alle autorità preposte». Ciò significa che non si possono insabbiare o coprire le responsabilità. La prassi inaugurata nell’ultimo decennio è quella di invitare le vittime a rivolgersi alla magistratura per denunciare il loro violentatore. A questo proposito, il promotore di giustizia della Congregazione per la dottrina della fede Charles Scicluna, nell’intervista concessa il mese scorso al quotidiano Avvenire poi fatta propria e divulgata dalla Sala Stampa della Santa Sede, aveva detto: «Noi non imponiamo ai vescovi di denunciare i propri sacerdoti, ma li incoraggiamo a rivolgersi alle vittime, per invitarle a denunciare quei sacerdoti di cui sono state vittime». Solo là dove il sistema giuridico lo prevede «i vescovi, se vengono a conoscenza di reati commessi dai propri sacerdoti – continuava ancora Scicluna – al di fuori del sigillo sacramentale della confessione, sono obbligati a denunciarli all’autorità giudiziaria».
Torniamo al regolamento del 2003 reso noto ieri: «Nella fase preliminare e fino a quando il caso sia concluso – si legge ancora nel testo – il vescovo può imporre misure precauzionali per la salvaguardia della comunità, comprese le vittime. In realtà, al vescovo locale è sempre conferito il potere di tutelare i bambini limitando le attività di qualsiasi sacerdote nella sua diocesi. Questo rientra nella sua autorità ordinaria, che egli è sollecitato a esercitare in qualsiasi misura necessaria per garantire che i bambini non ricevano danno, e questo potere può essere esercitato a discrezione del vescovo prima, durante e dopo qualsiasi procedimento canonico».
Per quanto riguarda le possibilità concrete di intervento, la Congregazione per la dottrina della fede può autorizzare il vescovo locale a «condurre un processo penale giudiziario davanti a un Tribunale ecclesiale locale», con possibilità di appello alla Congregazione stessa. Oppure può autorizzare il vescovo «a istruire un processo penale amministrativo». Il sacerdote accusato «è chiamato a rispondere alle accuse e a esaminare le prove» e ha il diritto «di presentare ricorso» a Roma «contro un decreto che lo condanni a una pena canonica».
Se il prete viene giudicato colpevole, i due procedimenti, penale e amministrativo (stiamo parlando ovviamente sempre di processo ecclesiastico), può essere condannato «a un certo numero di pene canoniche, la più seria delle quali è la dimissione dallo stato clericale». Ma ci sono anche casi «particolarmente gravi», quando i processi civili hanno riconosciuto colpevole l’accusato di abusi su minori oppure anche in assenza di una condanna vi siano prove schiaccianti, che permettono il ricorso diretto al Papa. La Congregazione può infatti chiedere al Pontefice di emettere un immediato e inappellabile decreto di dimissione dallo stato clericale.
Nel caso il prete accusato abbia ammesso i propri crimini e accettato di vivere in preghiera e penitenza, il vescovo, con l’autorizzazione di Roma, può decretare la proibizione o la limitazione del ministero sacerdotale: nel caso il soggetto violasse le imposizioni ricevute, potrà essere dimesso dallo stato clericale.
Va ricordato che il giro di vite deciso nel 2003 va attribuito all’allora Prefetto dell’ex Sant’Uffizio Joseph Ratzinger che fu autorizzato ad agire da Giovanni Paolo II.