(RV) Il martirio dei cristiani del Sud Sudan sino alla crocefissione

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Radio Vaticana 15/10/2009 15.00.10



Intervista con Mons. Hiiboro Kussala, vescovo della diocesi meridionale di Tombura Yambio (SUDAN)

Come portare pace e riconciliazione in Africa? Se lo chiedono i Padri Sinodali. Particolare attenzione è dedicata al Sudan, Paese spaccato tra un Nord prevalentemente arabo che ha imposto la legge coranica e un Sud cristiano animista. Le elezioni politiche, previste dagli accordi di pace del 2005, dovrebbero svolgersi entro il 2010, mentre per il 2011 è fissato un referendum per l’autodeterminazione del Sud. Ma l’appuntamento con le urne è messo a rischio dalle continue violenze perpetrate da gruppi ribelli legati al governo di Khartoum. Lo conferma, al microfono di Paolo Ondarza, mons. Hiiboro Kussala, vescovo della diocesi meridionale di Tombura Yambio, teatro di ripetuti attacchi contro i cristiani. R. – Questi ribelli, a nostro modo di vedere, stanno ricevendo aiuti da parte del governo del Nord. Tutti hanno fucili, armi … Credo ci sia la volontà di lasciare il Sud Sudan in difficoltà perché non abbia quella pace necessaria per preparare il referendum che è previsto per l’anno prossimo.

D. – Si verificano anche attacchi contro la comunità cristiana?

R. – Sì. Il 13 agosto scorso, i ribelli sono entrati nella chiesa della mia parrocchia ed hanno preso tante persone in ostaggio. Mentre fuggivano nella foresta, ne hanno uccise sette: li hanno crocifissi agli alberi. Si verificano tanti drammi come questo. Alcuni di loro sono stati istruiti da al Qaeda in Afghanistan: sono contro la Chiesa. Il progetto è intimidire i cristiani.

D. – Vivere il Vangelo è una scelta difficile: si può andare incontro al martirio …

R. – Sì. Noi viviamo proprio in questo senso, perché stanno uccidendo la gente, bruciano le loro case, le chiese: questo è martirio.

D. – I cristiani hanno paura di vivere la loro fede? Lei come pastore ha paura di operare nella sua diocesi?

R. – Paura, sì: perché i ribelli continuano ad uccidere la gente. Questa è la nostra paura. Ma noi non vogliamo morire: tutto questo rafforza la fede della gente, la gente continua a venire in chiesa.

D. – Ed essere un segno di pace e riconciliazione, è anche questo testimoniare il Vangelo in una terra che perseguita i cristiani?

R. – Sì: questo è il nostro motto, continuare a vivere la riconciliazione e la pace. Dopo sei secoli, il cristianesimo è stato praticamente distrutto nel Nord del Sudan, e noi ne soffriamo in nome del Signore.

D. – Pensando alla situazione nella sua diocesi e anche al conflitto nel Darfur, lei ha invocato l’aiuto da parte della comunità internazionale ma ha anche detto: “Abbiamo bisogno dei Buoni samaritani della Sacra Bibbia” …

R. – Vogliamo i Buoni samaritani: i nostri fratelli, i nostri amici nella comunità internazionale possono venire in nostro aiuto. Ma più ancora di questo, chiediamo preghiere, tante! Per noi, affinché possiamo essere forti e proseguire su questo cammino così difficile. Ma con il Signore, lo sappiamo bene, alla fine vinceremo!