La riscoperta della liturgia del silenzio e del raccoglimento nel tempo del Coronavirus

di Cristina Siccardi

Nelle poche settimane di “reclusione” da Covid-19, la pagina YouTube della Fraternità di San Pietro ha superato i 6.000 iscritti.
Ogni giorno centinaia di italiani, come imprigionate in casa, han cominciato a dire il Rosario e seguire la S. Messa in latino.
Impressionati dall’elevazione spirtuale dei riti, dal silenzio, dal raccoglimento, si riscoprono significati messi in ombra dalla pastorale corrente.
Addirittura la stessa Libreria Editrice Vaticana pubblica e mette in vendita online il Missale romanum ex decreto SS. Concilii Tridentini.
Tratto comune di questo risveglio: costante e profonda devozione verso la Vergine Maria.
Stare isolati dagli altri, togliere i figli da scuola: le persone tornani a pregare, leggere, pensare?

Come sappiamo, il Signore scrive anche sulle righe storte e in questo tempo di isolamento ecclesiastico dovuto all’emergenza Coronavirus, senza Sante Messe pubbliche, battesimi, matrimoni e funerali, molti giovani sacerdoti, sia diocesani che appartenenti a congregazioni o ordini religiosi, approfittano del silenzio delle strade e delle chiese per celebrare quotidianamente, in privato o alla presenza di pochi fedeli, la Santa Messa in Vetus Ordo.

Un fenomeno davvero interessante, sul quale riflettere.

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La protezione di san Giuseppe nei tempi di calamità

[Siamo nel mese e nel giorno] dedicato a san Giuseppe, al custode della Chiesa universale e al custode della famiglia per eccellenza, verso il quale i Padri della Chiesa hanno prestato subito attenzione, considerando la sua amorevole cura e protezione a Maria Santissima e a Gesù, che educò insieme alla sua Sposa; allo stesso modo custodisce e protegge il mistico corpo del Figlio di Dio, la Chiesa, di cui la Vergine è figura e modello.

Come non pregare oggi, con più intensità e determinazione, san Giuseppe?
A cento anni dalla tragica pandemia dell’influenza Spagnola, che portò al Cielo i santi Francesco (1908-1919) e Giacinta Marto (1910-1920), ci troviamo a vivere una nuova epidemia mondiale, quella del Coronavirus, in un tempo in cui la degenerazione ideologica del pensiero relativista, l’apostasia, la crisi e la corruzione dottrinale e dei costumi della Chiesa emergono in tutto il loro innegabile dissesto, mentre la confusione e le parole si moltiplicano e si accavallano.

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P. Tomas Tyn 30 anni dopo: un domenicano senza compromessi

Contro il comunismo e contro l’aborto“:  era questo lo slogan con cui – negli anni Ottanta – un gruppo di militanti contro-rivoluzionari sensibilizzava i cattolici davanti alle chiese bolognesi: P. Tomas Tyn O.P. militava tra loro con le attività proprie del sacerdote e del maestro di spirito.
Oggi Padre Tomas è Servo di Dio… nel 30° anniversario del suo transito al Cielo, un evento lo ricorda a Bologna: mercoledì 1 gennaio 2020, alle 17:00, presso la Chiesa di Santa Maria della Pietà (Via San Vitale 112 – Bologna).
http://www.fattisentire.org/db/FattiSentire_Evento_don_Martini.pdf

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Il nome di padre Tomas Tyn, ancora poco conosciuto nel mondo cattolico, non può essere dimenticato da chi ha avuto la grazia di incontrarlo, in quegli anni Ottanta del Novecento, che possono essere definiti tra i più bui della nostra storia più recente. Era l’epoca infatti in cui pochi avvertivano lo scricchiolio dell’Impero sovietico e i più credevano sull’”irreversibilità” del socialcomunismo, illudendosi di poterlo “battezzare” e “umanizzare”, per costruire un “mondo migliore”.

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Il cardinale perseguitato dal social-comunismo sarà beato

Il primate Stefan Wyszynski, il campione della lotta al socialismo sovietico
e guida di papa Wojtyla,

Padre Zbigniew Suchecki, racconta la storia eroica ed il miracolo del cardinal Stefan Wyszynski

Dopo Giovanni Paolo II, anche il cardinale Stefan Wyszynski, che fu primate della chiesa polacca nel periodo del regime comunista, cioè dal  1948 al 1981, sarà elevato alla gloria degli altari. La sua causa di beatificazione, iniziata  da Papa Wojtyla nel maggio del 1989, ha già superato  la fase diocesana  ed è in corso quella definitiva presso la Congregazione dei Santi a Roma.

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Tutto crolla ma non lo spirito di san Benedetto

Della vita di san Benedetto (Norcia, 480 ca – Montecassino, 21 marzo 547) conosciamo ciò che riferisce il secondo libro dei Dialoghi di Papa san Gregorio Magno (540 ca.-604), nel quale sta scritto: «L’uomo di Dio che brillò su questa terra con tanti miracoli non rifulse meno per l’eloquenza con cui seppe esporre la sua dottrina» (Dialoghi, Liber II, 36). Mentre della sua dottrina e della sua personalità possiamo trarre informazioni dalla Sancta Regula, quella che edificò l’intera Europa, devastata dalla decadenza dell’Impero romano, che non seppe rispondere all’invasione dei barbari.

Benedetto da Norcia resta nella storia, sia ecclesiastica che civile, come colui che rispose alle sfide dei suoi giorni e come uno dei più luminosi punti di riferimento. In un’epoca di profondi mutamenti, quando l’ordinamento romano stava crollando a causa delle sue mollezze e stava per sorgere una nuova era sotto l’impulso di popoli conquistatori e intraprendenti, san Benedetto assunse responsabilmente il compito di difendere l’identità classica e giudaico-cristiana d’Europa. Il suo impegno incommensurabile fu, dunque, religioso, sociale, civile. (altro…)

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Nuovo E-BOOK gratis: Santa Caterina da Bologna

  VITA DI SANTA CATERINA DA BOLOGNA

 scaricabile gratuitamente da: https://www.totustuus.it/modules.php?name=Downloads&d_op=viewdownload&cid=72

 

PRESENTAZIONE: Il mondo d'oggi fa il processo ai contemplativi.

Se comprende e rispetta, e qualche volta ammira – bontà sua! – quei religiosi e quelle suore che si dedicano a un'attività assistenziale o educativa; se spinge il suo spirito di tolleranza fino a giustificare coloro che vanno in missione in terre barbare per conquistare anime a Cristo ed elementi utili al progresso del mondo; non ammette lo scandalo di tanti uomini e donne che si allontanano nel fior della vita dalla società, sfuggono al consorzio umano e si appartano dietro gli alti muri di un chiostro e le grate di una chiesa: unità improduttive, peso morto della civiltà contemporanea, basata sull'attivismo e sull'efficienza, evasori del compito comune di costruire e sostenere la famiglia umana.

Tali evasioni non esistono, come dimostreremo subito; in ogni modo è divertente constatare come coloro che ricorrono a tutti i mezzi, leciti ed illeciti, a tutti i sostituti, a tutti i sotterfugi per sfuggire all'angustia dell'esistenza, quando si trovano in presenza di queste pretese scappatoie spirituali, di queste immaginarie evasioni verticali, si indignano e lanciano fulmini.

Purtroppo questo concetto materialista ed utilitario dell'apostolato è penetrato perfino in molte zone di fedeli credenti e praticanti; e fa pena constatare quanto sia grande il numero dei cattolici che considerano monaci e monache di clausura come pezzi da museo, e la loro funzione un'oziosità da eliminare in questi tempi di dinamismo e di progresso. È la tentazione dell'efficacia, a cui molti cristiani han ceduto nel corso dei secoli, e che oggi si ripresenta sotto forme nuove.

Sarà opportuno, quindi, prima di addentrarci nella narrazione della vita di Santa Caterina, che fu una grande contemplativa, spazzare il terreno da una serie di prevenzioni che questa forma di vita ascetica suscita fra i nostri contemporanei. In fondo, come si vedrà, queste incomprensioni e prevenzioni sono originate da una diffusa ignoranza teologica dei principi sui quali si fonda; ed anche – perché no? ­ dalla scarsezza d'informazioni sul genere di vita degli Ordini contemplativi, dovuti alla spessa cortina di silenzio che circonda e protegge i loro chiostri, logicamente alieni da ogni forma di pubblicità.

Non si può dire, tuttavia, che dietro quei muri la vita sia facile. Quella vita silenziosa è una vita di preghiera e di lavoro. Secondo le precise indicazioni dell'Orario, la giornata si divide in parti rigorosamente ordinate, in cui le orazioni e le opere si alternano e talvolta si mescolano: si prega e si medita perfino quando si lavora e si mangia.

Giornate lunghe, perché s'iniziano presto: a mezzanotte, quando tutti dormono o si accingono ad andare a riposare, i religiosi e le monache, svegliati dalla campana, vanno in chiesa, in file silenziose, dietro l'Abate o l'Abbadessa, e pregano fino all'una. Alle cinque e mezza o alle sei, secondo le stagioni, comincia la vera e propria giornata, di cui, le Ore Canoniche scandiscono il ritmo: Laudi, Prima, Terza, Sesta, Nona, Vespri e Compieta. Nessun tempo vuoto, eccetto brevi pause di svago; mai un minuto di ozio in questa minuziosa disposizione.

Alle belle liturgie succedono le ore di lavoro manuale o intellettuale, santificate dalla «lectio divina», questa lettura di testi spirituali, attenta, meditata, assaporata, che predispone l'anima alla mistica unione. Così fino al cadere della sera. Allorché nella chiesa l'oscurità si diffonde, rotta appena dalla luce tremolante della lampada accesa innanzi al Tabernacolo, delle forme umane in bigio e in bianco vengono a prendere posto negli stalli del Coro, e i salmi di Compieta si sgranano l'uno dopo l'altro. Segue l'esame generale e la lettura di un breve punto che formerà oggetto della meditazione dell'indomani.

E questo senza interruzione, un giorno dopo l'altro, fino a quello in cui la terra materna assorbirà questi corpi come assorbe i granelli di una pianta, giacché questi corpi che si disfanno – quale vero cristiano l'ignora? – sono semi di resurrezione.

Questo è il mistero che si cela dietro gli alti muri dei penitenziari di Dio, questa l'esistenza che menano questi reclusi e queste recluse, la cui vita e morte sembrano voler confermare queste parole che San Paolo dirigeva ai suoi fedeli di Corinto: «Ci prendono per dei moribondi, mentre siamo pieni di vita; per degli afflitti, mentre la gioia ci abita; per dei poveri privi di tutto, mentre possediamo tutto».

È evidente che per l'uomo del secolo XX, abituato alla vita facile e alle comodità, l'esistenza della clausura è priva di senso; e lo sarebbe effettivamente se tutte le rinuncie e i sacrifici, liberamente accettati, non fossero ordinati a un fine trascendente; se non fossero, più che delle abitudini, più o meno bene sopportate, una partecipazione attiva all'oblazione di Cristo, alle sue sofferenze, alla sua morte sulla Croce.
Analizziamo un poco la follia dolce e santa dei contemplativi.

Una vocazione naturale inclina certe creature verso le piaghe del nostro triste corpo. Ma molte altre si separano dai vivi per essere unicamente di un uomo chiamato Gesù che da duemila anni è uscito dal mondo. Egli è sempre là, per loro, più presente di qualunque creatura visibile, ed esse si nutrono di Lui, letteralmente. Questi estremi, si dirà, sono morbosi: follie fra altre follie … Eppure, anche al di fuori delle persone consacrate, in tutte le classi, e nella meno cristiana di tutte, la classe operaia, fra giovinetti nell'età del desiderio, un piccolo numero sacrifica ogni altro amore alle cose, tirannicamente presenti per ciascuno di essi.

In termine tecnico questa esigenza – o, se preferite, questa follia – si chiama «vocazione». Vocazione vuol dire «chiamata», l'invito di una «voce» (dal latino: voc- ari). Tutti riceviamo delle chiamate, benché non tutti per lo stesso genere di vita. Le vocazioni non sono eguali per tutti, non a tutti sono assegnati gli stessi compiti, né tutti sono portati a un certo genere di vita, fatto di rinuncia, di privazioni, di sacrifici.

Ci sono anche piaceri legittimi, soddisfazioni sacrosante, come il compimento del proprio dovere nella sfera che Dio ci ha assegnata, la procreazione e l'educazione dei figli, il lavoro che ridonda in beneficio della comunità. Anche questo è un modo di collaborare con Dio, una forma di apostolato civile e cristiano; e perciò ci procura, insieme a molti grattacapi e preoccupazioni, anche molte soddisfazioni non mescolate a nessun disgusto o amarezza. Quelli che servono Dio nella loro sfera sociale, e vivono esclusivamente per la loro famiglia, senza negarsi però di fare un po' di bene anche agli altri, nei limiti del tempo e dei mezzi disponibili, sono esenti da certe forme patologiche di taedium vitae, non soffrono complessi e non sentono il bisogno di cercare evasioni immorali e demoralizzanti. Sono sereni anche nelle avversità e ringraziano il Signore non solo quando navigano in acque tranquille ma anche quando sono sballottati dalle tempeste.

Però dobbiamo cercare di comprendere coloro che hanno ricevuto una vocazione diversa dalla nostra, anche se ci sembri assurda. La natura produce piante che forniscono legumi e alberi che ci procurano frutti, gli uni e gli altri necessari al nostro sostentamento. Però produce anche fiori che profumano le nostre case, abbelliscono giardini e le piazze, adornano gli altari. Ora, se ammiriamo l'utile e il bello che Dio ha creato nell'ordine della natura, perché ci rifiuteremmo di ammetterlo nell'ordine dello spirito?

La vocazione contemplativa rappresenta dunque il cammino più arduo versol'imitazione di Cristo, e perciò appunto non è fatta per tutti: è solamente per quelli che vogliono essere perfetti, milizie scelte del Signore, gli alpinisti del misticismo; quelli che si arrampicano per gli erti e scoscesi sentieri della santità, quelli che scalano le cime, armati di corde e di arpioni.

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Santa Geneviève. Un culto contro i barbari moderni

 Un giorno dell’anno 429 gli abitanti di Nanterre, borgo presso Parigi, vedono sbarcare in riva alla Senna i vescovi san Germano di Auxerre (378 ca.-448) e san Lupo di Troyes (383 ca.-478 ca.). Su richiesta di papa Celestino I, si stanno recando in Gran Bretagna per opporsi alle dottrine di Pelagio, tese a ridurre l’importanza dell’intervento divino nella pratica delle virtù.

 Visitatori così eminenti attirano l’attenzione e una folla si dirige loro incontro per riceverne la benedizione. San Germano nota una bambina di circa 7 anni: è Geneviève (420 ca.-500 ca.) di famiglia cristiana ricca e potente. La fa condurre a sé e la bacia sul capo. Poi il vescovo si rivolge ai genitori, come attesta il primo biografo anonimo della santa, affermando: «Siete molto fortunati d’essere i suoi genitori. Sappiate che alla sua nascita vi è stata una grande gioia fra gli angeli, e che quell’evento è stato celebrato con tripudio nel cielo. Ella sarà grande agli occhi del Signore. Presi da ammirazione per la sua vita e la sua condotta, molti si allontaneranno dal male e ritorneranno verso il Signore. Questi otterranno la remissione dei loro peccati e le ricompense promesse da Cristo». Poi alla bimba dice: «Vuoi tu essere consacrata a Cristo nella vita religiosa, e vuoi tu, come sposa di Cristo, custodire il tuo corpo immacolato e intatto?», la risposta di Geneviève non si fa attendere: «Padre, tu previeni i miei desideri: è questo che io bramo. Prega perché il Signore si degni di compiere i miei voti» (In: Vita Genovefae). Ella riceverà la consacrazione di religiosa all’età di 20 anni. Nel 445 o 446 il vescovo Germano di Auxerre, di ritorno dalla Gran Bretagna, si recò nella dimora della giovane, salutandola con una riverenza che impressiona tutti gli astanti. Racconta quindi come si era svolto il suo primo incontro con la fanciulla a Nanterre e come egli avesse presentito fin da allora quale sarebbe stata la santità della sua vita. Da qui ebbero inizio la stima e l’ammirazione dei parigini per Geneviève.

Nel 451 si diffuse la notizia che il re degli Unni, Attila, aveva saccheggiato Treviri, Metz, Reims, e avanzava verso sud. La popolazione ne fu atterrita e molti si apprestarono a fuggire, ma non la santa di Nanterre che esortò i parigini a non allontanarsi. Riunì perciò alcune donne per pregare nel battistero: «Che gli uomini fuggano, se vogliono e se non sono più capaci di battersi. Noi donne pregheremo Iddio così tanto che ascolterà le nostre suppliche» (ibidem). Alcuni volevano ucciderla, o lapidandola o gettandola in un burrone. Intanto il vescovo Germano era morto a Ravenna il 31 luglio 448, ma uno dei suoi arcidiaconi, di passaggio per Parigi, poté intervenire rivolgendosi ai parigini: «Cittadini, non acconsentite a un tale delitto! Abbiamo inteso il nostro vescovo Germano dire che colei, della quale voi tramate la morte, è stata eletta da Dio nel grembo della madre. E io sto portando le eulogìe [benedizioni ndr], che san Germano ha lasciato per lei» (ibidem). Parigi fu difesa dai suoi abitanti, incoraggiati dalle esortazioni e dalle preghiere di Geneviève, e Attila, scoraggiato dall’inattesa resistenza, passò oltre e si diresse verso Orléans, dove fu sconfitto nella battaglia dei Campi Catalaunici, presso Châlons-sur-Marne, dal generale romano Ezio.

Cinque anni dopo, Meroveo, terzo re dei Franchi, mise sotto assedio Parigi, difesa ancora da una forte guarnigione di Romani, sotto il comando di Egidio e successivamente sotto quello del figlio Siagrio. Dopo la morte di Meroveo nel 457, l’assedio proseguì con il figlio Childerico I, che dopo cinque anni la conquistò. Questa volta Geneviève non si oppose, presagendo che quella dinastia avrebbe contribuito a diffondere la fede cristiana fra i barbari. L’assedio e le conseguenti distruzioni nei dintorni avevano portato una grande carestia e gli abitanti, che non avevano più pane, morivano di fame. Fu proprio lei a risolvere la catastrofe: si fece guida sulla Senna di undici battelli fino a Troyes e, passando di città in città, compiendo molteplici miracoli, ottenne in dono dai mercanti un gran carico di grano, che riportò a Parigi. La sua autorità, anche a corte, crebbe sempre più, ma di essa mai si approfittò. Anzi, si assoggettò ad una rigorosa regola di vita consacrata. Si nutriva di pane d’orzo e di fave, di cui faceva cuocere in una pentola la propria provvista per due o tre settimane. Durante la sua esistenza non fece mai uso né di vino, né di altre bevande inebrianti. A 50 però, su consiglio dei vescovi, aggiunse al suo nutrimento del pesce e del latte. Oltre che asceta era anche una mistica e una  taumaturga. Il celebre san Simeone stilita il Vecchio, che ebbe una particolare rivelazione divina su di lei, dal suo ritiro sulla cima di una colonna presso Antiochia (zona nord della Siria), incaricò alcuni mercanti di salutarla a suo nome e di raccomandarlo alle sue preghiere.

Geneviève se ne andò al Signore, che grandemente aveva servito, ad oltre 80 anni. Fu sepolta il 3 gennaio di un anno imprecisato, intorno al 500, nella basilica dei Santi Apostoli che re Clodoveo con la consorte Clotilde avevano iniziato a costruire per accogliere le sepolture della famiglia reale, basilica che poi prese il nome di Sainte-Geneviève. La fama di santità dilagò anche dopo la sua morte.

San Gregorio di Tours (539-594) segnala che sulla sua tomba si verificavano prodigi su prodigi. Nell’822 ci fu un’inondazione spaventosa a Parigi. Mentre si cercava un luogo asciutto per celebrare la Santa Messa, si scoprì che le acque non avevano toccato il letto di morte della prescelta di Dio. Una volta constatato il miracolo, l’inondazione si ritirò. Nell’857, con le invocazioni dirette alla santa, i Normanni lasciarono Parigi che avevano assediato. Associato all’invasione degli Unni questo prodigio contribuì a creare l’immagine di Geneviève quale patrona di Parigi. Durante la Rivoluzione francese i giacobini trasformarono la basilica di Sainte-Geneviève nel Pantheon, mausoleo dei francesi illustri, distruggendone parzialmente le reliquie.

Ma il culto della santa di Nanterre proseguì nella vicina chiesa di Saint-Etienne-du-Mont, oggi qui invocata contro i moderni barbari, che un giorno, come i loro antenati, saranno vinti dai fidenti in Dio.

(Cristina Siccardi per http://www.corrispondenzaromana.it/santa-genevieve-un-culto-contro-i-barbari-moderni/)

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CR – S. Giuseppe, modello di paternità umana

Corrispondenza Romana – 16 marzo 2016 – 17:26
San Giuseppe patrono della Chiesa

(di Cristina Siccardi) San Giuseppe, che si festeggerà il 19 marzo, è il modello di padre ideale ed il Patrono della Chiesa. I Vangeli non riportano alcuna sua parola, tuttavia il suo ruolo è essenziale e non soltanto perché prese su di sé le responsabilità della Sacra Famiglia, provvedendo al sostentamento e alla difesa dei suoi membri, ma è essenziale anche per ciò che San Giuseppe rappresenta. I prologhi di San Matteo e di San Luca, comunemente chiamati «Vangeli dell’infanzia» hanno prima di tutto una portata dottrinale. Quello di Luca è costruito intorno a Maria Santissima e quello di Matteo intorno a San Giuseppe.
 

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CorSera – Il confessore di m. Teresa: l’Italia è una terra senza moralità

Rosario, ultimo missionario dell’India: «Ho confessato Madre Teresa per 50 anni»

L’uomo fu padre spirituale della santa in India: «Anche lei tremava all’idea di morire» Andavo a trovarla nella sua celletta: una branda, un tavolo, una panca, crocefissi dappertutto. Cercava il volto di Gesù negli altri, e lo scopriva nei deboli»

Aldo Cazzullo 

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CR – Il ritorno del profeta Elia

Corrispondenza Romana

Sant’Elia: il Profeta degli ultimi tempi

(Cristiana de Magistris) Il 20 luglio, festa liturgica – nell’Ordine Carmelitano – del profeta Elia, il sacerdote sale all’altare con i paramenti rossi. Eppure sant’Elia non ha versato il sangue per la fede, anzi – come sappiamo dalla Scrittura – non è ancora morto. Egli tornerà negli ultimi tempi come precursore dell’anticristo a predicare e convertire il popolo ebraico, ed allora, secondo la tradizione, verserà il suo sangue nella città di Gerusalemme. È in vista di questo glorioso martirio che la Liturgia carmelitana adotta – in modo profetico per un profeta – i paramenti rossi.

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