(Tempi) Se le parole hanno un valore

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Eutanasia

Prendi un trapasso atroce e fanne un paradiso

di Giovanni Gobber*

Gli eventi sono di vario tipo. Ci sono le azioni, i processi, gli stati. In un frammento di esperienza si trovano tutti: il medico visita la paziente; l’ammalata giace a letto ed è alimentata da un sondino naso-gastrico. Le frasi sono fatte di soggetti, predicati, complementi: la terminologia linguistica non è à la page, ma rende l’idea. Il significato si coglie ragionando, cioè collegando le parole all’esperienza: visitare, preso da solo, può voler dire di tutto, ma in quella frase indica un’azione ben precisa, e il medico denota un individuo che agisce intenzionalmente. Giace a letto significa uno stato, in cui versa l’ammalata, che non compie alcuna azione; è alimentata è un verbo di senso vago. Se c’è qualcuno che agisce, indica azione; in questo caso, però, si riferisce a un processo, che si compie per mezzo di uno strumento: i sondini non sono agenti razionali, dunque non agiscono. Se dico: Il noto giornalista è caduto dalle scale e ha battuto la testa contro lo spigolo dello scalino, non esprimo azioni, ma processi, perché il poveretto si è trovato coinvolto in un brutto incidente, magari causato dal gatto di casa, che passava di lì. Invece, nella frase L’infermiere è entrato nel reparto geriatrico con una siringa esprimo un’azione, perché il lavoratore ha fatto qualcosa intenzionalmente. Si consideri, poi, il caso seguente: L’infermiera spaventò la nonnina ammalata. Esprime un’azione, se lo spavento fu provocato intenzionalmente (per fare uno scherzo, o per altri fini…); è un processo, se non vi fu premeditazione: non vi è agente, quindi la frase equivale a La vista dell’infermiera spaventò l’anziana ammalata.
Sono cose ovvie, se ci si ferma a ragionare. Eppure, nella comunicazione quotidiana, avviene che un’azione sia presa per un processo, e che un individuo che si trova coinvolto in un processo sia fatto passare per un agente. Consideriamo il “caso Eluana”. L’espressione è vaga: caso significa “vicenda, ciò che è accaduto”; la parola è legata al verbo latino cadere. Non è chiaro se caso denoti un’azione o un processo: sembra che non ci siano agenti, che tutto accada così, per caso. Per descrivere la vicenda, quasi tutti i giornali italiani usano gli stessi giri di frase: non è stata uccisa da medici e infermieri consapevoli di quello che facevano, bensì è morta. Gli esperti hanno rilevato che la morte è su-bentrata per disidratazione: non si è detto, però, che la disidratazione è stata provocata intenzionalmente.

E Avvenire è «organo del Vaticano»
E all’estero non butta diversamente: «Eluana, la paziente in coma, è deceduta» (Bild). «La paziente italiana in coma è deceduta» (Neue Zürcher Zeitung). «Eluana Englaro è morta» (Frankfurter Allgemeine). «Eluana Englaro, la paziente italiana in coma, è morta» (Die Welt). Morire indica un processo in cui è coinvolto il morente. Non è un’azione, non vi è un agente: morire non è uccidere. È inoltre evidente che Eluana non si è suicidata. È morta, ma i quotidiani tedeschi precisano che c’è stata eutanasia (Sterbehilfe), come scrive la Bild esplicitamente. La Neue Zürcher Zeitung aggiunge che Eluana è deceduta «in conformità con il desiderio della famiglia». L’affermazione è imprecisa: come ben rileva il londinese Times, la famiglia ha rispettato i desideri espressi da Eluana, secondo la testimonianza resa dal padre stesso e dagli amici della ragazza.
Per arrivare alla morte, nella clinica di Udine «è stata sospesa l’alimentazione forzata». L’uso del passivo è importante: permette di cancellare l’agente. Chi ha sospeso «l’alimentazione forzata»? Non si dice, e del resto gli autori vanno considerati meri esecutori di una sentenza della Cassazione: hanno ubbidito agli ordini. Il passivo si trova in tutte le notizie di stampa sul “caso Englaro”.
La Neue Zürcher aggiunge: il padre di Eluana ha dovuto combattere una lunga battaglia nei tribunali «per l’eutanasia passiva» (für die passive Sterbehilfe). A volte, all’estero, non si riesce a distinguere la Santa Sede dai vescovi italiani (secondo il castigliano El País, il quotidiano Avvenire sarebbe «l’organo di stampa del Vaticano»). A Zurigo, inoltre, si scrive che Berlusconi, «sottoposto alla pressione del Vaticano», ha cercato di imporre per legge il mantenimento in vita della donna e «la sospensione dell’eutanasia passiva». Per la berlinese Welt si tratta di una legge «contro l’eutanasia» in generale. Secondo la Frankfurter Allgemeine, il padre ha lottato «per il diritto di sua figlia a morire» (für das Sterberecht); l’eutanasia si è realizzata interrompendo le misure per mantenerla in vita (die lebenserhaltenden Maßnahmen). Il quotidiano di Francoforte ricorda le parole di Benedetto XVI: lasciare morire Eluana è la via sbagliata. In tedesco sterben lassen significa “lasciar morire”‚ ma anche “far morire”. Sembra che la lingua sia restia a tracciare un confine tra eutanasia passiva e attiva…

I nemici del libero arbitrio
Sui diritti il Times aggiunge un dettaglio importante: Beppino Englaro ha lottato per «dare una fine dignitosa alla vita della figlia» (a dignified end to his daughter’s life). Il diritto alla morte si precisa come diritto a una fine dignitosa. Altri impiegano morire con dignità. Non sfuggirà che l’accenno a una fine dignitosa presuppone che Eluana non fosse «morta 17 anni fa». Forse però in tale espressione il verbo morire assume un significato diverso da quello abituale: indica l’inizio di una vita indegna (unwürdiges Leben) per qualità. Sembra qui emergere un concetto delineato già dalla legislazione nazionalsocialista nell’anno 1939. Ai tempi di Hitler, era il potere a stabilire quali vite indegne sopprimere. Oggi tocca all’individuo decidere “liberamente” come morire. Nella vicenda di Eluana, infatti, il governo e la Chiesa sono stati presentati come “agenzie” ostili al libero arbitrio.
Nella promozione del diritto alla morte, è cruciale il ruolo della tedesca Sterbehilfe, che si può rendere con eutanasia, ma, di per sé, vuol dire “aiuto a morire”; c’è l’idea dell’aiutino per morire in pace. Proprio la Bild osserva che il padre ha voluto «far morire in pace la figlia» (in Frieden sterben lassen). Tuttavia, egli ha invitato i politici al capezzale della figlia. In tedesco, capezzale è Krankenbett – il letto del malato. Ma se Eluana era «morta 17 anni fa» non si può considerarla malata; dunque, non sembra coerente l’uso di capezzale. L’aggettivo malato viene infatti dal latino male habitum, che designa un individuo “in cattivo stato” di salute; la forma si abbreviò in malatto e poi in malato per analogia con i participi in -ato. Se Eluana conduceva una «vita vegetativa» non era «malata», ma neppure può essere «morta in pace». Né si può dire che vivesse soffrendo. L’augurio è che ora riposi in pace.

*professore di Linguistica
all’Università Cattolica di Milano