(il Domenicale) Uno spettro si aggira per il mondo: il fondamentalismo

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Il ritorno delle fedi, serendipità del laicismo


di PierLuigi Zoccatelli


il Domenicale. anno 3, n. 20, 15 maggio 2004

 La religione è – guarda un po’ – un fenomeno religioso. La secolarizzazione? Tutta da rivedere: nelle Chiese i conservatori aumentano e i progressisti no, anzi. L’islam? Il “modello turco” guarda all’Occidente senza rinunciare ad Allah. Lo racconta il libro di Massimo Introvigne sui fondamentalismi




«Un fantasma si aggira per il mondo, e non si tratta più del comunismo. Parafrasando Karl Marx, si può ben dire che il mondo sia oggi inquietato da un oscuro fantasma, e che lo chiami “fondamentalismo”». È questa la quinta d’esordio del volume Fondamentalismi. I diversi volti dell’intransigenza religiosa (Piemme, Casale Monferrato [Alessandria] 2004, 240 pp.), ultima fatica editoriale di Massimo Introvigne, il sociologo delle religioni che ha fondato e dirige il CESNUR (Centro Studi sulle Nuove Religioni), il quale ormai da alcuni anni ha affiancato agli studi – diventati dei veri e propri classici – in materia di nuova religiosità e minoranze religiose, una rigorosa indagine parallela che lo ha condotto a occuparsi a più riprese del fondamentalismo e del terrorismo di matrice religiosa.




Se un merito va immediatamente riconosciuto a questa indagine, che attraverso esempi, dati, statistiche e casi concreti, ricostruisce il complesso fenomeno del fondamentalismo (o meglio, come il titolo opportunamente suggerisce, dei fondamentalismi) nel mondo contemporaneo, e che non mancherà di colpire il lettore per la ponderosa mole di fonti bibliografiche adottate nella ricerca, al punto da costituire un insostituibile punto di riferimento sullo «stato dell’arte» degli studi del settore, è quello di rifuggire l’immediato calarsi nei tragici fatti di cronaca che ci accompagnano dall’11 settembre 2001, associando immediatamente «fondamentalismo» a «fondamentalismo islamico». Piuttosto, Massimo Introvigne articola la sua nuova ricerca scaturita in Fondamentalismi. I diversi volti dell’intransigenza religiosa nell’ambiente teorico e metodologico dell’economia religiosa, che lo stesso autore ha peraltro esposto e sintetizzato – assieme al padre della medesima teoria, il sociologo statunitense Rodney Stark – in un precedente volume dal titolo Dio è tornato. Indagine sulla rivincita delle religioni in Occidente (Piemme, Casale Monferrato [Alessandria] 2003).




Per questo motivo il volume si divide idealmente in due parti. Nella prima parte, ovvero nei primi tre capitoli, l’autore si chiede se sia possibile proporre una teoria del «fondamentalismo» – termine virgolettato in quanto non si tratta di una categoria univoca o scontata, e che nel corso dello studio è ripetutamente messo in discussione – dal punto di vista della sociologia delle religioni e nell’ambito della teoria sociologica detta dell’economia religiosa. Nella seconda parte, viene poi proposta un’applicazione al cosiddetto «fondamentalismo» islamico della griglia teorica e metodologica precedentemente elaborata.




La teoria sociologica dell’economia religiosa si articola in tre tesi principali, la prima delle quali è che, per comprenderla, occorre considerare la religione un oggetto di scelte razionali e consapevoli, vale a dire che – ultimamente, e lungi dall’affermare una tautologia – i fenomeni religiosi si spiegano in quanto religiosi e che – contro la tesi marxista secondo cui maschererebbero sempre e necessariamente qualcos’altro – i movimenti religiosi hanno cause e motivazioni religiose.




La seconda tesi – già materia principale di Dio è tornato, ma questa volta esposta da un diverso punto di vista – si contrappone alle teorie «classiche» della secolarizzazione nell’affrontare il problema cruciale della sociologia religiosa contemporanea: nel mondo moderno e postmoderno la religione è in crisi, sopravvive, oppure può mantenersi ancora ben viva e presente? La risposta avanzata da Introvigne è che i processi di modernizzazione non determinano necessariamente il venire meno della presenza della religione, ma sono compatibili, a determinate condizioni, con la tenuta e perfino con la crescita delle credenze e delle appartenenze religiose. Ma le diverse forme istituzionali di religione non crescono tutte nello stesso modo.




Dio non è morto. Mai




Alcune in effetti crescono, mentre altre – come il volume pure dettaglia – declinano. La teoria dell’economia religiosa, infatti, non si limita a prevedere che, in un mercato religioso caratterizzato da un grado sufficiente di libera concorrenza, la religione manterrà le sue posizioni o crescerà anche a fronte di processi di modernizzazione. Ritiene infatti anche di potere indicare – e addirittura prevedere – quale tipo di religione abbia maggiori possibilità di crescita. È questa una chiave di lettura proposta alla luce dell’applicazione al campo religioso della teoria delle nicchie di mercato, secondo la quale i consumatori tendono ad associarsi con persone in qualche modo simili a sé, creando «nicchie omofile» in cui gruppi di acquirenti con caratteristiche simili acquistano prodotti simili. Semplificando un quadro più complesso offerto da studiosi statunitensi, Introvigne propone un modello di distribuzione dei consumatori religiosi in cinque macro-nicchie disposte secondo il grado di tensione con la società, secondo la strictness (il grado cioè di «ristrettezza» delle organizzazioni religiose) e secondo i costi d’appartenenza. Tali nicchie risulterebbero quindi essere: gli ultra-progressisti, i progressisti, i conservatori, i fondamentalisti e gli ultra-fondamentalisti. A questo proposito, una delle conclusioni principali della teoria dell’economia religiosa – apparentemente controintuitiva – è che le denominazioni religiose più numerose e che crescono più rapidamente si situano nelle nicchie conservatrice e fondamentalista, come l’autore specifica alla luce di numerosi indicatori statistici, ossia che le denominazioni «progressiste» perdono membri e quelle «conservatrici» ne guadagnano.




Ecco allora tutta l’importanza d’interrogarsi sulla pertinenza del termine «fondamentalismo» in questo quadro metodologico e teorico, prendendo atto della circostanza per la quale l’uso di questa parola si è ormai talmente dilatato da essere, spesso, scarsamente scientifico. Il suggerimento è allora quello di semplificare una realtà ben altrimenti complessa tentando di ridurla a modelli idealtipici, nel senso dato all’espressione da Max Weber: tipi ideali, anziché inventari ricavati dalla grande molteplicità dei casi concreti. Così, se da una parte il caso di specie scelto come test per il modello teorico presentato nella prima parte del volume è quello del «fondamentalismo» islamico, il terzo capitolo aggiunge alcuni cenni a possibili piste di ricerca che riguardano mercati religiosi diversi: dal mondo protestante a quello cattolico, dal mondo ebraico all’induismo.




L’analisi dettagliata dei dati porta allora a concludere che le caratteristiche specifiche del mercato religioso nei Paesi a maggioranza islamica rispondono, in una certa misura e tenuto conto delle peculiarità, alle stesse logiche di altri mercati religiosi.




Anche nel mercato religioso intraislamico, pertanto, a mano a mano che avanzano i processi di modernizzazione è possibile che si verifichi il fenomeno secondo cui movimenti conservatori «vincono» e tentativi progressisti «perdono». Applicando, poi, ipotesi terminologiche proposte nel corso della trattazione, lo studio si chiede anche se l’espressione «fondamentalismo» sia idonea a rendere ragione di un ampio e variegato arco di organizzazioni islamiche, e se sia giusto riunire tutte queste sotto una etichetta unica, concludendo che anche nel mondo islamico, compreso quello dell’emigrazione, l’etichetta «fondamentalismo» (nel caso presente, da distinguersi in: «fondamentalismo islamico» come tipo ideale, e «fondamentalismo islamico» come movimento, provvisto di uno specifico inizio e un percorso nella storia) copre tre diversi tipi di realtà: conservatrici, fondamentaliste e ultra-fondamentaliste.




Il «caso Erdogan»




Un caso particolare è infine quello dell’«esperimento turco», dove l’organizzazione tradizionale dell’islam ha ricevuto per parecchi decenni colpi durissimi dalla politica adottata da Mustafa Kemal Ataturk e tesa a promuovere il laicismo. Tuttavia, cacciato dalla sfera pubblica, l’islam turco è sopravvissuto da una parte nelle confraternite sufi, dall’altra nel movimento riformista Nur. Ne è emerso un complesso movimento islamico, inclusivo di varie tendenze (dal fondamentalismo a un moderato progressismo), con un comune riferimento al passato ottomano e alla valorizzazione dell’islam turco rispetto a quello arabo. Esiti di questo movimento sono personalità fra le quali sono da annoverare tre futuri primi ministri, Turgut Ozal, Necmettin Erbakan e l’attuale premier Recep Tayyip Erdogan, l’ultimo dei quali fonda il partito Adalet ve Kalkinma che presenta, in occasione delle elezioni del 2002, un orientamento conservatore in cui la shari‘a è indicata come orizzonte ideale, pure in un quadro di politica estera saldamente ancorata all’alleanza statunitense e alla richiesta d’ingresso nell’Unione Europea. Il «modello Erdogan» che coniuga islam politico, liberismo e politica estera filo-occidentale, non solo è una prova empirica della fallacia della teoria classica della secolarizzazione (giacché l’ampio sforzo di secolarizzazione kemalista ha finito per produrre risveglio religioso), ma pure costituisce, dal punto di vista del terrorismo islamico, il peggiore esempio possibile. Si comprende dunque bene la volontà turca di stroncarlo, come la cronaca recente dimostra.




Non è peraltro da nascondere, come l’autore sottolinea, che una lettura inadeguata delle caratteristiche del mercato religioso intraislamico e una previsione delle sue possibili evoluzioni ancorata alla teoria classica della secolarizzazione sono state, e per certi versi rimangono, all’origine di gravi errori di carattere politico da parte di governi e d’istituzioni occidentali. Infine, relativamente alla nicchia «ultra-fondamentalista» ovvero radicale all’interno dell’islam (con un parallelo su come la stessa nicchia si presenta all’esterno del mondo islamico, in particolare nei nuovi movimenti religiosi), la discussione viene portata su come «economie religiose di guerra» ed economie in cui lo Stato si oppone attivamente alla religione alterino il mercato religioso e, con un processo di eterogenesi dei fini, finiscano per favorire proprio quelle organizzazioni più estremiste che lo Stato intendeva reprimere.




Introvigne porta infatti la riflessione sul terrorismo, in particolare sul terrorismo suicida nelle diverse forme che assume in organizzazioni come Hamas e al-Qa‘ida, di cui, tra l’altro, il volume offre in appendice il documento L’ultima notte, che ciascuno dei terroristi dell’Undici Settembre portava con sé. Pure questo fenomeno è infatti compatibile con processi anche avanzati di modernizzazione di Paesi e di comunità islamiche, nel tessuto delle quali s’inserisce e di cui da un certo punto di vista, ben lungi dall’essere un retaggio di tipo arcaico, è piuttosto una conseguenza.