Liberare l’amore. La comune idolatria, l’angoscia in agguato, la salvezza cristi

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\"\"don Ugo Borghello, Liberare l\’amore. La comune idolatria, l\’angoscia in agguato, la salvezza cristiana. Pp. 456. Codice ISBN: 88-8155-148-9. Ed Ares, Milano 1997, 1998, 1999, 2009. € 21.00

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Un libro che ha scosso profondamente i lettori attenti che hanno superato le prime 50 pagine necessariamente farraginose. Lettori scossi, ma ben contenti di poter guardare meglio nelle profondità del proprio cuore, nella profondità dei rapporti umani, nel bisogno di amore, nell’inganno del peccato e nel come Gesù ci dà il suo cielo trinitario.
Un libro che si addentra nella spiegazione delle parole di Gesù: “Lo Spirito Santo convincerà il mondo in quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio”. In genere si sorvola, perché criptiche e poco attraenti, eppure solo con queste parole Gesù ci dice come lo Spirito Santo ci rende coscienti dell’essere cristiani, dell’essere salvati. Prima dice che ci manderà lo Spirito di verità, ma non specifica cosa sia questa verità; dice che ci manda lo Spirito consolatore, ma non ci dice come ci consola. Solo con quel triplice convincimento ci dà il contenuto di tutta la novità cristiana, soprannaturale, rispetto a tutte le religioni e ideologie del mondo.

C’è un peccato (al singolare) di cui solo lo Spirito Santo può convincerci. Dei peccati al plurale, contro i dieci comandamenti, basta la coscienza a convincerci: tutti sanno che mentire non è bello, che rubare va contro gli altri, ecc. Convinti di peccato vuol dire entrare nella profondità dell’inganno di noi uomini che non possiamo vivere senza amore (come diceva stupendamente Giovanni Paolo II nella sua prima Enciclica) e proprio nell’amore ci inganniamo fino a soffrire in famiglia, dividersi, giudicare, lottare sempre per il potere (anche tra marito e moglie e tra figli e genitori), dipendere dal successo e abbattersi per l’insuccesso, accusare, far guerra, ecc. Ma più ancora per dividerci nel nostro cuore, con le sue paure, scoraggiamenti, presunzioni, vanità, suscettibilità; capaci di esaltarci nel successo e di abbatterci fino alla depressione e al suicidio nell’insuccesso. Il sottotitolo dice: “La comune idolatria, l’angoscia in agguato, la salvezza cristiana”. Non si tratta di essere angosciati, ma certamente siamo sempre esposti all’angoscia: basta che venga meno il consenso del nostro entourage, della nostra “chiesa” o gruppo o partito, o setta o branco, o tribù o clan, che si entra in angoscia.
Questo tema dell’amore incatenato viene esaminato dal libro nella psicologia personale, nella sociologia e in tutte le relazioni umane, nella filosofia che mai ha scoperto l’importanza dell’amore, nella teologia, nella Chiesa stessa. Il libro è particolarmente illuminante sugli inganni all’interno della vita cristiana, mettendo in luce le sottili idolatrie che provengono dal cuore peccatore anche nel promuovere il bene, sia esso il bene materiale delle opere sociali, il bene della responsabilità della conduzione della Chiesa o il bene della Chiesa perseguito da innovatori che vogliono riformarla.
 
C’è una giustizia di cui solo lo Spirito Santo può convincerci e che pertanto non è la nostra giustizia, di cui tutti siamo convintissimi: basta subire una piccolissima ingiustizia che tutti devono sapere del torto che ci hanno fatto: “non è giusto!” siamo pronti ad esclamare. La nuova giustizia è l’entrata nel nuovo Regno con le sue leggi di misericordia, nella nuova Alleanza, che Gesù ci guadagna rinunciando al riscatto dall’ignominia della Croce. Morire in croce, per gli ebrei, era chiara espressione di scomunica divina, con conseguente fallimento totale presso il suo popolo. Se scendeva dalla croce, come gli dicono i capi, lo avrebbero seguito subito e tutti come Messia. Meglio ancora se risuscitava. Ma avrebbe dovuto andare in piazza a farsi vedere dal popolo e dal Sinedrio. Invece va in cielo. Gesù infatti spiega che lo Spirito ci convincerà di giustizia dicendo “perché vado al Padre e non mi vedrete più”, che indica proprio la rinuncia al riscatto umano e al potere umano che la risurrezione gli avrebbe dato senza più alcun ostacolo da parte del Sinedrio.
La nuova giustizia ha poco a che fare con la giustizia, se non che risponde alle leggi del nuovo Regno: leggi della misericordia divina, che dà all’uomo non quello che è dell’uomo (giustizia vuol dire “dare a ciascuno il suo”), ma quello che è di Dio, della Trinità. Lo Spirito, convincendoci di giustizia ci fa figli di Dio, partecipi della comunione trinitaria, del nuovo Regno.
Se abbiamo capito il peccato al singolare, che si annida proprio all’interno nei nostri regni, capiremo come Gesù ci salva dalle nostre immani sofferenze innalzandoci ad un amore nuovo, inaudito anche per il cuore umano nato dall’amore di Dio.
 
Ma non si può capire peccato e giustizia se, insieme, non si è “convinti di giudizio”, con la spiegazione che dà Gesù: “perché il principe di questo mondo è già stato giudicato”. Il demonio divide e accusa, giudicando le persone secondo le loro opere. Questo giudizio, sostenuto dal “peccato”, dal bisogno di garantire il proprio potere all’interno della propria “casa” che porta ad un confronto costante, alla paura di sbagliare e di essere biasimati da quelli della propria “casa”, e pertanto al costante tentativo di abbassare il successo degli altri (anche familiari stretti, eccetto in parte i figli che sono misura stessa dei genitori) giudicandoli per ogni imperfezione, porta a paura e divisioni, nervosismi e liti, accuse e difese, anche nelle migliori famiglie, tra coniugi e parenti, anche in Chiesa, dove ogni comunità conosce spesso conflittualità.
Portato ultimo del cristianesimo è sanare il cuore da ogni paura, da ogni divisione, da ogni sospetto, da ogni accusa, da ogni confronto. Vero Paradiso sulla terra (salvezza vuol dire cielo; non basta pensare alla salvezza come scampare all’inferno o ai mali, occorre vederne il dono positivo di amore, offerto gratuitamente da Dio a coloro che si impegnano col comandamento nuovo a diffondere tale amore e salvezza nei rapporti umani). Il comandamento nuovo riassume tutta la morale cristiana, tutto l’impegno che Dio chiede all’uomo in cambio dell’immensità dei suoi doni gratuiti. In realtà è esso stesso un dono gratuito di carità, perché nessuno di noi può amare “come” Gesù, essendo noi sempre peccatori, anche quando ci riempiamo di opere buone verso il prossimo. Non basta operare il bene, occorre togliere ogni distanza dei cuori, abitare il cuore dell’altro, e cioè amarlo in modo che l’altro se ne accorga: “da questo riconosceranno che siete miei discepoli”. Di quest’amore ce n’è molto poco nonostante duemila anni di cristianesimo. L’inganno viene dal fatto che se c’è carità ci sono anche opere di carità, necessariamente, ma non è vero il contrario: se ci sono opere di misericordia non è detto che ci sia vera misericordia, cuori capaci di amare veramente. In questa distinzione entra il convincimento di giudizio che indica la vittoria sul peccato operata dalla nuova giustizia.
Come si vede i tre convincimenti operano insieme ed è di fondamentale importanza capirlo.
Il libro cerca di far penetrare nel cuore della Redenzione, spiegando ampiamente la luce e l’efficacia dei tre convincimenti. Occorre dire che difficilmente si trova qualche spiegazione passabile di questi tre convincimenti. Si studiano a fondo i sette doni (che vengono da Isaia); molto meno, ma perlomeno sono citati in qualche catechismo, i nove frutti (che pur sono quei frutti con cui si può giudicare la bontà dell’albero, e si rifanno senz’altro al “convincimento di giudizio”). I frutti sono elencati da san Paolo nella Lettera ai Galati. Ma dei tre convincimenti non vi è traccia su nessun catechismo, eppure sono indicati proprio da Gesù.
Nell’orbita dei tre convincimenti si muove in modo particolare la Lettera ai Romani, che lascia un po’ troppo sottoesposto il terzo convincimento. E’ chiaro nella lettera il grande dovere di amarci, cui è dedicato tutto il capitolo 12, ma può rimanere in ombra la necessità di verificare proprio con il terzo convincimento l’efficacia dei primi due. Del resto Lutero ha colto nella Lettera ai Romani i primi due convincimenti; tutta la sua ribellione è nata proprio dall’aver colto la nuova giustizia e in conseguenza o in controluce il convincimento di peccato. Ma il non aver colto bene il terzo convincimento e il suo intreccio essenziale con gli altri due lo ha portato a non capire la Chiesa e il giusto valore delle opere come frutto della carità donata gratuitamente.
 
Il libro è molto coinvolgente, perché entra nel vissuto quotidiano dei nostri rapporti umani, nelle nostre vere o false sicurezze e nelle profonde insicurezze. Diventa sommamente illuminante quando è stato letto prima da qualcuno che poi ha subito profonde incomprensioni (che naturalmente non si augurano a nessuno, ma che sono ormai assai frequenti in famiglia e sul lavoro) e ha avuto modo di rileggerlo. Nonostante sia difficile che succeda una cosa simile, è stata segnalata da parecchi lettori, diventati entusiasti del libro per l’enorme consolazione spirituale che ne hanno avuto. Il libro infatti, pur essendo di quei libri di cui dice Kierkegaard che ci vogliono per provocare un terremoto nell’animo del lettore, è altamente consolante in quanto riesce a trasformare le incertezze della vita in veicolo per una nuova consapevolezza del dono della fede e della salvezza cristiana. Come diceva Heiddeger, “il mondo perisce per la mediocrità spirituale. Solo l’angoscia può salvare qualcuno”. Ma non basta l’angoscia, occorre che sia attraversata dalla luce dei convincimenti dello Spirito Santo.