La vera storia del Mussa dagh

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Flavia Amabile – Marco Tosatti, La vera storia del Mussa dagh – Presentazione di Vittorio Messori – Ed. Angelo Guerini e associati spa, V.le Filippetti 28, 20122 Milano – www.guerini.it – 2003 pp. 158, E 14,00.

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Pochi, davvero molto pochi, sono in Europa coloro che hanno anche soltanto sentito parlare del genocidio degli armeni (circa 1.500.000 morti) perpetrato durante gli anni della prima guerra mondiale ad opera dei c.d. Giovani Turchi, poco dopo che si erano impadroniti del potere in quella nazione. Anche se il motivo preponderante dello sterminio fu di natura etnica e nazionalista (i Turchi, alleati degli imperi centrali, vedevano infatti negli Armeni una sorta di quinta colonna dell’impero degli zar contro cui combattevano), cionondimeno, quasi tutti gli armeni che si convertirono all’islam, ebbero la vita salva. Del resto, per operare quella carneficina, il nazionalismo turco poté far leva sull’odio religioso dei musulmani contro i cristiani. Per rendersi conto della reale portata degli avvenimenti, basti pensare ad esempio che gli omicidi di massa avvenivano spesso legando tra di loro gruppi di persone che poi venivano precipitate in dirupi: un po’ come nelle foibe istriane. 
L’alternativa al massacro fu per molti la deportazione nel deserto siriano (dove in molti trovarono la morte) quando non la schiavitù e, per le donne, anche qualcos’altro.
Negli anni successivi, il governo turco cercò di minimizzare l’entità dell’accaduto e di disperderne le tracce il che fece sì di queste tragica storia, abbiano finito per parlare in pochi. A parte la letteratura di nicchia, un’eco dello sterminio, la si può trovare nel bel libro di W. Saroyan: Che ve ne sembra dell’America (oggi ed. Mondatori 1998), serie di racconti degli anni ’30 sulle vicende di emigrati armeni negli Stati uniti. In Italia, di recente, è uscito un altro bel romanzo, pure di un’armena, A. Arslan: La masseria delle allodole (ed. Rizzoli 2004). Del genocidio ha infine anche parlato, con intenti di seria ricostruzione storica, la rivista dei Gesuiti italiani, Civiltà cattolica, in un documentato editoriale comparso nel fasc. 3638 del 19.1.2002 (p.107-118).
Il libro che, però, negli anni, più è stato ristampato, è il romanzo dell’austriaco Franz Werfel, I 40 giorni del Mussa Dagh (ed. Corbaccio, 2003) scritto nella prima metà del ‘900. In esso si racconta, non senza molto trasfigurarla, una vicenda reale: si tratta della storia degli abitanti armeni di alcuni villaggi posti sulle pendici del Mussa Dagh, una montagna che si affaccia sul mare sulla sponda orientale del Mediterraneo in quella che, all’epoca, era Turchia ed oggi è Siria, non lontano da Antiochia dove i cristiani furono così chiamati per la prima volta.
Messi di fronte alla prospettiva della deportazione (e della pressoché certa morte) nel deserto, in circa 5000 preferirono asserragliarsi sull’impervia montagna che però ben conoscevano. Lì rimasero per circa un mese e mezzo sempre più stretti dagli assalti dell’esercito Turco, privi di mezzi di sussistenza. Per mero caso, prossimi alla fine, furono avvistati da una nave francese che incrociava al largo. In pochi giorni, con l’aiuto anche di altre navi, furono trasbordati a Porto Said in Egitto dove iniziarono per loro anni non meno difficili; comunque, ebbero salva la vita.
Il libro di Flavia Amabile e Marco Tosatti -che presentiamo- ha appunto lo scopo di descrivere questa vicenda come effettivamente si svolse: ciò che, beninteso, non sminuisce affatto l’eroismo dei suoi protagonisti.
La narrazione scorre fluida grazie anche alla frequente trasposizione di cronache d’epoca rinvenute con non poca difficoltà dagli autori.
Da segnalare, gli ultimi tre capitoli nei quali gli autori indugiano in piccoli ma graziosi quadretti di vita armena che –non meno degli episodi di guerra- avvicina il lettore alla vita quotidiana di un piccolo popolo, carico però della fierezza di una grande storia: consistita cioè nell’aver resistito per secoli – da cristiani- nelle terre islamizzate del Medio oriente.
La lettura –e la diffusione- del libro si raccomanda dunque per contribuire a sollevare la cortina di silenzio che ha avvolto uno dei non secondari episodi di quel secolo (il XX) in cui si è avuto il maggior numero di martiri della storia del cristianesimo.
Andrea Gasperini