(il Foglio) Vogliamo davvero rinnegare le nostre radici?

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Socci chiede a Pera e Mieli
su quale altare sacrificherebbero l’embrione
Al direttore – Lo scontro delle civiltà descritto da Samuel
P. Huntington è come la deriva dei continenti.
Blocchi geopolitici compatti che cozzano fra loro.
Ma c’è uno scontro di civiltà interno a ciascun “continente”.
Mi è apparso chiaro nei giorni scorsi, leggendo un titolo
per me agghiacciante sulla prima pagina del Corriere della
sera: “Reeve: la mia speranza negli embrioni”.
Era un articolo – ripreso dal Guardian – dell’attore
Christopher Reeve, quello che ha interpretato Superman,
oggi gravemente ammalato.
L’articolo si riferiva alla sperimentazione coreana che ha
portato alla “produzione” in laboratorio – tramite clonazione –
di 30 embrioni umani destinati a fornire cellule staminali a
fini terapeutici per poi essere soppressi.

Mi pare la rottura di un argine millenario.
Finora infatti la clonazione di un essere umano era un tabù.
Vietata dovunque, vietata dalla Convenzione di Oviedo, dal
Parlamento europeo e dell’Unesco.
Oltretutto – in questo caso – questi embrioni sono stati
specificamente clonati per essere usati come “fabbriche” di
cellule staminali e poi essere soppressi.
Mai fino ad ora era stato moralmente e filosoficamente
legittimato da intellettuali e giornali importanti e seri
che si potesse “produrre” un essere umano da sacrificare
per la salute di altri.

In particolare è interessante – per la serietà e la
consapevolezza che li distingue – ciò che hanno scritto due
intellettuali laici fra i più autorevoli, a cui peraltro mi
sento vicino per amicizia e stima: Paolo Mieli e Marcello
Pera.
Due persone a cui non sfugge affatto la gravità morale della
materia.
Ebbene Mieli, sul Corriere della sera, afferma – senza mezzi
termini – citando Emanuele Severino (intervenuto anche lui
sul Corriere) che in questo caso “si sacrifica la vita per
il bene comune, perché c’è uno scopo buono che nel nostro
caso è il carattere terapeutico della clonazione”.

Pera in un lucido articolo sul Foglio del 2 settembre 2000
aveva preso una posizione analoga.
Quello che distingue entrambi è la lealtà intellettuale, il
rifiuto dell’ipocrisia.
Ad esempio, Pera – che è anche filosofo della scienza –
spiegava a chi teorizza a cuor leggero la sperimentazione
sugli embrioni che non ha senso negare all’embrione il
carattere di persona: “preferisco dire che un embrione è
fin dall’inizio persona…” perché “si deve sapere che cosa
si fa e non nascondersi dietro parole che servono solo a
scaricare la coscienza”.
Ciò serve ad “aumentare la responsabilità morale di tutti
noi e soprattutto di chi dona e abbandona embrioni.

Vuol dire che, se l’embrione è persona fin dal primo momento,
allora non lo si può usare per la ricerca medica?
Almeno per un laico, no”, rispondeva Pera.
“Perché la persona non è un bene in sé, sempre e comunque, e
perciò un laico potrebbe ritenere moralmente tollerabile
sacrificare la persona di un embrione alla persona (salute,
gravidanza) di un adulto”.

La domanda che s’impone è: chi ha il terribile potere di
decidere quali esseri umani sacrificare?
E c’è qualche differenza culturale e morale fra questo tipo
di sacrifici umani e quelli (spazzati via dal giudaismo e
dal cristianesimo) che venivano compiuti in altre civiltà,
anch’essi con lo scopo “benefico” di propiziare eventi
positivi?
Come ha spiegato René Girard, infatti, tutte le civiltà,
sono state “fondate” sul sacrificio umano.
Tutte meno quella giudaico-cristiana.
La quale nasce proprio con la condanna dei “sacrifici umani”:
è la rivelazione che Dio fece ad Abramo con l’episodio di
Isacco.
Il cui senso era: d’ora in poi quando vi diranno che occorre
sacrificare degli esseri umani a qualche dio (qualche scopo
superiore) non credetegli perché l’unico Dio vero ha orrore
dei “sacrifici umani” e vuole che l’uomo viva.
Era la condanna degli dèi “falsi e bugiardi”.

Così l’unico Dio vero interveniva per la prima volta nella
storia umana rivelando che nulla ha più valore dell’uomo e
che la persona è un valore in sé.
Era l’inizio di quella storia da cui sarebbero nati Israele
e il cristianesimo, ovvero la nostra civiltà.

Pur fra mille contraddizioni e drammatici tradimenti, nel
corso dei secoli la cristianità ha purificato popoli
barbari, sempre tentati dal ritorno al paganesimo, finché
si è sedimentato nel senso comune la percezione della
persona umana come un bene in sé, non sacrificabile a
nessun dio: l’essere umano non può essere di proprietà
di nessuno Stato o Imperatore o Partito o Classe o Razza o
Scienza o Padrone.

Con la consueta lucidità – pur schierandosi dalla parte
opposta, quella degli dèi – Nietzsche coglieva
l’essenziale: “L’individuo fu tenuto dal cristianesimo così
importante, posto in modo così assoluto, che non lo si poté
più sacrificare, ma la specie sussiste solo grazie a
sacrifici umani…”.
Poi aggiungeva: “La vera filantropia vuole il sacrificio per
il bene della specie – è dura, è piena di autosuperamento,
perché abbisogna del sacrifico dell’uomo.
E questo pseudoumanesimo che si chiama cristianesimo, vuole
giungere appunto a far sì che nessuno venga sacrificato…”.

A me quella che si consuma oggi pare l’ennesima corsa
all’indietro, una rottura apocalittica (in senso etimologico)
perfino con la morale laica kantiana.
E’ la vittoria di Nietzsche. Tornano in mente le parole di
Dostoevskij secondo cui, quando si è eliminato Dio tutto
diventa permesso, ma sia chiaro: il Dio cristiano, l’unico
Dio che si è fatto inchiodare in croce per mettere fine ai
sacrifici umani, perché tutti gli altri dèi esigono
sacrifici umani.

Conosco l’obiezione.
Persone consapevoli e serie come Pera e Mieli mi
risponderanno: sappiamo che è una materia grave, nessuno
accetta queste sperimentazioni a cuor leggero, ma esse
promettono di guarire milioni di persone.
Lo scontro sarebbe dunque fra le infinite possibilità di
guarigione che fornisce la scienza (dunque uno scopo
positivo, un dio) e un oscurantismo che vuol fermare il
cammino della scienza (il Dio degli ebrei e dei cristiani).

Ma è vero che questa terribile pratica porta grandi
benefici medici?
E’ accertato?
Lo garantisce la scienza?
La risposta è: no. Su Le Monde – che non è certo un
quotidiano “clericale” – lo scienziato Jacques Testart ha
scritto: “Per la ricerca sugli embrioni umani, sembra non
si consideri che questa possibilità, aperta dal 1990, non
ha condotto ad alcun risultato di un qualche interesse”.

Il dottor Rudolf Jeanisch ha spiegato che la clonazione
realizzata in Corea non ha alcuna utilizzazione concreta
a questo stadio e che è improbabile che questo gran dispendio
di mezzi, tempo e soldi produca terapie rivoluzionarie che
andranno a favore di tanti malati.

L’accanimento con cui si persegue questa strada dunque fa
intravedere qualcosa di ideologico.

Anche perché per ottenere cellule staminali per uso
terapeutico non c’è affatto bisogno di fabbricare e
“usare” degli embrioni.
Già oggi si possono ricavare dallo stesso corpo del malato
(dal midollo osseo, dal cordone ombelicale o dal cervello),
cosicché non si pone nemmeno problema del rigetto.
Già oggi queste cellule staminali sono usate in medicina
(per esempio nel trapianto di midollo).

Il professor Bruno Dallapiccola, docente di Genetica
all’Università La Sapienza di Roma, spiega che “i più
grandi successi” per la cura di leucemia, danni cardiaci
e altre patologie, “sono stati ottenuti con l’utilizzo
di cellule adulte”.

E allora perché, invece di intensificare gli studi sulle
cellule staminali non-embrionali, che hanno già dato
ottimi risultati, si vuole a tutti i costi indirizzare la
ricerca verso le cellule embrionali che oltretutto fanno
temere fenomeni degenerativi e altre conseguenze negative
ancora inesplorate per i malati?

Qua è la scienza stessa che pone obiezioni insormontabili.
Mieli – con lealtà intellettuale – riconosce che gli
esperimenti di clonazione compiuti finora hanno avuto esiti
inquietanti.
Ricorda per esempio che Alan Colman, uno dei “creatori”
della pecora Dolly, dichiarò dopo la sperimentazione:
“Sarebbe scandaloso andare avanti, ormai conosciamo i danni
a lungo termine di questi esperimenti”.
Mieli ne ricava la conclusione che gli scienziati sanno
dunque da soli come regolarsi.
Ma è ammissibile non porre regole?
Questi esperimenti continuano e mi pare un dovere pubblico
la protezione della vita umana, soprattutto la più debole.

Ma l’Europa ritiene vite sacrificabili quelle dei più
indifesi?
Si rivela profetica l’accorata perorazione del Papa sulla
menzione delle radici cristiane dell’Europa, che – disse
il Pontefice – quando nel Novecento ha rinnegato Dio, ha
aperto la strada ai demoni.
John H. Weiler, uno dei massimi studiosi americani delle
istituzioni europee, peraltro ebreo praticante, ha
scritto: “un riferimento a Dio o al Cristianesimo è non
soltanto costituzionalmente accettabile, ma
indispensabile”.

Il suo volume, “Un’Europa cristiana”, è uscito da Rizzoli
con la prefazione di Augusto Barbera il quale ha
sottolineato che si tratta di “un problema non banale”
perché “le radici cristiane non riguardano solo i valori
spirituali dell’Europa, ma anche, ad esempio, la concreta
esperienza giuridica del `diritto comune’, i cui principi,
alimentati dal diritto romano e dal diritto canonico, a
Salamanca come a Bologna, a Montpellier come a Oxford,
hanno lasciato tracce in tanta parte degli ordinamenti
europei”.

La domanda è: vogliamo veramente lasciarci alle spalle il
fondamento della nostra civiltà?
Nel caso specifico mi chiedo: quand’anche l’uso e la
soppressione di embrioni fosse utile alla medicina (ma non
è così, come si è visto), varrebbe veramente la pena
abbandonare il nostro umanesimo per cui ogni persona umana
è un valore in sé?
Per finire dove?
Per approdare a quale (dis)umanesimo?

Nei giorni scorsi è arrivata una lettera di una splendida
signora, di nome Elena, che si rivolgeva proprio a un
opinionista schierato a favore della sperimentazione
sugli embrioni: “Penso che questo `signore` meriterebbe
una risposta!”.
La signora Elena spiega: “sono medico, mamma di 3 figli,
malata da 4 anni di sclerosi laterale amiotrofica. Ho
accolto con gioia la notizia della approvazione della
legge sulla fecondazione artificiale. Anche io, come Luca
Coscioni, parlo con un sintetizzatore vocale e sono
tetraparetica ma credo che l`omicidio di un essere umano,
pur piccolo come un embrione, non può condurre a niente
di buono. Questa legge afferma che essere madri non è un
diritto ma un dono e che l`embrione è un essere umano. Era
ora. Grazie per il vostro impegno”.

Non credete che la signora Elena sia il simbolo positivo
del valore della nostra civiltà, più ancora del sistema
parlamentare, della libertà di stampa e del libero mercato
che tutti ovviamente apprezziamo?
Non pensate che il compito dell’Occidente verso le aree
illiberali del globo, debba consistere proprio
nell’affermare il valore dell’essere umano in sé?
E con quale autorità possiamo farlo laddove fabbrichiamo
e usiamo (quindi sopprimiamo) embrioni, cioè persone umane,
come serbatoi di cellule?

Antonio Socci
(C) Il Foglio 6.3.2004