Mons. Betori: Libertà religiosa senza relativismi

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CAMERA DEI DEPUTATI

I COMMISSIONE PERMANENTE

(Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni)

Seduta di lunedì 16 luglio 2007

Audizione informale relativa alle proposte di legge C. 36 Boato e C. 134 Spini recanti “Norme sulla libertà religiosa e abrogazione della legislazione sui culti ammessi” – Testo base adottato dalla Commissione nella seduta del 4 luglio 2007.

Intervento di S.E. Mons. Giuseppe Betori, Segretario Generale della Conferenza Episcopale Italiana e del Prof. Venerando Marano, ordinario di Diritto ecclesiastico e coordinatore dell’Osservatorio giuridico-legislativo della Conferenza Episcopale Italiana.

 

Desidero anzitutto esprimere al Presidente della Commissione Affari Costituzionali, on. Violante, e al relatore, on. Zaccaria, un ringraziamento per il cortese invito rivolto alla Conferenza Episcopale Italiana a intervenire nell’ambito delle audizioni sui contenuti del testo base adottato dalla Commissione nella seduta del 4 luglio 2007. Come già in passato, a questo invito aderiamo volentieri, considerata la delicatezza dei temi in esame e l’opportunità di un approfondimento che tenga conto anche delle valutazioni dei soggetti confessionali, anche quando tali soggetti – come nel caso della Chiesa cattolica e delle confessioni religiose diverse dalla cattolica che hanno stipulato intese con lo Stato – sono espressamente e necessariamente esclusi dall’ambito di applicazione della normativa.

Rispetto alle originarie proposte di legge C. 36 Boato e C. 134 Spini, il testo base introduce una serie di novità assai incisive, che finiscono per modificare sensibilmente l’impianto e i contenuti dell’intervento legislativo.

Il doveroso apprezzamento per il notevole impegno di rielaborazione che è all’origine di tali modifiche non può essere disgiunto da vari rilievi, che formuliamo con animo preoccupato ma intento costruttivo, confidando possano contribuire alla ricerca di una soluzione condivisa.

Le disposizioni che appaiono problematiche o non condivisibili in realtà non sono poche. Volendo limitarsi ad alcuni temi essenziali, suscita sorpresa e contrarietà anzitutto l’introduzione del principio di laicità addirittura quale fondamento della legge sulla libertà religiosa, e la correlata disposizione secondo cui a tale principio “è data attuazione nelle leggi della Repubblica” (art. 1, comma 2). Si tratta, come è noto, di un principio di recente acquisizione giurisprudenziale fino ad oggi estraneo al lessico normativo, che non risulta espressamente sancito né a livello costituzionale né a livello di legislazione ordinaria. Singolare e forzata, pertanto, appare la sua introduzione nell’ordinamento mediante una legge dedicata alla libertà religiosa e la sua affermazione quale “fondamento” di una tale libertà, quando invece, secondo il chiaro insegnamento della Corte costituzionale, è il diritto di libertà religiosa, insieme ad altri fondamentali diritti riconosciuti segnatamente dagli artt. 2, 3, 7, 8 e 20 della Costituzione, che concorre a “strutturare” il principio di laicità (Corte cost. n. 203/1989).

Analogamente, suscita perplessità e riserve la disciplina in senso paraconcordatario del matrimonio delle confessioni acattoliche (artt. 30 ss.), definito oggi espressamente per la prima volta quale “matrimonio religioso con effetti civili” mentre è sempre stato considerato e disciplinato, più correttamente, quale matrimonio civile celebrato in forma speciale.

Risulta eccessivo l’ampliamento della disciplina del “divieto di discriminazione” prevista dal combinato disposto degli artt. 3 e 15, come pure della disciplina della “libertà religiosa in particolari condizioni restrittive” (art. 14), che prevede fra l’altro una indebita equiparazione al coniuge del soggetto convivente (comma 5). Occorre valutare con attenzione le conseguenze in concreto della previsione relativa al “servizio pubblico radiotelevisivo” (art. 11). Sembra richiedere ulteriori approfondimenti la previsione di un “registro” delle confessioni e della relativa iscrizione (artt. 16 ss.), nonché dei “diritti delle confessioni” iscritte in tale registro (artt. 22 ss.), con particolare riguardo alla disciplina in materia di edifici di culto (art. 23) e all’equiparazione alle onlus delle confessioni, associazioni e fondazioni religiose ai fini della destinazione del cinque per mille e delle erogazioni liberali (art. 29).

Queste disposizioni, di cui in questa sede non interessa sviluppare un’analisi più dettagliata, introducono per tutte le confessioni un regime giuridico sostanzialmente analogo se non identico a quello bilateralmente previsto per la Chiesa e per le confessioni diverse dalla cattolica rispettivamente dal Concordato e dalle intese stipulate ai sensi dell’art. 8, comma 3, della Costituzione, regime che in talune ipotesi risulta persino migliorativo mediante il recepimento della normativa di diritto comune più favorevole.

La dichiarata finalità di garantire l’eguale libertà delle confessioni religiose si traduce così in una normativa che prevede una sostanziale omologazione tra realtà assai differenziate e comporta una tendenziale riconduzione al diritto comune della disciplina del fenomeno religioso.

Questo risultato, da tempo auspicato da correnti dottrinali e gruppi politici minoritari, da un lato non appare fondato né coerente rispetto al disegno costituzionale delineato dagli artt. 7 e 8 Cost., né tanto meno in linea con la tradizione culturale del nostro paese e con il sentimento religioso della maggior parte della popolazione. Dall’altro lato, potrebbe risultare inadeguato rispetto alle problematiche determinate dalla diffusione di nuovi movimenti religiosi e delle sette, come pure rispetto alle questioni legate al fenomeno della intercultura e della multietnicità. Come già osservato nella precedente audizione del 9 gennaio di questo anno, l’esigenza di favorire l’integrazione dei nuovi gruppi e quindi la pacifica convivenza non deve tradursi in forme di ingiustificato cedimento di fronte a dottrine o a pratiche che suscitano allarme sociale e che contrastano con principi irrinunciabili della nostra civiltà giuridica.

Tali esigenze, da più parti avvertite e condivise, non sembrano trovare adeguata risposta nel testo in esame, che, contrariamente alle aspettative, prevede una serie di aperture che appaiono assai problematiche, e svela alcune criticità del punto di partenza.

Per la Chiesa non è in discussione la necessità, chiaramente affermata dalla dichiarazione conciliare “Dignitatis humanae” e dal successivo magistero, di assicurare il pieno rispetto della libertà religiosa, esigenza insopprimibile della dignità di ogni uomo e pietra angolare dell’edificio dei diritti umani. La garanzia del fondamentale diritto di libertà religiosa in tutte le sue dimensioni, non ultima quella propriamente istituzionale, costituisce infatti la condizione per una pacifica convivenza e per una corretta laicità.

Quello che pare necessario approfondire è l’impostazione dell’intervento legislativo, che rimane auspicabile in quanto equilibrato e puntualmente circoscritto nelle sue finalità. In questa prospettiva sarà possibile, ove necessario anche mediante una nuova impostazione, garantire in termini ampi e generali il fondamentale diritto di libertà religiosa, individuare le materie oggetto di disciplina bilaterale e precisare modalità e procedure per la stipula di eventuali intese.