La guerra dei ‘dico’

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Alfredo Mantovano, LA GUERRA DEI “DICO”, Rubbettino 2007, 120 pp., euro 10

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Chi sostiene la necessità di una normativa che, anche in Italia, consenta il riconoscimento pubblico delle coppie di fatto, fa appello in genere a due diversi argomenti.
Il primo, molto in voga anche quando si discuteva di legge 40, è che in Europa “così fan tutti”.
Il secondo, essenziale per dare un minimo di sostanza al primo, è che non procedere a quel riconoscimento perpetuerebbe una situazione di discriminazione a danno di alcuni diritti elementari degli individui.
Il libro di Alfredo Mantovano, senatore di An ed ex magistrato, vuole dimostrare, e ci riesce, che la quasi totalità delle lacune denunciate da chi propone i “dico” è già largamente colmata dalla legge ordinaria vigente.
La quale, dagli anni Ottanta, ogni volta che “ha sancito un diritto per il coniuge, di regola lo ha previsto anche per il convivente”, con la Corte Costituzionale e la Corte di Cassazione che si muovevano sulla stessa lunghezza d’onda.
Da tutto ciò che già oggi è riconosciuto a chi convive come coppia di fatto rimangono fuori due aspetti in particolare, e cioè la reversibilità della pensione e la successione.
Sulla quale, scrive Mantovano, se non esistono soggetti titolari di quota legittima, i componenti di una coppia di fatto possono già “stabilire, nelle forme previste, disposizioni testamentarie l’uno in favore dell’altro, in piena autonomia e libertà”. Mentre il mostro normativo costituito dai “dico” una volta approvato aprirebbe molti più problemi di quanti non pretenda di risolvere, non solo allentando alcune garanzie rispetto a quanto avviene ora, ma entrando in conflitto conclamato con la normativa esistente.
Si è partiti dalla formalizzazione dell’unione di fatto, agganciandovi materie eterogenee e creando un paradossale codice dei diritti del convivente che non esiste nemmeno per i diritti del coniuge.
Perché? Ma perché, risponde Mantovano, la concreta soluzione degli eventuali problemi delle persone che hanno scelto liberamente di convivere non c’entra nulla con i “dico”. Essi servono al “riconoscimento pubblico del ‘fatto’ della convivenza”, che “acquista una importanza preliminare e pregiudiziale”, dato che le vere destinatarie del progetto sono le coppie omosessuali.
Anche in questo “non detto” risiede il carattere di aggressione verso la famiglia che, secondo Mantovano, è rappresentato dai “dico” e dall’ideologia che li sostiene. Abborracciata e contraddittoria, ma non per questo meno pericolosa.

Il Foglio, 19 maggio 2007

LE RAGIONI DEL DIRITTO
Recensione in: L’Ora del Salento Lecce, 21 aprile 2007

In un libro del senatore ex magistrato tutti i diritti e i doveri già previsti dalla Legge Italiana e dalla legislazione ordinaria.
Il volume non utilizza argomenti, pur esistenti e validi, di carattere etico e/o religioso: si muove sul piano del diritto positivo, ed esamina in parallelo dal un lato le proposte avanzate in materia, anche da parte del Governo Prodi (con particolare riferimento al disegno di legge sui "dico"- diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi), dall’altro la legislazione ordinaria, la Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione in tema di convivenze, per concludere che la gran parte dei c.d. "diritti individuali", spesso evocati a fondamento di una legge sulle convivenze, già trova puntuale tutela nell’ordinamento italiano.
E in questo modo documenta che l’intento principale, se non esclusivo, di chi vuol introdurre i "dico"o i pacs è in realtà quello di giungere al riconoscimento pubblico delle unioni civili, e in particolare di quelle fra omosessuali.
Abbiamo chiesto al senatore Mantovano un breve e parziale anticipazione dei contenuti del suo libro.

Anticipazione,
di Alfredo Mantovano

"Non abbiamo inventato nessuna formula giuridica nuova, ma ci siamo limitati a riconoscere diritti e doveri a persone che vivono in una situazione di fatto (…). Questa situazione di fatto non viene riconosciuta, ma semplicemente certificata applicando il vigente regolamento anagrafico", così il ministro Bindi, intervistata da Famiglia cristiana (del 18 febbraio 2007), ha tentato di minimizzare la portata dei "dico".
Ma è proprio come lei sostiene?
Per rispondere basta leggere il regolamento anagrafico; il quale, all’ art. 4, definisce "famiglia" agli effetti anagrafici "un insieme di persone" legate da vincoli di qualsiasi tipo: matrimonio, parentela, adozione… Per l’anagrafe interessa sapere solo quale è il recapito di più persone che coabitino in una dimora abituale: in base a questo si viene iscritti nell’apposita scheda.
Al contrario, l’iscrizione all’anagrafe dei "dico" presenta almeno tre differenze rispetto a questo regime: intanto è una iscrizione mirata, riguarda solo due persone, che devono avere determinate caratteristiche (maggiorenni, capaci, con reciproci vincoli di affetto, "anche dello "stesso sesso"), stabilmente conviventi e non legate da parentela o matrimonio.
In secondo luogo, i conviventi sono chiamati a rendere la dichiarazione in forma contestuale (o, in alternativa, con una raccomandata con ricevuta di ritorno); c’è, quindi, una modalità particolare, che permette ai conviventi di sostenere di essersi comunque recati al Comune per formalizzare l’unione, e quindi che la dichiarazione contestuale coincide con una sorta di cerimonia di inizio convivenza.
Infine, da questa dichiarazione derivano effetti giuridici anche su materie delicate, come le successioni e le pensioni.

Che si tratti di qualcosa di diverso dalla mera comunicazione all’anagrafe è confermato dall’ on. Vlamidir Luxuria, che su Liberazione del 10 febbraio scrive: "un punto fondamentale è che i conviventi non andranno da un notaio per fare un atto privatistico, ma si recheranno all’anagrafe del comune per dichiarare la propria convivenza. Avevamo ragione noi a dire che diritti e doveri non potevano prescindere da un riconoscimento pubblico e l’ufficio dell’anagrafe è comunque un ufficio pubblico".
Chiaro?
L’elenco dei "diritti individuali" riconosciuti ai componenti della coppia di fatto potrà sempre essere integrato: il punto nodale è aver "messo una buona locomotiva sul binario giusto", come ha aggiunto il ministro Bindi nell’intervista prima citata (senza aver precisato quanti e quali vagoni seguiranno).
Il punto nodale è che ci sia la "locomotiva", che cioè vi sia il riconoscimento pubblico del "fatto" della convivenza; altrettanto cruciale è che quest’ultima includa le coppie omosessuali: per chiudere con le citazioni, non a caso il ministro Bonino ha definito l’inciso "anche dello stesso sesso" come la "frase più significativa" dell’intero ddl (il Messaggero del 10 febbraio).

Ma, al di là delle dispute ideologiche, esistono realmente delle lacune in tema di tutela dei diritti dei singoli componenti di una unione di fatto?
Può ricordarsi che a partire dagli anni 1980, ogniqualvolta la legge ordinaria ha sancito un diritto per il coniuge, di regola lo ha previsto anche per il convivente.
Nell’applicazione dei testi vigenti l’interprete deve poi tenere conto delle numerose sentenze della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione intervenute nella materia.

Ecco un elenco, limitato alle voci più significative, di ciò che già esiste.

Salute
L’art. 3 della legge n. 91/1999 prevede che "all’inizio del periodo di osservazione ai fini dell’accertamento di morte, i medici forniscono informazioni sulle opportunità terapeutiche per le persone in attesa di trapianto nonché sulla natura e sulle circostanze del prelievo al coniuge non separato o al convivente more uxorio".
E’ uno degli esempi del coinvolgimento di quest’ultimo nelle decisioni sulla salute del partner. Posto che nessuna legge impedisce al partner di fatto di fare visita e/o di assistere il compagno mentre è in degenza (non si ha notizia di Carabinieri che allontanino i conviventi dalle stanze di ospedale; è più frequente che cerchino i familiari che mancano), qualora sorgessero dubbi la circostanza che il convivente diventa parte di decisioni di tale peso, come quelle relative ai trapianti, a fortiori lo legittima a qualsiasi vicinanza al convivente durante il ricovero.
L’art. 4 della legge n. 53/ 2000 riconosce poi a ogni lavoratore il diritto a permessi retribuiti per decesso o per grave infermità del coniuge, del parente entro il secondo grado, e del convivente, realizzando anche in tal caso la parificazione di quest’ultimo ai familiari.

Successioni
Non esistono norme sulla "legittima" anche per le convivenze, cioè sulla quota riservata per legge ai congiunti più stretti.
Nulla impedisce però ai componenti di una coppia di fatto di stabilire, nelle forme previste, disposizioni testamentarie l’uno in favore dell’altro, in piena autonomia e libertà; e anzi, la consapevolezza della differente disciplina tra famiglia e convivenza può favorire tali disposizioni, sempre revocabili in relazione al mutamento delle relazioni.

Reversibilità del trattamento pensionistico
La Corte di Cassazione (Cass. Civ. sez.lav., 6 marzo 2003, n. 3384) ha valorizzato la convivenza prematrimoniale in tema di pensione di reversibilità, attribuendole rilevanza e prevalenza sulla durata legale del matrimonio nel calcolo della quota di pensione di reversibilità, nell’ ipotesi di con-corso tra coniuge ed ex coniuge del de cuius.
Su questa base, può immaginarsi la reversibilità della pensione come regime ordinario per il convivente?
"’Fatta la legge trovato l’inganno’. Cioè evitiamo di trovarci davanti a una proliferazione di vecchietti tutti coppie di fatto con giovani venti-trentenni in attesa di pensione di reversibilità": così il ministro della Pubblica istruzione on. Giuseppe Fioroni (Ap-com 29.01.07); se lo dice lui… Il ddl "dico" sul tema rinvia a una legge futura, che dovrà dettare la disciplina apposita.

Assistenza
L’art. l della legge n.405/1975 inserisce tra gli scopi del "servizio di assistenza alla famiglia e alla maternità" (…) "l’assistenza psicologica e sociale per la preparazione alla maternità ed alla paternità responsabile e per i problemi della coppia e della famiglia", includendo così anche i partner conviventi more uxorio.
L’art. 30 della legge n. 354/1975 equipara i conviventi ai familiari, quando fissa che "Nel caso di imminente pericolo di vita di unifamiliare o di un convivente, ai condannati e agli internati può essere concesso dal magistrato di sorveglianza il permesso di recarsi a visitare, con le cautele previste dal regolamento l’infermo", e che "analoghi permessi possono essere concessi eccezionalmente per eventi di particolare gravità".
I figli generati dai conviventi hanno diritti eguali rispetto a quelli generati da coniugi: l’art. 30 Cost. pone in capo ai "genitori" il "dovere e di ritto" di "mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio", aggiungendo che "la legge assicura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima".
La riforma del diritto di famiglia (legge n. 151/ 1975), introducendo nel codice civile l’art. 317 bis, ha attribuito ai genitori naturali conviventi l’esercizio congiunto della potestà sui figli.
La legge n. 194/ 1978 ha previsto all’art. 5 la partecipazione alla procedura di aborto del "padre del concepito", senza specificare se si tratta di persona unita in matrimonio con la donna, o invece convivente.
La convivenza, qualora sia stabile e continuativa e preceda il matrimonio per un periodo minimo di tre anni, ha rilievo per determinare l’idoneità della coppia ad adottare un bambino (art. 6, co. 4, legge n. 184/ 1983).
Infine, l’art. 5 della legge n. 40/2004 permette l’accesso alle tecniche di fecondazione artificiale per le "coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi".

Tutela all’interno della convivenza
La legge n. 154/ 200 l, ha introdotto nel codice civile gli articoli 342 bis e ss., e ha esteso ai conviventi le forme di protezione contro gli abusi familiari.

Locazione
La Corte Costituzionale (sent. n.404/1988) ha riconosciuto al convivente more uxorio il diritto di succedere nel contratto di locazione in caso di morte del compagno conduttore dell’immobile, ma anche quando costui si sia allontanato dall’abitazione per cessazione del rapporto di convivenza, in presenza di prole naturale.

Abitazione di proprietà
E’ riconosciuto un "diritto di possesso" in capo al convivente che sia stato allontanato dall’abitazione familiare, in base alla sentenza della Corte Cost. n. 166/1998. Va ricordato infine che dal 1993 per il personale della Polizia ammesso a usufruire degli alloggi di servizio è previsto espressamente, in alternativa all’essere coniugato, l’ipotesi della convivenza.

Assegnazione dell’alloggio popolare
Il convivente ha diritto a ottenere l’assegnazione dell’alloggio popolare, in base alla sentenza n. 559/1989 della Corte Costituzionale.

Rapporto di lavoro nell’impresa familiare
L’introduzione dell’art. 230 bis del codice civile ha eliminato il principio di gratuità in precedenza escluso, in virtù del vincolo affettivo, a proposito della remunerazione del familiare per la prestazione di lavoro resa nell’impresa familiare.
Questa disposizione può essere utilizzata a favore del convivente (Cass. civ., Sez.lav., 13/12/1986, n.7486).

Risarcibilità del danno subito
La Cassazione (Cass. Civ., sez. III, 28 marzo 1994, n. 2988) ha riconosciuto al convivente la risarcibilità del danno patrimoniale in caso di morte del partner provocata dal fatto ingiusto altrui.
Ciò ha un riflesso anche sul piano processuale, se è vero che la stessa Cassazione (Cass. Pen., sez. I, 4 febbraio 1994, De Felice), ha ritenuto ammissibile la costituzione di parte civile del convivente della vittima del reato.

Legislazione per le vittime di mafia o terrorismo
La legge n. 302/1990 ha esteso al convivente more uxorio il diritto di richiedere le provvidenze accordate per le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata.
Una disposizione analoga si trova nella legge n. 44/ 1999, che all’art. 8 ha inserito nell’ambito dei soggetti aventi diritto alle elargizioni previste per le vittime di richieste estorsive e dell’usura i conviventi. Infine, la legge n. 45/2001 prevede che siano utilizzate le medesime misure di protezione dei testimoni di giustizia sia nei confronti del coniuge che del convivente.

Ordinamento penale
I profili di responsabilità penale e i doveri processuali segnalano significative parificazioni fra il vincolo coniugale e la convivenza, soprattutto nella legislazione più recente.

CONCLUSIONI
Se quelli appena elencati costituiscono già un elenco di diritti riconosciuti a chi fa parte di una coppia di fatto, che cosa resta ancora fuori?
Proviamo a fare un elenco:
a) la riserva di legittima nella successione, in ordine alla quale si rinvia alle considerazioni svolte in precedenza;
b) la possibilità per i conviventi di adottare figli, che – consentita nelle ipotesi delimitate prima ricordate – non è prevista in via generale neanche in iniziative legislative come quella che reca la firma dell’on. Grillini;
c) una parte delle disposizioni penali che toccano relazioni familiari: se si considerano una per una, non giustificano la costruzione di un modello alternativo di famiglia, bensì – al più – un intervento più modesto di estensione di garanzie e di tutele;
d) la previsione del regime patrimoniale della comunione di beni fra conviventi. Per il quale vale quanto osservato per le disposizioni testamentarie: nulla impedisce ai componenti di una coppia di fatto di regolare contrattualmente gli acquisti di beni mobili e/o immobili effettuati per la durata del rapporto, la contribuzione alle spese della vita in comune, le elargizioni di uno dei conviventi in favore dell’altro, e un assegno alimentare per l’ipotesi di scioglimento della convivenza.

Invece di aprire un serio e approfondito dibattito diretto a stabilire se e con quale modalità le lacune normative siano degne di tutela e colmabili con interventi legislativi, il ddl sui "dico", con il pretesto del riconoscimento dei diritti, rischia di dare vita a un nuovo modo di legiferare, a forte rischio di incostituzionalità: parte dal presupposto che l’unione civile va formalizzata e vi aggancia materie eterogenee, ciascuna delle quali ha nell’ordinamento giuridico sede, disciplina e logica differenti e diversificate.
Con i pacs o con i "dico" si vuoi creare uno strano contenitore, in cui sono fatte confluire norme riguardanti materie già disciplinate in altri testi di legge. L’idea è quella di collocare nella legge/contenitore "dico" quei frammenti che mancano nelle leggi di riferimento.
I problemi che ne derivano non sono puramente estetici.
Anzitutto si creano disparità di trattamento rispetto ai coniugi: si realizza infatti una sorta di codice di diritti del convivente, che non esiste nemmeno per i diritti dei coniugi. E infatti, allo stato attuale della legislazione, manca una legge quadro in cui sono raccolti tutti i diritti e i doveri dei coniugi che scaturiscono dalle leggi vigenti.

In realtà, se oggi in Italia vi è un soggetto discriminato dalla legislazione nella vita quotidiana, esso si chiama famiglia: se valessero esclusivamente considerazioni di ordine patrimoniale, non è detto che il regime del matrimonio sia preferibile a quello di una coppia libera.
Gli esempi sono tantissimi, e converrà tornarci; ciò di cui vi è reale necessità è una legge, o un insieme di leggi, che rilanci la famiglia, che permetta a due persone che vogliono condividere la vita di guardare al futuro con minore angoscia di quanto accade ora, che contribuisca a invertire il trend demografico pesantemente negativo che ha trasformato l’Italia in una nazione di anziani e di figli unici.