Omelia 20 giugno 2010 – XII del Tempo Ordinario

Sharing is caring!

DOMENICA DODICESIMA DEL TEMPO ORDINARIO

LETTURE
Prima: Zac 12, 10-11; 13,1
Seconda: Gal 3, 26-29
Vangelo: Lc 9, 18-24

NESSO TRA LE LETTURE
Chi è Gesù Cristo? Questa è la grande domanda degli uomini da ventuno secoli, ed è la domanda che ci pone la liturgia di questa domenica. Le risposte sono varie: un profeta redivivo: Elia, Geremia, per esempio, o un altro Giovanni il Battista. Pietro, in nome dei Dodici, giunge ad affermare che è il Messia di Dio. Per Gesù, le risposte sono insufficienti, e dà a se stesso il nome del Figlio dell’uomo, che terminerà la sua vita su una croce (vangelo). Alla luce evangelica si coglie il senso ultimo della profezia di Zaccaria: "Guarderanno a me, a colui che hanno trafitto" (prima lettura). Per san Paolo, alla luce della Pasqua, Gesù Cristo è colui che fa passare l’uomo dall’infanzia sotto il pedagogo fino all’età adulta dell’uomo libero e figlio di Dio (seconda lettura).

MESSAGGIO DOTTRINALE

1. Un grande profeta, ma niente di più. L’opinione della gente non è qualcosa che ha cominciato a contare al nostro tempo. Da che cominciarono ad esistere le città, i regni e gli imperi, ha contato e se ne è tenuto conto. Nel vangelo, secondo quanto ci narra san Luca, Gesù non la disprezza, ma, considerandola insufficiente, la corregge e la completa. La gente pensa che Gesù sia un profeta, e in questo hanno ragione. Pensa che non sia un profeta qualsiasi, ma uno tra i grandi: Elia, forse Geremia, perfino Giovanni Battista risuscitato. Gesù non rifiuta il titolo di profeta, ma dimostra chiaramente di non dire totalmente chi egli sia. Inoltre, non soltanto il confronto con Elia, Geremia e Giovanni Battista gli sta molto stretto, ma queste sono figure con cui in diverse cose non si identifica. Gesù è in verità un grande profeta, che parla in nome di Dio e legge la storia degli uomini alla luce del disegno divino, ma è anche molto di più.

1. Il messia di Dio, ma… Pietro, e gli altri apostoli, hanno accompagnato Gesù per un buon tempo, hanno convissuto con lui, lo hanno visto pregare, predicare, guarire; hanno ascoltato i suoi insegnamenti, soprattutto le sue parole sul Regno di Dio. Hanno fatto un passo avanti nella conoscenza di Gesù: non soltanto Egli è profeta, è il messia di Dio. Sì, il messia, discendente di David, il condottiero guerriero, il re vittorioso che ha raggiunto la massima espansione del regno di Israele, sconfiggendo tutti i suoi nemici. Gesù ripeterà, come messia, la figura di Davide: sconfiggerà i romani, amplierà le frontiere del regno, i re delle nazioni verranno a lui per rendergli tributo ed omaggio. Il regno di Israele, regno di Javeh, ritornerà ad essere glorioso. Gesù non è d’accordo con questo messianismo sognato da Pietro e dagli altri apostoli. Gesù non nega, né mai negherà, di essere il Messia. Sarebbe negare la verità, e questo è impossibile per chi è la Verità. Ma Gesù non fa propria la figura di un messia, condottiero degli eserciti di David. Messia di Dio, sì, ma messia diverso da come lo immaginano i discepoli più vicini.

2. Un messia, avvezzo alla sofferenza. In questo momento cruciale della vita di Gesù, prima di cominciare il viaggio verso Gerusalemme, luogo della sua crocifissione, egli fa un altro passo nello svelamento della sua vita e della sua persona. Comincia a parlare di qualcosa di strano, e assente da ogni profezia dell’Antico Testamento, cioè, di un messia che terminerà la sua esistenza sul trono di una croce. Qualcosa di questo forse poté presentire il profeta Zaccaria, quando scrisse: "Guarderanno verso di me, a colui che hanno trafitto" (prima lettura), anche se questa frase, nella tradizione dei giudei, non si applicò mai al messia, dato che era Javeh che la pronunciava. Questo messia sofferente, qualcosa di inusitato ed inconcepibile per qualsiasi uomo, viene da san Paolo identificato con il Figlio di Dio, e per questo, nella seconda lettura, san Paolo può dire che noi cristiani "siamo figli di Dio in Cristo Gesù", il suo vero ed unico Figlio. Adesso già possiamo rispondere meglio alla domanda su chi è Gesù: "Tu sei il messia, il Figlio del Dio vivo".

SUGGERIMENTI PASTORALI

1. La migliore risposta si dà con la vita. La questione Gesù Cristo non è un problema che a forza di pensare riusciamo a risolvere in qualche modo. Ancor meno, una questione obsoleta, carente di importanza, che sia indifferente che si risolva o no. In realtà, è l’unica questione che valga assolutamente la pena, e che inoltre non può risolversi se non con la vita. Perché è chiaro che il fatto che Gesù Cristo abbia accettato di essere un messia di croce, il fatto che dire Gesù equivalga a dire Figlio di Dio, oltrepassa i nostri schemi mentali e la nostra stessa capacità di raziocinio, e l’uomo non conquisterà mai codeste verità della nostra fede a colpi di sillogismi. Soltanto quando l’uomo comincia a percorrere la stretta via della croce, e, fissi gli occhi su Gesù, segue le orme della sua storia, scopre che la questione Gesù Cristo cammina allo stesso passo della questione uomo, e che soltanto risolvendo la prima viene risolta anche la seconda. Chi sa per esperienza ciò che è la sofferenza, e percepisce il valore "redentore" della stessa, sia per il soggetto che soffre, sia per la persona o le persone per le quali si soffre, allora è in condizioni di cogliere un poco almeno la ragione di un messia di dolori. Chi vive la sua condizione di figlio di Dio, la grandezza della sua dignità filiale e l’atteggiamento di obbedienza proprio di un figlio, sarà in grado di rispondere a se stesso chi è Gesù Cristo, e di poterlo proclamare con convinzione davanti agli altri. In poche parole, se viviamo interamente come cristiani, non ci sarà nemmeno necessità di domandarci chi sia Gesù Cristo, perché la nostra vita sarà la nostra risposta.

2. Prega per comprendere, comprendi per pregare. I misteri della fede si conoscono meglio nella cappella che allo scrittoio, si conoscono meglio con la preghiera che con lo studio, sebbene entrambi siano necessari. Dio è l’unico ad avere la chiave dei misteri. Soltanto Lui può aprirci questo sacrario del suo cuore. L’intelligenza, quando è aperta alla fede, ci prepara e ci pone davanti al sacrario del mistero. L’intelligenza, una volta che Dio ci abbia permesso di entrare nel mistero, ci aiuta a riflettere su di esso, e a cogliere pochi atomi della sua realtà superiore ed infinita. Ma unicamente la preghiera, se è umile, costante, fiduciosa, muove Dio ad aprirci il sacrario del mistero. Entro codesto sacrario, l’anima va in estasi e l’intendimento comincia a navigare per mari ignoti. La teologia più autentica è quella che si fa non soltanto a partire dalla fede, ma soprattutto a partire dalla preghiera, dall’intelligenza orante e adorante del mistero. Allo stesso modo, la predicazione più vera è quella che ha rinnovato le verità della fede tramite il passaggio attraverso il crogiuolo della meditazione. Nelle cose di Dio, colui che prega, comprende, e colui che non prega, non comprende nulla, o quasi nulla. Se noi cristiani pregassimo di più e meglio, i problemi di fede diminuirebbero in gran numero o scomparirebbero completamente. In un mondo che a volte sembra senza senso, la preghiera può trovargli un significato. Ne vale la pena!