La terapia riparativa dell’omosessualità

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La terapia riparativa dell’omosessualità
Colloquio con Gerard J. M. van den Aardweg

in Studi Cattolici 535 Settembre 2005, pp. 616 – 622
http://www.ares.mi.it/riviste_det.php?id=18

Nel n. 71, datato maggio 2005, la rivista gay Pride ha pubblicato un lungo articolo con il quale attaccava la terapia riparativa dell’omosessualità come antiscientifica e dannosa; l’articolo era immediatamente ripreso da la Repubblica, a firma di Natalia Aspesi (3 maggio). In seguito ai due articoli su Pride e la Repubblica, l’onorevole Franco Grillini, presidente onorario dell’Arcigay, ha presentato un’interrogazione parlamentare per bloccare, tramite gli ordini professionali, la terapia riparativa. Il dott. J.M. van den Aardweg (foto), che per le Edizioni Ares ha pubblicato il saggio Omosessualità & speranza, ha cortesemente accettato di rispondere ad alcune domande sulla scientificità della terapia riparativa (o terapia dell’omosessualità) e sulla posizione dell’American Psychiatric Association, citata dall’onorevole Grillini.
La rivista gay Pride asserisce che l’associazione americana di psicologi APA dal 1973 non diagnostica più l’omosessualità come una malattia, e che anzi ne condanna la terapia “riparativa” in quanto sarebbe antiscientifica e pericolosa. È all’incirca quello che afferma l’Onorevole Grillini, Presidente Onorario dell’Arcigay, in un’interpellanza al Ministro della Sanità, intesa a che l’Ordine dei Medici e l’Ordine Nazionale degli Psicologi proibiscano ai loro membri di trattare l’omosessualità, perché ciò sarebbe antiscientifico e comporterebbe, inoltre, discriminazione di un cosiddetto “orientamento sessuale”.

Ho letto con attenzione gli articoli di Pride e de la Repubblica, e l’interpellanza dell’Onorevole Grillini. Tanto per cominciare, l’APA in questione è quella degli psichiatri, non quella degli psicologi. Pride e Grillini cercano di spacciare la dichiarazione dell’APA del 2000 come l’oracolo intangibile della scienza; ma che cos’è, veramente, l’APA? L’associazione che, nel 1973, senza la minima motivazione scientifica, si è arresa all’assalto di un’aggressiva lobby gay, sostituendo la descrizione classica, scientificamente fondata, di omosessualità come “disturbo” con quella di “condizione”. E questo nonostante che la schiacciante maggioranza degli psichiatri americani pensasse il contrario. Nel corso degli anni successivi questa associazione ha concretato sempre di più questo termine, di “condizione”, che di per sé non significa nulla, dandogli un contenuto sempre più conforme all’ideologia gay, facendone una situazione “normale”. Ci pensi un po’ su: un’associazione di psichiatri proclama che una “condizione” come l’omosessualità maschile, che comporta per una quantità enorme di omosessuali praticanti una promiscuità sfrenata (centinaia di partner nel corso di una vita!), sarebbe normale e naturale! E negli ultimi anni tende addirittura a proclamare la normalità della pedofilia, e magari anche quella di disturbi come il sadomasochismo. Che razza di associazione è questa? Chiaramente una suddita del movimento gay, che intende realizzare riforme radicali della società; un’associazione che si comporta così è ormai un gruppo di interesse politico, non è più un’associazione di scienziati e professionisti indipendenti. Di fatto, la situazione presenta analogie con quella della Germania degli anni Trenta del secolo scorso, quando praticamente tutte le organizzazioni mediche e scientifiche abbracciavano ufficialmente le teorie razziste; il che, naturalmente, di scientifico non aveva niente, ma era solo espressione della più miserabile vigliaccheria e correttezza politica. Che questa APA, o meglio il gruppo dei gay che ne fanno parte, e che vi detta legge in fatto di omosessualità, presuma di dare lezioni su ciò che è o non è scientifico, è il colmo dell’arroganza! È chiaro che per loro è scientifico solo ciò che si aggiusta alla loro ideologia.

Corresponsabilità dell’APA
Quali sono le manipolazioni contenute negli articoli e nell’interpellanza?

L’APA non ha “proibito” niente, e d’altra parte non ha nemmeno il potere di farlo, ma non fa altro che “raccomandare” di astenersi “per il momento” da “tentativi di cambiare l’orientamento sessuale di individui”. Motiva la raccomandazione con due ragioni: “… non esistono ancora studi rigorosamente scientifici che consentano di stabilire se i trattamenti ‘riparativi’ siano benefici o dannosi”. Vale a dire che non sapremmo ancora niente sui risultati di terapie “riparative”, e queste potrebbero presentare rischi per il cliente o paziente. L’APA asserisce che i resoconti disponibili di risultati del trattamento avrebbero carattere “aneddotico”, mentre non mancherebbero indizi di conseguenze sfavorevoli. Ma attenzione alla furbata! In realtà, di resoconti su risultati del trattamento ce ne sono, e versano su un numero molto ampio di casi, mentre è proprio su effetti sfavorevoli – psichici o di altro tipo – della terapia che non abbiamo nemmeno l’ombra di un resoconto! Soltanto affermazioni e allarmi infondati… emanati proprio da fonti gay. Insomma, qui si pretende di mettere sullo stesso livello affermazioni infondate e resoconti scientifici di ricerca. Consideri anche la sfacciataggine dell’APA: insinua che chi cerca di aiutare le persone a controllare o a superare le loro tendenze omosessuali esercita un influsso dannoso. E loro stessi, che fanno? Sconsigliano la terapia e, propugnando da anni la normalità del comportamento omosessuale, legittimano l’ondata di promiscuità omosessuale che si diffonde in tutto il mondo, provocando un danno enorme alla salute mentale e fisica degli omosessuali da loro fuorviati, che incorrono in malattie veneree, assuefazioni, AIDS, suicidi e via dicendo. Sull’APA pesa dal 1973 un’enorme corresponsabilità in tutto questo. Una responsabilità che ricade anche sulle organizzazioni gay, sull’Arcigay in Italia e sull’Onorevole Grillini. È ridicola la presunzione con cui si azzardano a denunciare come dannosi trattamenti e altre forme di orientamento, che invece sono intesi proprio a mitigare il danno che loro hanno contribuito ad arrecare, con il loro proselitismo gay. L’APA, comunque, non ha affermato, ma solo insinuato, che la terapia possa presentare problemi.
L’APA non afferma nemmeno che le “terapie riparative” (che io preferisco chiamare semplicemente “terapie”) siano di per sé antiscientifiche. Al contrario, l’APA “incoraggia e appoggia la ricerca … per confrontare meglio i rischi della … terapia con i risultati positivi”. Se una terapia fosse “antiscientifica”, nessuno si prenderebbe la briga di farci ricerche. Lascio per il momento da parte la questione di che intendano dire con terapia “antiscientifica”. Se prende, però, il testo dell’APA alla lettera, la conclusione logica è che, per saperne di più, quello che ci vuole è proprio fare molta più terapia. D’altra parte in tutto il mondo si fa ancora troppo poco in fatto di terapia o di orientamento, e il clima suscitato dal movimento gay e da suoi “compagni di strada” come l’APA non è sicuramente favorevole ad un trattamento sistematico dell’omosessualità. Per questo, le parole con cui l’APA dice di “incoraggiare ed appoggiare” la ricerca sulla terapia puzzano di ipocrisia. Di una cosa possiamo essere sicuri: nessuna ricerca o resoconto di trattamento, passato al vaglio dei pregiudizi dell’APA, ne uscirà con il marchio di “rigorosamente scientifico”. L’ideologia gay detta il dogma che lo “orientamento” omosessuale è naturale e sano; il corollario è che qualsiasi cambiamento è impossibile e “contro natura”.

Allora non ha ragione l’APA, quando afferma che non esistono “studi scientifici rigorosi sui risultati”?

Dipende da che cosa si intende per “rigoroso” e “scientifico”. Se lo si intende pensando alle scienze naturali, nessuno studio di cui disponiamo soddisfa ai requisiti: non esistono, per esempio, strumenti obiettivi e di uso sicuro per “misurare” l’omosessualità. Lascio qui da parte il metodo fisiologico proposto da alcuni, che peraltro non è esente da complicazioni. Non si può fare una campionatura rappresentativa; e, soprattutto, una ricerca che coinvolga i diversi metodi di trattamento che si praticano, richiederebbe una quantità enorme di ricercatori, tempo e denaro, oltre ad un buon numero di terapeuti che (almeno per il momento) non abbiamo. Non si può contare sull’apparizione a breve termine di studi del genere; ci dobbiamo accontentare di quello che in pratica possiamo conseguire. Se siamo realisti e onesti, però, vedremo che non è di questo che, adesso, abbiamo più bisogno. Di fatto, l’argomento dell’assenza di “studi scientifici” è una manovra intesa a scoraggiare la terapia. Per giunta è un argomento sbagliato. Il fatto che non sia possibile realizzare studi di rigore sugli effetti della terapia del tipo di quello delle scienze naturali, non significa che i resoconti presenti nella bibliografia specializzata siano antiscientifici. “Scientifico” significa il più possibile aperto alla realtà, utilizzando i metodi di cui si dispone nelle circostanze concrete. Prima che si costruissero i moderni telescopi, le osservazioni astronomiche avevano una portata minore, ma questo non vuol dire che con telescopi più rudimentali non si fosse in grado di studiare in certa misura la realtà. Se l’APA imponesse gli stessi requisiti “rigorosamente scientifici” agli studi sui risultati di tutte le psicoterapie di nevrosi, depressioni, psicosi, disturbi emotivi o del comportamento, oppure a qualsiasi metodo farmacologico, si dovrebbe porre fine a tutte le forme di trattamento. Di studi del genere, infatti, non se ne trovano in nessun campo della psicoterapia e della psichiatria. A questo punto l’APA farebbe meglio a consigliare ai suoi membri di cambiare mestiere. Ce ne sono, invece, di studi scientificamente accettabili sugli effetti: studi che non sono più imperfetti della stragrande maggioranza di quelli sugli effetti dei trattamenti nel campo della psicologia, della psichiatria e della medicina. Antiscientifico, anzi, è proprio l’atteggiamento di chi le terapie le sconsiglia. Sarebbe la fine del progresso scientifico, dato che quasi tutte le conoscenze e le ipotesi attendibili sull’omosessualità di cui disponiamo derivano proprio dalla pratica psicoterapeutica.

Una nevrosi sessuale
Dobbiamo concludere che quegli studi scientificamente accettabili l’APA non li conosceva?

Nella loro dichiarazione del 2000 riportano in bibliografia soltanto una o due pubblicazioni con dati pertinenti a risultati terapeutici, basati su gruppi abbastanza ampi. Poi, però, non ne tengono conto. Per il resto la loro bibliografia contiene resoconti personali – questi sì “aneddotici”! – di persone che hanno fatto qualche tentativo per cambiare, ma poi hanno rinunciato; ed è proprio a questi che il documento dell’APA presta la maggiore attenzione. È un atteggiamento parziale, ad uso dell’ideologia gay.

Può raccontare qualcosa di concreto sulle conclusioni di studi sui risultati? Che percentuali abbiamo di cambiamento?

Lei parla opportunamente di “cambiamento”; preferisco questo termine a “guarigione”, perché parole come “guarire” e “malattia” suscitano spesso l’impressione che le persone con sentimenti omosessuali siano fisicamente malate; il che non è vero.

Ciò non toglie che alcuni di loro presentino seri disturbi mentali, o abbiano sviluppato un comportamento omosessuale di proporzioni tali che non sarebbe tanto sbagliato chiamarli “malati”. Se parliamo di cambiamento, dobbiamo tenere d’occhio, naturalmente, il comportamento sessuale e le fantasie sessuali, ma senza dimenticare quei sentimenti e caratteristiche di personalità nevrotici che a tali comportamenti e fantasie sono collegati. I desideri omosessuali non sono impulsi isolati, ma sorgono da un complesso di inferiorità rispetto al proprio essere-uomo o essere-donna. L’omosessualità è una nevrosi sessuale. Suoi caratteri frequenti sono una puerilità emotiva, per esempio nelle relazioni interpersonali, o nei confronti dei genitori, una certa inconscia drammatizzazione di sé stessi, egocentrismo infantile, sintomi nevrotici e psicosomatici, depressioni. C’è molto di più che la semplice attrazione erotica per il proprio sesso. Un autentico cambiamento si deve riflettere anche in una più forte identificazione con la propria virilità o femminilità, cioè nel ristabilimento della fiducia in sé stessi come uomo o come donna, in una vita emotiva più stabile ed adulta, con una riduzione dell’egocentrismo infantile e della tendenza ad autocommiserarsi. Se l’interessato non si libera in misura sufficiente dal suo complesso di inferiorità e dalla sua emotività nevrotica, non cambierà gran che nei suoi sentimenti sessuali.
Premesso questo, farò menzione di alcune percentuali ricavate da due studi su risultati. In primo luogo i risultati che io stesso ho raccolto, intervistando 100 clienti trattati da me, alcuni anni dopo che avevano seguito un trattamento di una certa durata; sono dati che ho pubblicato già nel 1986. Parlo, quindi, in base alla mia esperienza, e parlo di persone che ho conosciuto bene. Tra quelli che non avevano smesso dopo pochi mesi di seguire il metodo, il 19% ha registrato un “cambiamento radicale” di sentimenti sessuali: con interessi eterosessuali dominanti e al massimo pochi impulsi o associazioni di idee omosessuali sporadici, leggeri e transitori. Alcuni di loro non avevano più provato sentimenti omosessuali negli ultimi due anni. Ho avuto notizie di alcuni che appartengono a questo 19%, e posso dire che, a vent’anni di distanza, la loro situazione è rimasta costante. Il 46% aveva fantasie e comportamenti prevalentemente eterosessuali, ma sperimentava ancora saltuariamente sentimenti chiaramente omosessuali. Il 19% constatava un più leggero “miglioramento”, mentre per un 16% la situazione emotiva era “immutata”. Il miglioramento dei caratteri comportamentali ed emotivi nevrotici procedeva più o meno di pari passo con il cambiamento sessuale. Con il diminuire della nevrosi, infatti, la persona è più libera e allegra. Questi cambiamenti si verificavano di regola, gradualmente, dopo un certo periodo di autotrattamento. Magari qualcuno potrà considerare deludenti questi risultati. Ma una deformazione nevrotica della personalità non è un fatto superficiale. Da nessun trattamento delle nevrosi possiamo aspettarci risultati facili o rapidi; lo stesso vale per i risultati dei trattamenti di fobie, depressioni, o altre nevrosi sessuali. Voglio aggiungere che per molti omosessuali, anche se non sono tra quelli che registrano un cambiamento “radicale”, si può già parlare di un miglioramento notevole se solo hanno abbandonato la loro dipendenza dal sesso. Per arrivare a questa prima meta nel cambiamento o nella guarigione ci è voluta, spesso, un’autentica lotta.
Come secondo studio non posso fare a meno di menzionare quello, famoso e violentemente attaccato dall’establishment gay, del Prof. Spitzer, del 2003. In base ai suoi criteri più restrittivi, l’11% degli uomini omosessuali e il 37% delle donne omosessuali esaminati era cambiato completamente sul piano sessuale, e, secondo i suoi criteri meno restrittivi, le percentuali erano rispettivamente del 29% e del 63%. Com’è noto, proprio Spitzer ha avuto, nel 1973, un ruolo di protagonista nel cambiamento di definizione operato dall’APA. Adesso, invece, sostiene che bisogna ammettere la possibilità del cambiamento. Com’era prevedibile, l’establishment gay l’ha presa molto male!
A ben vedere, i suoi risultati non differiscono molto dai miei. Spitzer ha notato, inoltre, un fenomeno interessante: la maggior parte dei cambiamenti più notevoli si manifestavano nelle persone con una profonda motivazione religiosa, sorta, in certi casi, da una conversione. È un dato di fatto sicuro; e si trattava di conversione definitiva, dei cui benefici aveva risentito tutta la persona, non di un entusiasmo religioso passeggero. Un’altra conclusione di Spitzer è stata il non aver trovato il minimo indizio di danni psichici causati da trattamenti e metodi di orientamento. Quest’accusa, infatti, è pura fantasia. È frutto del tipico vittimismo gay, con il suo procedimento di autodrammatizzazione: dicono che la terapia è una “mutilazione spirituale”, e altre cose del genere, e che per questo va proibita! Purtroppo questo procedimento ha una gran efficacia propagandistica.

La sofferenza degli omosessuali non è conseguenza della discriminazione sociale?

È quello che gli ideologi gay non fanno che ripetere, ma è un’assurdità. In Paesi come l’Olanda e la Germania, dove ormai, da anni, possono vivere come vogliono, gli omosessuali non hanno smesso di manifestare sintomi psicopatologici di ogni genere, come risulta anche da una ricerca piuttosto recente dell’Università di Utrecht (Olanda). Chi esamina l’interiorità e i precedenti di queste persone non ha dubbi sul fatto che le cause della nevrosi risiedono nel fondo della loro personalità, non nel mondo esterno.

Ci sono ricadute?

Sicuro! A volte di breve, a volte di lunga durata. Ecco perché non mi pare bene che persone che hanno beneficiato da poco di un cambiamento si mettano subito ad aiutare altre persone afflitte da problemi di omosessualità; come si fa – certamente con le migliori intenzioni – in certi ambienti di ex-gay cristiani. Tutti i cambiamenti nelle strutture emotive e comportamentali procedono per alti e bassi. Per questo i gay hanno buon gioco a citare casi di ricaduta per dimostrare che “il cambiamento è impossibile”. Chi dà rilievo a questi casi, senza tenere conto di quello che ci insegnano i resoconti e le autobiografie di persone che hanno conosciuto un cambiamento radicale, è che non si vuol togliere i paraocchi.

Come viene seguita la raccomandazione dell’APA del 2000, che sconsiglia la terapia?

Gli psicologi che l’omosessualità la trattano fanno spallucce: vedono chiaramente che qui la posizione dell’APA non è scientifica, ma politica. Tanto più che negli ultimi anni si comincia a sentire anche altra musica. Poco fa l’ex Presidente dell’APA degli psicologi (American Psychological Association), ha espresso la sua convinzione che agli omosessuali deve essere riconosciuta la libertà di accedere alla terapia. Pure l’American Counselling Association (per psicologi che praticano l’orientamento) si è fatta sostenitrice del principio che alle persone con tendenze omosessuali va lasciata la libertà di scegliere se farsi trattare o no. Tali prese di posizione sarebbero impensabili, se l’esperienza insegnasse che tali trattamenti sono dannosi. Articoli in cui si fanno presenti risultati positivi di trattamenti sono già apparsi in riviste specializzate di psicologia (p.e. in un numero di Professional Psychology: Research and Practice, 2002).

Che pensa dell’affermazione secondo la quale i trattamenti dell’omosessualità sarebbero una forma di discriminazione?

L’ideologia gay non fa che capovolgere la realtà. Non sono i terapeuti a discriminare, ma proprio questi omosessuali accecati. Moltissime persone con tendenze omosessuali, che non hanno intenzione di aderire al movimento gay e alle sue follie, non hanno a chi affidarsi per affrontare i loro problemi. Molti vorrebbero cambiare, ma non sanno come fare. Lo insegna l’esperienza: ogni volta che si rende noto al pubblico il nome di un terapeuta che tratta l’omosessualità, questo si vede sommerso da una valanga di richieste di orientamento e aiuto. Queste persone, che o non hanno simpatia per l’ideologia e lo stile di vita gay, o ne sono rimaste deluse, vengono zittite dall’establishment gay, vengono schernite se esprimono i loro desideri, e messe alla gogna se, poi, si azzardano a rendere nota la storia del loro cambiamento. Proprio perché l’offerta di aiuto costruttivo da parte della psichiatria e della psicologia è scarsa o nulla, è sorto – come una necessità – il movimento degli ex-gay. «Se tutto quello che ci sanno dire è che dobbiamo metterci a vivere da omosessuali, dobbiamo cercare di risolvere il problema da soli». È evidente che, chi più chi meno, i gruppi di auto-aiuto hanno un che di dilettantistico, ma in generale il movimento ex-gay è un fenomeno molto positivo, che dà speranza. Una spina nel fianco per il movimento gay, ma un grande sostegno per le persone coinvolte da questa problematica. Presenta molte analogie con l’AA, l’associazione degli alcolisti anonimi.

La dimensione morale della psiche

Quasi tutte le organizzazioni ex-gay hanno un fondamento cristiano. Secondo il movimento gay, esse insegnano alle persone a reprimere i propri sentimenti sovrapponendovi le norme morali cristiane.

Anche qui devo osservare che i gay capovolgono la realtà. Proprio loro insegnano a reprimere: a reprimere gli aspetti sani e normali che sono sempre presenti in persone con sentimenti omosessuali, come, per esempio, sentimenti eterosessuali che spesso si manifestano in forma attenuata, e a reprimere, in ogni caso, il buon senso, e la voce della coscienza. D’altra parte, alcuni gruppi di ex-gay o loro capi peccano, a mio avviso, di eccessivo carismatismo, e dovrebbero essere più realistici, perché, in fin dei conti, il processo di cambiamento è in gran parte un training da affrontare realisticamente, giorno per giorno; lo stesso vale, d’altra parte, per qualsiasi vittoria su deviazioni evolutive e nevrosi. Questo non basta, però, per affermare che tutto quello che fanno questi gruppi, ciascuno con il suo stile, sia inutile. Ci sono, peraltro, altri gruppi, nei confronti dei quali questa mia critica non è pertinente, o lo è di meno. Anche loro si servono delle conoscenze psicologiche sviluppate e approfondite negli ultimi decenni, proprio – si noti! – nel periodo in cui l’ambiente ufficiale si è reso sempre più repressivo nei confronti dei tentativi di cambiamento.
Tanto più che una profonda fede personale è già un fattore che dà orientamento alla vita interiore, aiuta a risanare i propri sentimenti e conferisce speranza, allegria e pace; tutte cose che spesso rendono molto più efficaci gli sforzi di autotrattamento. Questo spiega perché Spitzer ha potuto osservare che il fattore “religione” ha in sé evidenti virtù terapeutiche. Noti che Spitzer non è credente: è un ebreo libero pensatore ed ateo. Ma è un fatto che la psiche ha una dimensione spirituale e morale, che non può essere trascurata da una psicoterapia che voglia andare a fondo: si tratti di deviazioni sessuali, nevrosi, delinquenza o addirittura psicosi. L’odio nutrito dai gay ideologizzati contro l’autentico spirito cristiano è, in fin dei conti, un’avversione alla coscienza; nel fondo del loro animo si sentono accusati, perché – lo vogliano o no – la vita da omosessuale è un peso per la loro coscienza. Ecco il perché della veemenza con cui sentono il bisogno di giustificarsi, sia nei confronti del mondo esterno sia nei confronti di loro stessi.
Quanto alla repressione o alla cosiddetta “rimozione” di sentimenti omosessuali, bisogna fare una distinzione. “Rimuovere” significa negare di avere determinati sentimenti o motivazioni; cosa che, naturalmente, non è positiva. Ma imparare a controllare e (come io preferisco dire) contenere coscientemente tendenze e passioni immature, egocentriche e autodistruttive, è indispensabile per raggiungere la salute psichica e l’equilibrio emotivo. Per molti omosessuali il sesso è un’ossessione, e sono totalmente in balìa dei loro impulsi. Soffrono la massima privazione di libertà. È come per l’alcolismo: quanto più si impara a contenere gli impulsi non desiderati, tanto più libertà si conquista. Chi impara a contenersi conquista la vittoria. I cambiamenti comportamentali ed emotivi sono il risultato di un apprendimento. Apprendere qualcosa vuol dire smettere qualcos’altro. Ma anche qui l’obiezione dell’ideologia gay è scontata: figurati! Dire “No” alla propria venerata omosessualità? Non sia mai!

Il movimento gay presenta spesso la terapia come coercizione morale.

Come ho già detto, proprio i gay negano la libertà di scelta a chi non vuole pensare ed agire come loro. È come nel caso dell’aborto. Il movimento abortista nega – nonostante le sue dichiarazioni in contrario – libertà alla donna, con vari mezzi, tra i quali la privazione di informazioni veritiere. Il movimento omosessuale non rispetta il principio della libera scelta: agli enti pubblici della Sanità e ai professionisti abilitati deve essere interdetto, secondo loro, qualsiasi “trattamento” che non sia mirato alla “accettazione”, il che significa perversione in salsa sanitaria o psicologica. È vero che, ogni tanto, si sente dire da omosessuali militanti che loro il principio di libera scelta lo rispettano. Un esempio è Le Vay, il ricercatore che tempo fa riteneva di avere riscontrato nel cervello di alcuni uomini omosessuali una caratteristica distintiva. Quelli che la libertà di scelta in ogni caso la rispettano sono proprio il movimento ex-gay e gli orientatori e terapeuti. Chi tratta l’omosessualità sa che non si ottiene niente se il cliente non si rivolge a lui per sincera convinzione, e che un elemento essenziale di qualsiasi cambiamento decisivo è la libera volontà.

La terapia ha come scopo un cambiamento completo e radicale?

Questo è l’ideale, naturalmente! Ma, in pratica, no. Lo scopo immediato è lo “smontaggio” dell’emotività nevrotica ed omosessuale, con le abitudini annesse e connesse; insegnare al cliente come deve lottare con sé stesso e vivere in maniera più costruttiva. Una persona che sia anche solo “migliorata”, pure nei suoi interessi erotici, ha già conseguito una grande vittoria, perché non è sempre necessario, per parlare di “successo”, che il risultato sia perfetto. L’uno avanza più dell’altro. Bisogna, d’altra parte, tenere conto del fatto che anche il punto di partenza differisce da persona a persona, quanto a intensità della nevrosi o resistenza delle abitudini ad essa connesse, in fatto di comportamento, pensieri e sentimenti. È un po’ come per le affezioni reumatiche. Pure queste si presentano in forme più o meno gravi, ma tutti gli interventi, gli strumenti e le medicine che favoriscono il miglioramento del paziente sono benvenuti. Dire che “se non si può garantire un cambiamento perfetto, la terapia, l’orientamento o la formazione non servono a niente” è da miopi; è un’idiozia che, se consideriamo quant’è forte il bisogno che persone con sentimenti omosessuali hanno di un sano aiuto psichico e morale, e spesso di un duraturo sostegno, dobbiamo rigettare con decisione.

Come gruppo sociale di pressione, l’ideologia gay è potente. Riuscirà ad imporre la propria volontà, e a proibire i trattamenti?

Secondo questa ideologia bisogna arrivare ad una profonda “omosessualizzazione” della società, vale a dire a che si consideri normale il comportamento omosessuale e lo si promuova fin dall’infanzia. Ci sono già riusciti più di quanto la maggior parte della gente trent’anni fa avrebbe potuto immaginare. La maggioranza della popolazione non riesce ancora a comprendere quanto sia pericolosa l’ideologia gay. Molti pensano che, in fondo, non sarà questo gran disastro. È un’ingenuità paragonabile a chi negli anni Trenta del secolo scorso non si preoccupava delle teorie razziste che dominavano in Germania: “prima o poi – si pensava – le cose si sistemeranno”. L’ideologia gay è cieca e tiranna. Per di più viene portata avanti con estrema energia dalla “chiesa” laicista, e viene considerata come un ariete per aprire una breccia nel muro delle norme cosiddette tradizionali in materia di sessualità, di “ruoli” uomo-donna, e soprattutto di matrimonio e famiglia normale. È per questo che l’ideologia gay suona come un primo violino nell’orchestra dell’Organizzazione mondiale della sanità (WHO) e nei diversi organismi dell’ONU e dell’UE. Questo consapevole accoppiamento di controllo demografico e promozione dell’omosessualità nei programmi dell’ONU e dell’UE presenta analogie ed affinità con analoghi programmi ideati dai nazisti. Questi studiavano come ridurre drasticamente la popolazione degli Slavi in Europa orientale, e vedevano nella normalizzazione dell’omosessualità un’arma psicologica atta a scalzare la morale sessuale tradizionale, portando così ad una riduzione delle nascite. Quanto più si normalizza l’omosessualità nella vita pubblica, tanto più si relativizza la morale sessuale. Pertanto, adesso non facciamoci illusioni: non è un fenomeno che sparirà presto da sé, ma una strategia mondiale, ben studiata e abbondantemente finanziata, attuata con forme più o meno sottili di coercizione. Esiste un pericolo reale che questa ideologia, dopo aver seminato incertezza e dubbio tra le masse, le indottrinerà e tirannizzerà sempre di più, a meno che non ci decidiamo a lanciare una reale controffensiva. Per fare questo bisogna abbandonare l’idea falsamente ottimista che il problema si limiti a quella minima percentuale di persone con sentimenti omosessuali, che bisogna lasciare che decidano per conto loro come si devono comportare nelle loro faccende private.

Un’avversione naturale
Riuscirà l’indottrinamento gay a cambiare il pensiero della gente su sessualità normale ed anormale?

È l’utopia che accarezzano i gay e l’élite intellettuale e politica prigioniera della stessa ideologia. Ma si illudono. Penso che vedremo svilupparsi due ordini di fenomeni – sempre che non ci decidiamo a svegliarci e a reagire energicamente. Da una parte l’ideologia gay estenderà e rafforzerà la sua tirannia su tutti i settori della vita sociale. Sarà l’omosessualizzazione della società. Per fare qualche esempio, sarà sempre più limitata la libertà di scrivere e parlare di omosessualità in un certo modo; sarà interdetta qualsiasi ricerca scientifica che non sia stata approvata da una qualche commissione gay; pubblicazioni e film saranno soggetti ad una censura gay; le chiese si guarderanno dal pronunciare parole di “disapprovazione” sul comportamento omosessuale; tutte le professioni e funzioni sociali saranno soggette al rilascio di un certificato di “buona” condotta, vale a dire di condotta pro-gay, o di una dichiarazione di adesione alla “ortodossia” gay; omosessuali praticanti verranno privilegiati in tutte le maniere possibili, molto al di là del livello della “pari opportunità”; sarà obbligatorio fare sì che i bambini già in tenera età abbiano familiarità con il comportamento omosessuale. Tutto ciò sotto il controllo inquisitorio di un’Autorità Giudiziaria “illuminata” e pro-gay. Sono tutte cose che già adesso si verificano: basta avere occhi per vedere. Possiamo stare sicuri che anche la pedofilia, alla fine, sarà “normalizzata” e propagata; in maniera ipocrita, con il bambino “consenziente” – naturalmente dopo che gli sarà stato lavato abbondantemente il cervello. I pedofili sono sempre stati un’ala influente e attiva del movimento gay, e, una volta che l’omosessualità, con la sfrenatezza e la promiscuità che le sono insiti, avrà raggiunto il giusto grado di istituzionalizzazione, non ci sarà più ragione di continuare a praticare la pedofilia in forma “clandestina” e di negarle la “parità di diritti”. Un piano folle? Certo! Ma chi può contare su potere, denaro, coercizione politica, indottrinamento e media servili, può arrivare molto lontano. Questa è una faccia della medaglia.
Dall’altro lato le masse non assimileranno mai completamente la concezione antinaturale che viene loro imposta. Andrà come con il comunismo. Molti, probabilmente i più, presteranno all’innaturale “religione” omosessuale un culto formale, dettatogli dalla paura, ma si finirà col crederci sempre di meno. Allora il comportamento sociale si farà sempre più schizofrenico: da una parte le persone si comporteranno e parleranno come il potere si aspetta da loro, dall’altra l’avversione naturale per l’omosessualità non farà che aumentare. Sono fenomeni che già adesso vediamo verificarsi sotto i nostri occhi, per esempio in Olanda e in Germania, dove, secondo le illusioni di “accettazione sociale” nutrite dai gay, dovresti aspettarti che l’indottrinamento – qui già in corso da decenni – abbia dato ormai i suoi “frutti”. Al contrario: adesso la stessa parola homo (“omosessuale”) è diventata un insulto tra i giovani olandesi. Non hanno più bisogno di ricorrere ai coloriti sinonimi tradizionali, equivalenti dell’italiano “checca” e “finocchio”. Quanto più lo Stato protegge il lifestyle gay, tanto più isolato si trova ad essere l’omosessuale nei suoi rapporti personali. Senza contare, poi, che la comunità islamica che cresce in Europa non accetterà mai l’indottrinamento gay, e lo considererà sempre un segno di decadenza dell’Occidente o del Cristianesimo. Se ne sono già accorti gli omosessuali attivi di Amsterdam, che pensavano di aver fatto di questa città la loro Mecca. Un’inchiesta piuttosto recente tra i giovani di Monaco di Baviera e dintorni ha dimostrato che il 70% di loro vede l’omosessualità come una cosa “non buona”. Non mancano, peraltro, inchieste manipolate, che possono dare l’impressione erronea che una gran parte del pubblico abbia già assunto un atteggiamento di accettazione nei confronti dell’omosessualità, ma, se le domande si pongono correttamente, si scopre che la maggioranza continua a considerarla anormale, e che, in realtà, quella che sembra accettazione è, invece, indifferenza o correttezza politica. I gruppi omosessuali che hanno ottenuto il permesso di propagare l’idea della loro normalità nelle scuole medie, hanno adottato negli ultimi tempi la tattica di mandare come loro rappresentanti giovani uomini omosessuali dall’aspetto virile e lesbiche dall’aspetto femminile, figure certamente non rappresentative della media degli omosessuali e delle lesbiche; hanno capito, infatti, che “checche” e “virago” ottengono soltanto l’effetto contrario a quello desiderato.
Non mi azzardo a dire in che modo raggiungerà il suo apogeo questa tirannia omosessuale che vediamo avanzare a grandi passi, ma sono sicuro che, prima o poi, finirà. Per la semplice ragione che è troppo anormale. È meglio, però, non aspettare con le mani in mano che si sgonfi da sé, perché, nel frattempo, il fanatismo degli ideologi avrà provocato tanta miseria psichica e un tale caos da farci sprofondare in uno stato di anarchia sessuale e sociale.

A cura di Roberto Marchesini