(Mondo e Missione) ”La verità vi farà liberi”

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Armagheddo: Le bugie non aiutano i poveri


Piero Gheddo

Mondo e Missione n° 01 anno 2004

Nel programma Velisti per caso di Rai Tre (22 agosto 2003), i due
autori (Syusy Blady e Patrizio Roversi) chiedono ad una insegnante
delle isole Figi di parlare della storia locale. Lei risponde: “Noi
non abbiamo storia. Due generazioni fa i nostri antenati si facevano
continue guerre tra i villaggi ed erano cannibali, si mangiavano a
vicenda”. Roversi traduce dall’inglese e poi commenta: “Ecco, questo
è un esempio chiaro della colonizzazione culturale compiuta dai
missionari e dai colonizzatori”.


Secondo l’immagine “politicamente corretta” che corre in Italia, la
colonizzazione è all’origine di tutti i mali dei popoli del terzo
mondo, poveri, oppressi, sfruttati. Non si crede nemmeno ad una
insegnante locale che dice: “Noi non abbiamo storia, i nostri
antenati erano cannibali”; e si commenta: “Questo è un esempio della
colonizzazione culturale dei missionari e dei colonizzatori”.


Ecco perché non comprendiamo i popoli del terzo mondo: li vediamo con
la lente dei nostri pregiudizi ideologici, di chiara origine marxista-
leninista-maoista-castrista. Non ammettiamo nemmeno che, invece, la
realtà storica è proprio quella indicata dalla insegnante delle Figi,
non per tutto il terzo mondo naturalmente; ma molti popoli poveri
sono usciti dalla preistoria (cioè “popoli senza scrittura”) solo da
un secolo, più o meno, cioè da quando sono venuti in contatto con i
colonizzatori e i missionari cristiani. Quando dico questo in
conferenze, e lo dimostro con dati concreti (ad esempio: ancor oggi
nell’Africa rurale, fra gli indios dell’Amazzonia, i popoli della
Papua Nuova Guinea, i tribali di molti Paesi asiatici, si ignora
l’uso della ruota, non esiste il carro agricolo: le donne portano
tutto sulla testa), c’è sempre chi mi accusa di essere razzista!
Oppure si mette a parlare dei “valori” africani, che anch’io esalto:
ma non c’entrano col fatto che molti popoli sono, senza alcuna loro
colpa, in un grave ritardo storico rispetto all’Occidente.


Occorre tener presente che, nel tempo della globalizzazione, i popoli
vivono sempre più vicini e integrati l’uno all’altro, però hanno
culture, costumi, mentalità, credenze di epoche storiche diverse:
ecco il problema culturale, del tutto ignorato. Noi occidentali,
senza alcun nostro merito, viviamo nel 2000 dopo Cristo, gli islamici
nel 1400 dopo Maometto, altri sono usciti dalla preistoria da non
molto tempo. Alcuni popoli si sono sviluppati per primi, perché
avevano nelle loro religioni e culture delle idee e fermenti
progressisti che mancavano ad altri. Nel volume L’Africa nera fra
Cristianesimo e Islam, L’esperienza di Daniele Comboni (1831-1881)
(Corbaccio 2003, p. 454), il professor Gianpaolo Romanato
dell’Università di Padova descrive com’era l’Africa a sud del Sahara
prima della colonizzazione, almeno come l’hanno vista Comboni e i
suoi missionari 130 anni fa: una visione molto negativa della loro
condizione umana (guerre continue, miseria nera, fame, ecc.); anche
se Romanato avverte che quei missionari eroici erano “il prodotto di
un incontro fra civili e primitivi che avvenne senza mediazioni,
senza preparazione, senza supporti culturali che potessero colmare un
divario di millenni”.


Ecco il “divario di millenni” di cui non teniamo conto. È menzognero
quel che si legge in un volume stampato da una editrice
cattolica: “Alcuni secoli fa i popoli dell’Africa e dell’Europa erano
più o meno allo stesso stadio di sviluppo. Quando i primi esploratori
sono giunti in Africa, hanno trovato grandi regni e civiltà molto
evolute… Poi l’Europa ha colonizzato l’Africa e si è sviluppata con
le materie prime e il lavoro degli africani, che sono rimasti
bloccati nel loro cammino verso lo sviluppo”.


Mi fa pena pensare che in Italia non pochi missionari, riviste ed
organismi missionari, diffondono bugie sui popoli poveri, pur con la
buona intenzione di aiutarli nel loro cammino verso lo sviluppo. “La
verità è rivoluzionaria”, diceva Lenin: non si possono aiutare i
popoli poveri raccontando bugie! Tanto più che questa visione
ideologica della realtà storica crea nei poveri, soprattutto negli
intellettuali dei Paesi poveri, frustrazione, rabbia, impotenza,
rivolta, sentimenti negativi per lo sviluppo dei loro popoli. Li
educa certamente a protestare, denunziare, proclamare la lotta di
classe fra poveri e ricchi, ma non ad un impegno personale costante,
sacrificato, rivolto anzitutto all’educazione dei loro popoli, come
sarebbe necessario.