Un tesoro di parole che la grazia fa riaffiorare

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Intervista con il cardinale Christoph Schönborn


sul Compendio del Catechismo della Chiesa cattolica


di Gianni Valente

Ne è passato di tempo da quando padre Christoph passava le giornate davanti al suo vecchio Macintosh, a ribattere e poi a ritoccare, aggiustare, amalgamare, paragrafo dopo paragrafo, i capitoli di quello che sarebbe diventato nel 1992 il Catechismo universale della Chiesa cattolica. È stato lui il “coordinatore” del comitato preparatorio che per anni, con la supervisione del cardinale Joseph Ratzinger, allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, ha lavorato alla stesura della più corposa e autorevole esposizione dei contenuti di tutta la dottrina cattolica dopo il Concilio Vaticano II. Per questo, in qualità di “persona a conoscenza dei fatti”, questo domenicano dai modi gentili, divenuto nel frattempo arcivescovo di Vienna e cardinale, ha avuto parte attiva anche nel lavoro del nuovo comitato che a partire dal 2003 ha lavorato alla redazione del Compendio del Catechismo della Chiesa cattolica, promulgato da papa Benedetto XVI lo scorso 28 giugno, vigilia della solennità dei santi Pietro e Paolo, nella Sala Clementina del Palazzo apostolico.


Per lei che ha lavorato per anni alla stesura del Catechismo, l’uscita del suo Compendio apparirà come il punto d’arrivo di un lungo, faticoso tragitto…


CHRISTOPH SCHÖNBORN: È la fine di un lungo lavoro, che prese l’avvio dal Sinodo straordinario dell’85, quando i padri sinodali chiesero al Papa la stesura di un Catechismo che raccogliesse i contenuti della fede cattolica. Dall’87 venni chiamato a far parte del comitato preparatorio sotto la guida del cardinal Ratzinger (che oggi è il nostro Santo Padre), il che mi ha dato l’occasione di poter lavorare per lungo tempo al suo fianco. Poi, i partecipanti al Congresso catechistico internazionale avevano chiesto che a partire da tale strumento venisse prodotta una formulazione più maneggevole dei medesimi contenuti di fede. E così è stato elaborato il Compendio, che, come ha spiegato Benedetto XVI, è “una sintesi fedele e sicura del Catechismo della Chiesa cattolica” e “contiene, in modo conciso, tutti gli elementi essenziali e fondamentali della fede della Chiesa”.


Come giudica tale Compendio pubblicato a fine giugno?


SCHÖNBORN: Un’esposizione chiara della fede è sempre una cosa buona e ne abbiamo sempre bisogno. Come ogni cosa fatta da uomini non sarà la perfezione assoluta. Ma è di certo un’opera della Chiesa, e può essere di conforto e di aiuto alla vita dei fedeli. E il modo stesso in cui è stato presentato è stato molto suggestivo.


A cosa si riferisce?


SCHÖNBORN: Mi ha confortato il fatto che quel giorno, nella Sala Clementina, non c’è stata solo la presentazione di un libro, una celebrazione profana. Il Compendio è stato consegnato alla Chiesa durante una celebrazione dell’Ora Sesta, la preghiera dell’ufficio quotidiano. Presieduta dal Papa. Un’occasione che suggeriva in forma eloquente che è nella liturgia e nella preghiera che i misteri della fede divengono presenti, si possono contemplare e trasmettere. Catechesi e liturgia sono inseparabili. E poi quel giorno, guarda caso, la liturgia della Chiesa celebrava sant’Ireneo.


Un santo che le è caro.


SCHÖNBORN: Anche lui, per sintetizzare la sua immensa opera contro gli eretici, scrisse una sorta di compendio, la Demonstratio della predicazione apostolica. Inviandola all’amico Marciano, la presentava proprio come un compendio, “una serie di annotazioni su punti fondamentali, cosicché in poche pagine possa trovare molta materia, avendo raggruppato in breve le linee fondamentali del corpo della verità”. E poi, proprio nel giorno della sua festa si legge durante la messa un brano della Genesi su cui lo stesso Ireneo ha dato un’interpretazione folgorante…


Di che si tratta?


SCHÖNBORN: È il racconto di Lot e della sua famiglia a cui la predilezione del Signore concede di fuggire da Sodoma, senza guardarsi alle spalle, prima che la città venga distrutta. Ma la moglie di Lot volge malauguratamente lo sguardo indietro, e si trasforma in una statua di sale. Per colpa della curiosità femminile, dicono i commentatori malevoli…


E Ireneo?


SCHÖNBORN: Invece il vescovo martire di Lione vede nell’episodio una figura della Chiesa, che come la moglie di Lot è una madre che non può trovare pace finché non ha visto che tutti i suoi figli si sono salvati. E per questo si attarda, guarda indietro, fino a sacrificare la sua vita. Ogni gesto della Chiesa, anche il catechismo, sgorga da una misericordia così. Che è il riflesso nella Chiesa della misericordia della Vergine Maria, per cui di tutte e due si può dire che sono causa nostrae salutis…


Eppure proprio lei ha parlato più volte di un’ostilità preconcetta nei confronti dell’idea stessa di catechismo.


SCHÖNBORN: È una mia grande amarezza di vescovo vedere come nelle nostre diocesi questa testimonianza della fede apostolica contenuta nel Catechismo non sia accolta. Confesso che per questo ho pregato proprio sant’Ireneo. Fu lui che per primo diede la testimonianza che la Chiesa era fiorita anche in Germania, e che anche lì i fratelli erano concordi nella fede con la Chiesa di Roma. Questa Chiesa che non ha mai perduto la fede apostolica proprio per il privilegio di essere appoggiata sugli apostoli.


Forse non fa che rafforzare tali ostilità preconcette chi si ostina a presentare anche il Compendio come un esempio dell’orgoglio cattolico…


SCHÖNBORN: Ma il catechismo ha più a che fare con l’immagine del bambino nel momento che impara a parlare dalla mamma. Impara le parole, e le parole sono i nomi delle cose che scopre, ed è tutta una sorpresa, una novità. Così i bambini apprendono le parole che li aiuteranno tutta la vita. Étienne Gilson ha detto che tutto ciò di cui aveva bisogno per la sua vita di fede lo ha trovato nel suo catechismo. Da giovane prete mi capitò un fatto che mi ha segnato…


Di che si tratta?


SCHÖNBORN: C’era un uomo sposato che viveva in maniera dissoluta, andava con altre donne. Poi la moglie morì improvvisamente, e lui era tormentato dai sensi di colpa per averla trascurata. Veniva ogni giorno a messa, la mattina alle sette. Mi colpì che lui, che aveva da lunghi anni abbandonato ogni pratica della vita cristiana, ritrovava nella sua memoria le formule del catechismo. Quelle frasi del catechismo che aveva imparato da bambino gli uscivano così, una dopo l’altra. Nel naufragio della sua vita, quelle formule riaffioravano dalla sua memoria come zattere a cui aggrapparsi, come le uniche promesse di salvezza. E questo mi ha dimostrato quanto può servire avere nella memoria anche soltanto un tesoro di parole che forse lui stesso, da bambino, aveva imparato senza neanche capirle, ma in quel momento cruciale erano lì, a disposizione.


Lei ha citato Gilson. Anche Charles Péguy dice che la sua fede era tutta intera nel catechismo della diocesi di Orléans, “il catechismo della parrocchia natale, quello dei bambini piccoli”.


SCHÖNBORN: Il catechismo non può mai divenire pretesto di presunzione e orgoglio, perché piuttosto suggerisce che nella vita cristiana siamo sempre dei principianti, dei bambini. Rispetto al catechismo, il bambino e il professore rimangono sempre allo stesso livello, perché davanti ai misteri della fede siamo sempre bambini. Il bambino che sant’Agostino incontra sulla spiaggia di Civitavecchia, e che gli fa capire che con tutta la sua applicazione teologica mai potrà esaurire la profondità del mistero della Santissima Trinità, per me è come l’icona del catechismo.


L’attenzione dei media si è concentrata piuttosto sulle questioni morali e di etica pubblica. Come se si trattasse di un manuale di istruzioni e divieti morali. A questo proposito il cardinal Honoré, membro del comitato preparatorio, scrisse una volta che si dovette correggere un’impostazione che nelle bozze iniziali poteva apparire pelagiana…


SCHÖNBORN: Il Compendio, ovviamente, riproduce il Catechismo anche in questo. Al numero 417, ad esempio, si chiarisce che “a causa del peccato, la legge naturale non sempre e non da tutti viene percepita con uguale chiarezza e immediatezza”. E al paragrafo 419 si aggiunge che la Legge antica, pur essendo santa, spirituale e buona, “non dona da sé stessa la forza e la grazia dello Spirito per osservarla”. Il peccato originale finisce spesso per offuscare nei singoli anche la retta percezione di quando si infrangono i dettami della legge naturale. E come disse l’allora cardinale Ratzinger durante l’Anno giubilare, mentre presentava il documento sulle colpe della Chiesa: “Mi sembra che solo il perdono, il fatto del perdono, permetta la franchezza di riconoscere il peccato”.


Da dove nascono, secondo lei, le riserve verso lo strumento del catechismo ancora circolanti anche tra chi si occupa di queste cose per mestiere?


SCHÖNBORN: Da una parte, il movimento biblico cominciò fino dagli anni Cinquanta a influenzare anche la pratica della catechesi, con l’invito – in sé condivisibile – a recuperare anche nella catechesi i riferimenti alla ricchezza della storia biblica, superando il carattere talvolta secco e astratto di alcune formule usate fino ad allora. Ma dall’altra parte c’era anche il pregiudizio che la verità non si può mettere in frasi, in sentenze che la definiscono. E questo è un errore, perché mai c’è la pretesa che la formula di dottrina possa contenere e esaurire la realtà che indica. Già Léon Bloy sottolineava la forza e allo stesso tempo l’insufficienza delle formule dogmatiche. E san Tommaso chiariva che “Fides non terminatur ad enuntiabile, sed ad rem”. E poi occorre anche riconoscere che talvolta le parole stesse di Gesù hanno un tratto per così dire didattico. Gesù, vero maestro, ha anche la sapienza dell’educatore. Molte sue espressioni sono sentenze fatte per la memorizzazione.


A proposito di didattica, alcuni ritenevano sorpassato il metodo a domande e risposte ripreso dal nuovo Compendio.


SCHÖNBORN: Una volta, in una libreria d’aeroporto, tra un volume sul Dalai Lama e uno sull’esoterismo, ho trovato una specie di catechismo hindu, a domande e risposte. Si intitolava Daddy, am I a hindu? Era congegnato come se il figlio facesse delle domande e il padre rispondesse…


E con questo, che vuol dire?


SCHÖNBORN: Il metodo a domande e risposte in sé non ha nulla di originale, può veicolare anche tutte le espressioni culturali e religiose di umanità. Ma questa ovvietà del metodo non mi sorprende affatto. La novità del cristianesimo si comunica attraverso i processi ordinari della vita, col meccanismo normale con cui si comunicano le notizie, che è quello delle domande che fanno i bambini ai grandi e delle risposte che ricevono. Papà, è vero che Dio può fare tutto? Perché c’è il male? Chi è Gesù? È il modo normale con cui si sviluppano i processi d’apprendimento umani rispetto a qualsiasi realtà. Ed è proprio del cristianesimo il fatto di riprendere le dinamiche espressive naturali per comunicare i tesori della grazia.


Significa che le verità della fede cristiana si comunicano come quelle di qualsiasi altra dottrina?


SCHÖNBORN: Il fattore originale non sta nella forma usata, ma in colui che sant’Agostino chiama il “maestro interiore”, che è Cristo stesso, il Figlio di Dio. Ogni volta che nella vita di fede, all’inizio e in ogni nuovo passo, c’è quel momento affascinante per cui cogliamo la misteriosa corrispondenza tra una realtà, tra una verità di fede e il nostro cuore – e lo si vede anche negli occhi, che si illuminano –, beh, questo è opera di Cristo.


Proprio Agostino, nel De praedestinatione sanctorum, riconosce che per l’initium fidei non basta che la verità sia annunciata. Perché – dice – se la fede fosse un mero acconsentire alla verità annunciata, sarebbe un’opera propriamente nostra…


SCHÖNBORN: Questa è la cosa più importante per il catechista, e anche per il predicatore, che sempre sa che deve esporre la verità con la maggior chiarezza possibile, ma non è lui che compie l’opera del suo accoglimento. Negli Atti degli apostoli è sempre lo Spirito Santo che apre la porta alla parola. Se Lui non apre, la verità predicata non può entrare.


30giorni – Luglio 2005