(Oasis) L’Algeria tra martirio e speranza di libertà

  • Categoria dell'articolo:Islam

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Islam d’Algeria. C’è chi difende la libertà di conversione

di mons. Henri Teissier ex arcivescovo di Algeri

da "Oasis" Anno IV N.8 Dicembre 2008

In Algeria la relazione islamo-cristiana attraversa un periodo di crisi dopo la pubblicazione da parte dello stato, il 28 febbraio 2006, di un’ordinanza che disciplina l’esercizio dei culti non musulmani. […] Questo documento è stato integrato, nel maggio 2007, da due decreti applicativi che definiscono le condizioni imposte alle "manifestazioni religiose" dei culti diversi dall’islam.

L’ordinanza del 2006 presenta nel suo preambolo dichiarazioni di principio positive. Essa afferma di avere come obiettivo quello di assicurare la protezione dei culti non musulmani; garantisce la libertà di culto e invita al rispetto delle religioni diverse dall’islam.

Tuttavia, le disposizioni enumerate in seguito lasciano spazio a interpretazioni massimaliste estremamente pregiudizievoli per la pace interreligiosa. Ogni comportamento od ogni parola suscettibile di incitare un musulmano ad abbandonare la sua religione sono puniti con severe pene di prigione, da uno a tre anni, e da multe piuttosto pesanti. Non solo i culti non musulmani sono autorizzati solo nei luoghi pubblici riconosciuti a questo uso ed esplicitamente indicati alle autorità responsabili ma, cosa più grave, ogni attività diversa da quella cultuale è proibita in quegli stessi luoghi di culto. Sarebbe la fine del servizio umanitario della Chiesa: asili, ambulatori, sostegno scolastico, conferenze.

Così questa ordinanza rende sospetta ogni preghiera tra cristiani in un contesto diverso da quello di una chiesa. Ma in questo modo diventano altrettanto sospette l’assistenza religiosa ai lavoratori cristiani stranieri nei cantieri, ai gruppi di pellegrini in marcia verso Tamanrasset, così come le celebrazioni tra gli immigrati che vivono nelle periferie delle città, ma, soprattutto, più generalmente ogni incontro di preghiera cristiana od ogni Eucarestia domestica nei quartieri e nelle città dove non esistono edifici ecclesiastici riconosciuti. […]

Di fatto le prime misure prese dallo stato algerino sono state dirette contro la Chiesa cattolica. […] Tra il 7 e il 15 tutte le comunità di religiose e religiosi cattolici in tutti i dipartimenti del nord del paese sono stati convocati e invitati a lasciare l’Algeria per ragioni di sicurezza. A partire dal mese di ottobre del 2007 è diventato quasi impossibile ottenere dei visti per accogliere nuovi religiosi e religiose o volontari laici.

Queste prime misure […] furono poi seguite da molte altre decisioni: espulsione, il 20 novembre 2007, di quattro volontari brasiliani cristiani invitati in Algeria dall’arcivescovo per servire gli studenti borsisti cristiani provenienti dai paesi lusofoni (Mozambico, Angola, Capo Verde, Guinea Bissau ecc.); divieto di celebrare la messa di Pasqua in un campo petrolifero italiano, per via delle disposizioni contenute nell’ordinanza sui luoghi di culto; rifiuto del visto a diversi responsabili di congregazioni religiose che lavorano in Algeria; rifiuto del visto a una laica con la motivazione, espressamente dichiarata al consolato a Parigi, che lavorava alla delegazione "cattolica" alla cooperazione.

In seguito, non sono mancate, in diversi luoghi e in diverse occasioni, interpretazioni massimaliste dell’ordinanza che disciplina la vita dei culti non musulmani. Un prete cattolico, della diocesi di Orano, don Pierre Wallez, è stato trattenuto per trenta ore alla gendarmeria di Maghnia, il 9 gennaio 2008, per aver pregato, due giorni dopo Natale, con dei cristiani camerunensi che vivevano in una foresta vicino alla frontiera algero-marocchina. In linea di principio l’ordinanza vietava soltanto il "culto" al di fuori di una chiesa. E questo prete si era limitato a compiere una visita pastorale a dei cristiani presso i quali non era stato celebrato nessun "culto", ma soltanto una preghiera condivisa nel contesto della grande festa cristiana del Natale. Questo prete fu condannato in prima istanza a sei mesi di prigione con la condizionale, poi, il 9 aprile 2008, a due mesi di prigione con la condizionale in seconda istanza, quando queste visite agli immigrati avevano luogo da più di dieci anni e dopo che le autorità algerine responsabili ne erano state informate dal vescovo del luogo. Il medico algerino che in spirito di carità accompagnava il prete in questa visite fu prima condannato a due anni di prigione, pena commutata alla fine in sei mesi con la condizionale, ma col divieto di esercitare la professione di medico nella funzione pubblica.

Nella vita quotidiana, capita che la gendarmeria fermi i preti che circolano per strada e li accusi di proselitismo perché portano con sé la Bibbia e il breviario: così a Sidi Akacha, vicino a Ténès. Cattolici che arrivavano in aereo si sono visti confiscare i loro libri cristiani personali: per esempio all’aeroporto di Batna, nel giugno 2008. Un’insegnante algerina cristiana che aveva con sé un rosario è stata fermata dalla polizia e ha subito un interrogatorio serrato. Più recentemente, nel giugno scorso, la polizia ha fatto sequestrare dalla dogana tutti gli esemplari ricevuti per posta dei "Prions en Église" e dei "Magnificat", malgrado una lettera di protesta dell’arcivescovo indirizzata al ministero degli affari religiosi rimasta senza risposta. In diverse città si lamenta la chiusura delle attività educative animate dalla Chiesa.

Ma tutte queste misure dipendono, molto spesso, dalle molestie di certi responsabili e non avrebbero avuto grandi conseguenze senza un fatto che ha diffusamente toccato l’opinione pubblica. […]

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Da una decina d’anni la stampa algerina presenta regolarmente degli studi sul fenomeno, nuovo in un paese musulmano, della conversione di gruppi di persone di origine musulmana, soprattutto nella regione della Kabilia. […] In uno di questi saggi, ripreso il 19 marzo 2000 dal giornale francofono di Algeri "Le Soir d’Algérie", si poteva leggere:

"Fatto significativo, la quasi totalità dei membri di queste comunità non è affiliata all’entità cattolica, tradizionalmente presente in Algeria. Sono algerini di confessione cristiana, ma di rito protestante. Molti dicono di aver avuto un’avventura spirituale e religiosa in seguito alla quale hanno cambiato vita, altri fanno per la prima volta l’esperienza della fede, ma tutti convergono sulla via di Cristo, affermando di aver ricevuto la sua grazia. Ma da dove nasce il fatto che tutti questi uomini e queste donne abbiano provato un entusiasmo così vivo per la spiritualità abbracciando la religione cristiana? […] È forse l’espressione di una ricerca identitaria? […] Si tratta di un tentativo di riappropriazione dell’eredità di sant’Agostino che si nasconde sotto la cenere dei secoli? Il fenomeno ha qualche legame con l’attualità immediata dell’Algeria, in cui l’islamismo scuote il paese sullo sfondo di violenze assassine? O esprime semplicemente un vezzo alla moda, palliativo di un bisogno passeggero d’identificazione? C’è ancora, dietro questa esperienza spirituale, un desiderio di trascendere la materialità dell’esistenza, una ricerca terapeutica davanti a un’angoscia esistenziale dove la ricerca del senso della vita si è spostata dalla terra verso il cielo?".

Dunque già prima della crisi attuale certi studiosi si erano espressi positivamente sul tema della libertà di coscienza, compreso il diritto per un musulmano di cambiare religione. Ma ciò che è veramente nuovo per un paese arabo, è che l’aggravarsi della situazione provocata dai decreti del 28 febbraio 2006 sta suscitando nell’opinione musulmana liberale in Algeria una reazione collettiva in difesa dei diritti dei nuovi cristiani venuti dall’Islam.

Infatti, dopo la messa in stato di accusa da parte della giustizia di una giovane insegnante algerina di Tiaret, "Habiba", nell’aprile-maggio 2007, che si era convertita al cristianesimo "evangelical", è nato un vero dibattito pubblico nel quale una parte degli interlocutori ha pubblicamente difeso il diritto alla libertà di coscienza di "Habiba" e di tutti gli algerini. Il giornale francofono algerino "El Watan" ha addirittura preso l’iniziativa di pubblicare il 18 marzo 2008 una petizione firmata poi da più di duemila intellettuali algerini e il cui testo recita:

"Giornalisti condannati a pene detentive e minacciati di incarcerazione. Sindacalisti licenziati per aver rivendicato salari decenti. Cristiani vessati per delitto di preghiera. I firmatari, fortemente preoccupati da questa scalata contro le libertà democratiche, esprimono la loro solidarietà con i giornalisti liberi, i sindacati autonomi e la comunità cristiana d’Algeria, bersaglio di misure tanto brutali quanto ingiustificate; riaffermano il loro attaccamento alla libertà d’espressione, al pluralismo sindacale e alla libertà di coscienza, sinonimo del diritto di ognuno di praticare la religione che sceglie o di non praticare affatto; invitano alla tolleranza e al rispetto delle libertà e delle diversità, valori cardinali di ogni società democratica".

Nello stesso senso va la dichiarazione fatta dal "Rassemblement pour la culture et la Démocratie", uno dei principali partiti di opposizione algerini e dal suo presidente Said Saadi, così presentata dal giornale "El Watan" il 28 febbraio 2008:

"La libertà di culto è stata colpita! L’RCD reagisce. Il partito di Said Saadi denuncia infatti gli opinion makers in servizio permanente che hanno lanciato una campagna inquisitoria per denunciare l’evangelizzazione del paese. […] L’RCD ritiene, in un comunicato reso pubblico ieri, che ciò attenta alla costituzione e ai patti internazionali firmati dall’Algeria che garantiscono rispettivamente la libertà di culto e la libertà di coscienza. Secondo Saadi non c’è ombra di dubbio che si tratti di una vera persecuzione condotta contro i cristiani d’Algeria. Questa campagna, portata avanti con un gran clamore mediatico, in apparenza prende la difesa dell’islam, ma in realtà suggella l’alleanza tra il presidente Bouteflika e la corrente islamista radicale".

Si troveranno posizioni simili in una dichiarazione pubblicata dalla "Maison des droits de l’homme e du citoyen de Tizi Ouzou":

"Invitiamo tutti quelli che […] possono influire sugli eventi a dar prova di saggezza e di senso di responsabilità: l’Algeria non ha bisogno di lanciarsi in una falsa guerra di religione. Per i militanti dei diritti umani, la libertà di culto e di coscienza è un principio intangibile. I poteri pubblici devono vigilare sul rispetto pieno degli obblighi contenuti nei trattati e nelle convenzioni ratificate dall’Algeria".

Il 26 maggio 2008 l’allora capo del governo Belkhadem è stato chiamato direttamente in causa da "Le Soir d’Algérie" in un articolo di Nawel Imès intitolato "Il tempo dell’Inquisizione", sempre sul tema della libertà di coscienza:

"A intervalli regolari, l’islam serve da merce di scambio e le concessioni fatte agli islamisti sono presentate come un male necessario. La messa in opera della riconciliazione nazionale non ha sistemato le cose. Peggio ancora, si assiste a un vigoroso ritorno del religioso. […] Annunciando che ‘la società algerina si è legata al santo Corano da quando ha abbracciato l’islam e che il Corano rappresenta la costituzione che essa non accetterà di cambiare’, il capo del governo, oltre a violare il principio della libertà di coscienza, non fa che legittimare la caccia ai non musulmani condotta a tambur battente dal ministro degli affari religiosi. In meno di un mese, 25 comunità cristiane si sono viste notificare l’ordine di cessazione di ogni attività. Algerini convertiti al cristianesimo sono perseguiti in via giudiziale e alcuni responsabili di chiese sono costretti a lasciare l’Algeria perché rappresenterebbero ‘una minaccia per la sicurezza della nazione’. Più grave ancora, una giovane donna rischia tre anni di prigione a Tiaret. È stata arrestata in possesso di diversi esemplari della Bibbia, ciò che è bastato alla sua imputazione".

Uno dei pensatori contemporanei algerini più in vista, Soheib Bencheikh, residente in Francia ma che si reca in Algeria per delle conferenze, tiene dei discorsi che vanno nello stesso senso, come quello riferito dal giornale "El Watan" il 22 maggio 2008:

"Il legislatore o il moralizzatore non può penetrare nella coscienza delle persone, ha dichiarato Soheib Bencheikh, già mufti di Marsiglia […] Scoraggiato dalla piega presa dagli eventi, eglil unisce la sua voce a quella di chi denuncia la caccia alle streghe sollevando il paradosso dell’Algeria moderna. Infatti, nel momento in cui si tiene un colloquio internazionale sulla concezione dei diritti dell’uomo secondo l’emiro Abdelkader, con la sottolineatura della sua difesa dei cristiani del Medio Oriente, il tribunale di Tiaret giudica una donna per pratica illegale di una religione diversa dall’Islam. ‘La fede non si decide per decreto’, dice Bencheikh rifiutando ‘questi modi di agire in piena contraddizione con la nostra religione, che favorisce le confessioni e le protegge’. Tutto questo a suon di citazioni di quelle sure che danno un fondamento alle sue dichiarazioni, segnatamente i versetti sulla tolleranza, la diversità religiosa e la non costrizione".

Al di là di queste prese di posizione dell’opinione pubblica liberale in Algeria, è molto significativo che il ministro degli affari religiosi Ghoulamallah abbia dichiarato a più riprese di sostenere la libertà di coscienza, ivi compresa la possibilità per un musulmano di cambiare religione, aggiungendo che quello che lo stato algerino teme è la costituzione di minoranza religiose che cerchino appoggi all’estero per difendere i loro diritti.

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Si sa che il dibattito, nel mondo islamico, sullo statuto del musulmano che abbandona l’islam per convertirsi a un’altra religione, il murtadd, è un dibattito antico e oggi molto attuale. Il Corano minaccia l’apostata solo di pene nell’altro mondo (vedi ad esempio 16, 108). Ma vi sono hadîth che prevedono la messa a morte dell’apostata. I fuqahâ’, gli specialisti della sharî’a, dibattono per sapere come interpretare questa tradizione. Certi esegeti contemporanei dicono che bisogna tener conto del fatto che i versetti radicali sono stati pronunciati in un contesto in cui si profilava la minaccia di una rivolta generale delle tribù della penisola arabica, che avrebbe messo in pericolo l’esistenza stessa del giovane stato musulmano, come effettivamente avvenne sotto il califfato di Abu Bakr. Di conseguenza, questi versetti andrebbero compresi come una condanna del tradimento in caso di pericolo della nazione e il principio "non vi sia costrizione nella fede" rimarrebbe valido.

Ma il fatto nuovo che lo stato algerino deve affrontare è la conversione di diverse centinaia, forse di diverse migliaia di persone nate in famiglie musulmane, che scelgono pubblicamente di aderire al cristianesimo. Di fatto il dibattito, sulla stampa algerina, non è nato a partire dai criteri propri dell’esegesi musulmana. Per la stampa francofona, generalmente più aperta al rispetto delle convinzioni personali, si è trattato di un dibattito sulla libertà di coscienza, a partire da una prospettiva dei diritti dell’uomo.

Un’evoluzione molto importante si è dunque prodotta in Algeria in occasione di questo movimento di conversioni. Non si tratta più, infatti, di un’opinione privata di uno specialista, ma di una reazione di coscienza espressa da centinaia di giornalisti e da migliaia di intellettuali musulmani che difendono la libertà di coscienza di quelli, tra i loro compatrioti, che hanno scelto di lasciare l’islam per abbracciare un’altra confessione.

Non conosco un altro paese arabo dove vi sia già stato un dibattito di questa ampiezza sulla libertà di coscienza, intesa come libertà per i musulmani di abbandonare la loro religione di nascita per scegliere di aderire liberamente a un’altra confessione di fede.

(fonte: www.chiesa)