Ven. Prof. Toniolo: La legislazione cristiana

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Ven. prof. Giuseppe Toniolo

La legislazione cristiana

Risposta aperta alla lettera dell'on. dott. F. Saccardo

da: Rivista internazionale di scienze sociali e discipline affini, 1894, v. IV, pp. 703-709

 

 

Le sono grato di avere agitato nella pubblica stampa talun quesito che veniva toccato e proposto in formule sintetiche nel Programma degli studiosi cattolici all'occasione delle recenti agitazioni socialistiche in Sicilia (programma concordato a Milano il 2 e 3 gennaio dell'anno corrente e pubblicato anche nella Rivista internazionale di scienze sociali, fascicolo di gennaio); perocchè ogni idea, come fu scritto, la quale non susciti discussioni, è morta! Ciò vale tanto più, quando si tratti di somme idee, le quali, come nel caso concreto, essendo dirette ad unificare l'azione esteriore sociale dei cattolici, è impossibile penetrino nelle menti per tradursi poi efficacemente nell'operosità pratica, se non se ne svisceri il contenuto, non se ne svolgano le applicazioni, e se intorno ad esse il pubblico non si appassioni.

 

1. Il quesito proposto da V. S. si risolve in questo: sta bene che di fronte a pericoli estremi, come quello di una immane conflagrazione sociale, aggravata dall'odierno dissolvimento organico della società, spetti allo Stato un compito eccezionale, affine di restaurare l'ordine sociale cristiano; ma forse non incomberà allo Stato, anco in condizioni normali, d'informare i suoi intendimenti e quindi tutta la legislazione positiva allo spirito cristiano?

Ella già vi ha risposto egregiamente ed in senso affermativo, confermando quanto già intendevasi implicitamente da chi dettò quella proposizione del programma: reclamarsi altamente dallo Stato che questo, dopo che per sì lungo tempo pervertì nelle sue mani lo stromento o meglio il ministero della legge, provveda ad una grande restitutio in integrum del diritto cristiano.

Ella confermò questo concetto, ma invero lo definì in modo più preciso ed esplicito, conchiudendo che spetta ai poteri pubblici, dopo aver dato opera (insieme ad altri organismi vitali, in ispecie la Chiesa) a ritrarre la società dall'estrema mina, di lasciare ad essa in eredità un sistema compiuto, normale, duraturo di legislazione cristiana.

Questa conclusione attesta una volta di più che spesso un quesito appena sia bene posto nei suoi termini esatti, esso è già sciolto. Non però così che frattanto esso non possa utilmente illustrarsi e più efficacemente propugnarsi. lo colgo pertanto l'occasione per presentare il tema, dietro le tracce che ella mi porge, al pubblico, ed invitarlo a farne obbietto di meditazione in tutta la sua ampiezza e dignità.

2. Non esito perciò a pronunciare che il cristianeggiare la legislazione è uno dei bisogni più sentiti dell'odierno momento; e che un tale proposito è perfettamente logico, eminentemente storico, efficacemente pratico, appunto dietro la guida dello spirito cristiano che ci avviva.

È fra le dottrine più solide del diritto filosofico ed in modo speciale canone fondamentale ed eminentemente onorifico della filosofia giuridica cristiana che la legge positiva umana non è che un presidio e una guarentigia della legge etica, divina, obbiettiva, imperante. Ciò posto la legislazione positiva deve informarsi con funzione coadiutrice ed integrante all'indole intrinseca, agl'intendimenti ed allo spirito della legge etica. Ma questa è legge di religione, di giustizia e di carità; dunque questo triplice carattere deve riflettersi ancora sopra la legislazione. Certamente trattandosi di un coordinamento del giure all'etica vi ha una subordinazione di fine prossimo ed estrinseco, a fine remoto ed esenzialmente intrinseco, e perciò vi hanno caratteri e limiti accidentali che sono propri della legge positiva giuridica soltanto. Ma non per questo deve o può venir meno l'insieme dei caratteri comuni e corrispondenti al fine ultimo, a cui ambedue convergono.

Potrebbe razionalmente (sebbene purtroppo possa accadere in pratica il contrario) una legge positiva sanzionare l'inonesto, accamparsi contro il giusto, non serbare viscere di carità, quando la sua ragione d'essere consiste nel coadiuvare i consociati alla attuazione della legge del bene?

E l'ente giuridico autorevole (lo Stato) che detta la legge, se è una derivazione dell'essere umano, perché non manterrà la fisionomia umana e non sottostarà quindi agli stessi doveri morali?

Ma se è titolo di benemerenza incontestato della filosofia giuridica cristiana di aver coordinato il diritto alla morale; facendo quello derivare dalla stessa fonte divina piuttostochè da semplici ragioni di utilità e di necessità esterna materiale, qui non si arresterà il merito di esse. Questa non ha rivendicato in tutti i rapporti giuridici soltanto la sovranità della legge etica di natura, bensì anche della morale cristiana, siccome un compimento ed una perfezione di essa. In tal caso, chiarita la obbligatorietà di essa per i popoli cristiani e dimostratane la eccellenza 1, il giure che ne dipende deve trasfondere nei suoi rami, non soltanto lo spirito di una morale indipendente, bensì di quella perfettissima di Cristo, sotto pena di fare opera riottosa e repugnante ai progressi stessi dell'incivilimento. Ammesso questo criterio fondamentale, è rigorosamente logico che esso non ispiri soltanto le formule astratte e cattedratiche del giure filosofico, ma si traduca in tutti i precetti concreti ed analitici delle leggi vigenti.

 

3. Così fu certamente nell'età medioevale, ove (con mirabile processo storico degno della più accurata meditazione) il pensiero etico cristiano, fra i pregiudizi della corrotta legislazione romana e le resistenze antigiuridiche della brutalità germanica, penetrò in tutti i rami della legislazione, grandeggiando massimamente nel giure canonico positivo 2.

Ma questo stesso proposito di trasfondere un principio supremo in tutte le sue deduzioni applicative, compone ancora una esigenza particolare anche dell'odierno momento storico. Lo spirito critico moderno rileva ogni giorno più il nesso intimo fra il pensiero filosofico dominante e l'indirizzo e atteggiamento delle leggi positive. L'individualismo di Kant combinato con l'utilitarismo di Bentham, già di lunga mano preparato dai filosofi dell'enciclopedia, si sorprende ad ogni passo nelle migliaia di articoli de' nostri codici civili, penali, commerciali. Per converso la critica che intorno a quelle ultime applicazioni giuridiche oggi si affatica troppo spesso (se non sempre), trovasi alla sua volta condotta da un opposto pensiero, quello di far trionfare nella legislazione positiva, al posto di Kant, il panteismo di Hegel, che di rispondenza alle odierne esigenze tende a fermare nelle più minute statuizioni del giure pubblico e privato il sacrificio della individualità e le prevalenza della socialità. E tutti finalmente si avveggono che l'ora presente è contrassegnata massimamente dallo sforzo di far passare la dottrina della evoluzione (la quale sostanzialmente è un panteismo materialista) dalle istituzioni sociali in senso proprio ove già spadroneggia, nel campo del giure positivo, e primamente in quello penale ed oggi nel civile 3.

Tutte poi le legislazioni da tre secoli si adoprarono a spogliare dello spirito cristiano gradatamente le leggi positive, ispirandole ad un pretto naturalismo, spesso nella più aperta opposizione con esso.

Lascio di addurre esempi nel giure personale familiare, come sarebbe il caso del matrimonio civile, del divorzio, ecc.; ma nel campo del diritto patrimoniale il contrasto nelle più minute applicazioni apparisce flagrante. Le vecchie legislazioni, per esempio (come avverte Ardant) 4 perpetuando un canone del diritto mosaico, assicuravano al povero il diritto di spigolare nel campo già dal padrone mietuto; oggi questo atto di diritto è divenuto un titolo di reato e la legge lo accenna solo per comminarvi una pena. Or bene noi non faremo che secondare l'odierna vocazione giuridica, domandando alla nostra volta che si riformi tutta la legislazione con pienezza di autorità e di coerenza al più sublime principio che sia mai stato proclamato dalle genti, e più lungamente e beneficamente sperimentato, quello, cioè, dell'etica cristiana.

 

4. Tutto questo lavorio di vera riforma restauratrice o questa restitutio in integrum del giure cristiano ha con sé la promessa della più efficace e pratica fecondità. Perocchè noi, a differenza di qualunque altra scuola filosofica del giure, abbiamo primamente e massimamente, come Ella ben scrive, il vecchio e il nuovo Testamento e il pastor che ci guida vale a dire un complesso di norme e d'insegnamenti capaci di additare con infallibile sicurezza il giusto e l'onesto anche nei rapporti privati; ma noi abbiamo ancora tradizioni giuridiche così lunghe e gloriose che nessun'altra civiltà poté vantare, comprese quelle di Roma pagana, maestra del giure, conciliando così la duplice esigenza logica e pratica della certezza immutabile e della pieghevolezza storica.

Si faccia sperimento p. e., di questa eccellenza di vocazione giuridica o di attitudine a legiferare della cultura cattolica dinanzi a quel problema che oggi viepiù s'impone e consistente nel definire secondo quale principio ed in quale misura le leggi in generale debbano volgersi a peculiare sollievo delle moltitudini. Per noi non è necessario di risalire a non so quale dottrina di panteismo sociale, né di accondiscendere ad un certo opportunismo empirico in pro delle classi numerose suggerito dalla moda o dalla paura. Per noi, invece, il criterio giustificativo scende immediatamente dal principio massimo religioso e filosofico che informa tutti i rapporti sociali. Esso, se non andiamo errati, si risolve in questa formula: «l'ordine etico e giuridico, essendo prescritto da Dio per il bene di tutti gli uomini, fondasi primamente sul dovere, da cui deriva il diritto. Ma il dovere incombe ai singoli in proporzione delle attitudini rispettive a cooperare al bene comune e si dispiega in proporzione del bisogno dei singoli di essere coadiuvati nell'adempimento del medesimo fine comune; dunque esso obbliga maggiormente le classi superiori in benefizio delle inferiori. L'ordine giuridico non è che convalidazione e complemento di questa gerarchia dei doveri, per la quale esso, traducendo in atto l'eguaglianza proporzionale, torna nell'ultimo risultato a speciale tutela e sollievo delle moltitudini più numerose, deboli e nullatenenti». Quale altra scuola di diritto informata al principio psicologico-ideale, ovvero a quello determinista, ad un utilitarismo individuale ovvero sociale, o finalmente ad un naturalismo assoluto ovvero relativo, storico, evolutivo, potrebbe derivare dal suo rispettivo concetto supremo filosofico con eguale sicurezza una soluzione dottrinale dell'arduo e pericoloso problema, come la scuola cristiana che ogni deduzione giuridica compendia e rispecchia le idee prime di moralità, di giustizia e di carità a profitto individuale e sociale equamente conciliate?

Posto il principio, veggasi ora come le tradizioni giuridiche vengano a suffragio di esso. Prescindendo pure dalla legislazione politica o da quella che oggi dicesi legislazione sociale, si considerino i principali istituti di diritto privato, disciplinati dalle leggi medioevali sotto l'influsso della Chiesa: p. e. i limiti e gli oneri della proprietà privata, la costituzione della proprietà collettiva (di uso comune, pascoli, diritti di pesca, di caccia, di legnatico) o di enti morali giuridici (beni ecclesiastici, conventuali) di fondazioni pie o di pubblica utilità; le severe discipline delle società lucrative specialmente di capitale, i divieti di alcune specie di obbligazioni o di clausole leonine, le prescrizioni di altre forme o modalità contrattuali nell'enfiteusi, nella colonia parziaria, le inesorabili condanne delle usure, e tutte le norme informatrici del credito dal mutuo semplice ai censi riservati o consegnativi; si considerino, ripeto, questi ed altri rapporti giuridici del giure cristiano medioevale e si scorgerà come tutti si trovino ripostamente governati dal pensiero supremo di infrenare i forti ed innalzare i deboli, di equilibrare la individualità con la socialità, di aver d'occhio accanto alla giustizia commutativa la giustizia distributiva mediante la giustizia legale o di Stato. In tutto questo lavorio legislativo, senza trascendere i limiti (avvertasi bene) di una funzione suppletiva ed esteriore (che non soppianta né la libertà né la carità), pare sempre d'intendere l'eco lontana delle parole di Colui che protestava di essere venuto per la salvezza di tutti senza distinzione, ma in particolare per tenere acceso il lucignolo mezzo spento e sorreggere la canna mezzo spezzata.

Ecco il compito nobilissimo che spetta oggi ai giureconsulti cattolici, di fronte ad una legislazione spesso sottile, ricca, matura, ma in generale ridivenuta pagana, d'ispirarvi, come già per il passato, il soffio cristiano, riprendendo l'opera del diritto canonico rispetto all'antico giure romano, la quale fu bruscamente interrotta da tre secoli, dacché l'umanesimo, nel campo stesso del diritto, pretese che il giure primitivo razionale di Roma pagana valesse più che quello successivo rinnovellato da Roma cristiana. E si sa dopo quattro secoli che cosa questo regresso anticristiano abbia costato ai popoli fin dentro le più intime latebre dei rapporti privati!

Questa opera rinnovatrice è ricominciata insieme a tutto quel rinascimento cattolico che, grazie a Dio, ferve nel fondo della vita moderna. Né solamente nel campo del diritto filosofico coi classici lavori di Costa-Rossetti, Cathrein, Weiss e con quelli geniali di L. Brun, di Pascal, senza dire dei nostri come Taparelli, Liberatore, ecc.; ma trapassando al giure positivo con opera di critica dei codici e della giurisprudenza moderna, come p. e. l'Allegre 5. E si deve in buona parte a questi studi, ispirati e rinfrancati dalle encicliche papali, se i cattolici poterono direttamente o indirettamente far trionfare nei parlamenti taluna importante riforma del diritto privato: la riforma del regime successorio per le piccole proprietà in Germania, il sistema contrattuale agrario in Irlanda, talune leggi di repressione delle usure quasi dovunque. In Italia l'avv. V. Rivalta, col libro dedicato a Leone XIII Il rinnovamento della giurisprudenza filosofica secondo la scolastica 6, con piena competenza viepiù avvalorata dalla modestia, alzò la voce per invitare gli studiosi a questa opera critica del giurepositivo dietro le tradizioni del diritto canonico.

Ma i più continuano a considerare il corpus iuris canonici come un insieme di norme che riguardano le facoltà della gerarchia ecclesiastica e, tutto al più, il diritto matrimoniale o beneficiario 7; ma quasi nessuno pensa a ricercare in esso (come già fecero in Germania scrittori spesso protestanti) un sistema compiuto di diritto privato e sociale, in grazia di quella estensione di autorità ed efficacia pratica che esso ebbe per tanti secoli di vita sociale vigorosissima; compiendo, insieme al corpus iuris iustinianei, il diritto comune universale 8. Conviene, con lo studio amoroso, guidato da questi più larghi concetti, riprendere le tradizioni del diritto canonico, in cui trapassò l'onda vivificante della scolastica; dar loro incremento fra noi con lo studio della legislazione statutaria medioevale, in cui pur tanta parte si riflette dello spirito di quella, accomodato alle esigenze mutevoli della vita reale; e convergere il lavorio al fine altissimo di cristianeggiare tutta la legislazione moderna.

Chi fra noi si applicasse a codesto programma, acquisterebbe preziosa benemerenza verso la religione e la patria nell'atto che soddisferebbe ad una delle più urgenti esigenze della odierna società. Ella, egregio amico, con la autorità che gode presso la pubblica stampa, ricordi spesso e vivamente agli studiosi ed operosi che il rinnovellamento sociale ad essere compiuto non richiede solamente il pensiero di pochi economisti e sociologi, ma la cooperazione assidua, analitica, perspicace di tutti i cultori del diritto.

 

Pisa, marzo 1894,

devotissimo

prof. G. TONIOLO

 

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Note

1 Cons. S. TALAMO, L'aristotelismo della scolastica nella storia della filosofia, Siena, 1881, dis. III, pt. II, cp. X, ove illustra la originalità ed eccellenza del mirabile trattato Della legge di s. Tommaso d'Aquino, nel quale l'Angelico dette una scientifica e sistematica trattazione della legge nella totalità dei suoi rispetti, come comprovò il THOMES, Divi Thomae Aquinatis opera et praecepta quae valeant ad res ecclesiasticas, politicas, sociales, Berolini, 1875; trattato, continua il JOURDAIN (Les théories politiques de s. Thomas d'Aquin) che forse è la migliore introduzione alle leggi che si fosse mai scritta, e che, soggiunge P. JANET (sebbene poco favorevole alle dottrine cattoliche) è uno dei monumenti del medio evo, al quale s'informò il SUAREZ nel secolo XVI, e di cui trovansi ancora nel secolo XVII le grandi linee nel trattato delle leggi del celebre DOMAT, Histoire de la philosophié morale et politique, sicchè, già prima il BUCHON poté pronunciare che nessun moralista aveva mostrato con più giustezza ed evidenza la natura e i fondamenti di tutti i doveri comuni della vita, in modo che i filosofi moderni al paragone appariscono siccome plagiari. DUGALA e STEWART, Discours préliminaire à l'histoire des sciences méthaphysiques (TALAMO, op. cit., pp. 438-444).

2 Dopo le opere di DE MEY-ENBURG, De christianae religionis vi et effectu in iure civile, Gottingen 1828; e di TROPLOND, De l'influence du christianisme sur le droit civil des romains, Paris, 1843; quante illustrazioni ampie e rigorose non ricevette questa tesi, specialmente per opera degli scrittori di storia del diritto! Cons. fra noi A. PERTILE, Storia del diritto italiano, Padova, Salmin, (in 8 volumi).

3 La critica dell'odierno individualismo nei codici di diritto privato e la domanda di analoghe riforme, trovasi in autori relativamente temperati come GIANTURCO, L'individualismo e il socialismo nel diritto contrattuale, Napoli, 1891; SALVIOLI, I difetti sociali del codice civile in relazione alle classi non abbienti ed operaie, Palermo 1891; VIVANTE, Trattato teorico e pratico di diritto commerciale, Torino, 1893; SRAFFA, La lotta commerciale, prolusione all'insegnamento del diritto commerciale, Pisa, 1894. La riforma del giure civile in nome della sociologia è fra noi sostenuta dal VADALÀ-PAPALE, La sociologia, la filosofia della storia, la filosofia del diritto, Catania, 1885; e ID., Influenza degli studi socio logici sulla filosofia del diritto e sulla cultura giuridica; e dal CIRABALI, La nuova fase del diritto civile, Torino, 1885; ed è oggi propugnata più artatamente dal D'AGUANNO, La genesi e l'evoluzione del diritto civile secondo la risultanza delle scienze antropologiche e storico-sociali, Torino, 1890. A tali riforme fanno però riserva ed opposizioni, MELUCCI, Metodo e questioni di diritto sociale, Torino, 1884; POLACCO, La funzione sociale dell'odierna legislazione, Camerino, 1885; NANI, Il socialismo nel codice civile, Torino, 1892. Cons. BRUGI, Introduzione encicl. alle scienze giuridiche e sociali; e più ANZILOTTI, La filosofia del diritto e la sociologia, Firenze, 1892; scritto quest'ultimo con criteri solidi e corretti e con una ricchissima bibliografia della letteratura d'ogni paese, intorno a questa che è una vera crisi del diritto. In mezzo a questa crisi, perché i cattolici non faranno valere la preminenza del diritto cristiano?

4 «I beni collettivi in Francia». In Atti del I congresso degli studiosi cattolici di scienze sociali, Genova, 1892, v. 2.

5 C. ALLEGRE, Le code civil commenté à l'usage du clergé, dans ses rapports avec la théologie morale, le droit canon et l'économie politique, Paris, Delhomme, 1888, con prefazione dell'abate E. MERIC, «Sur l'idée moderne de droit».

6 Bologna, Zanichelli, 1888.

7 Vedi abbé DEVILLE, Le droit canon et le droit naturel, études critiques, Paris, Delhomme; nonché mons. TURINAZ, De l'étude et de la pratique du droit canon en France à l'heure présente, in Compte rendu du congrès scientifique international des catholiques, 1891, quatrième section.

8 W. ENDEMANN, Studien in der romanisch- kanonistischen Wirtschafts- und Rechtslehre, Berlin, 1874, 1883, in 2 voll; F. X. FUNK, Geschichte des kirchlichen Zinsverbotes, Tubingen, 1876.