Inchiesta sulla devozione popolare

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STEFANO ZURLO, Inchiesta sulla devozione popolare, Piemme, Casale Monferrato, 2003, pp. 187, € 12,90

Quando si parla di "devozione popolare" si corre spesso il rischio di pericolose generalizzazioni di segno negativo. Si tende cioè a bollare come "devozionalismo" disprezzabile e vagamente superstizioso ed isterico tutto un mondo viceversa dignitoso e rispettabile, caratterizzato da una sensibilità peculiare per specifiche devozioni verso pratiche di preghiere o luoghi sacri o ancora verso santi particolari.
E’ certamente vero che vi sono nella composita e variegata realtà del mondo cattolico anche forme devozionali che rasentano, e talvolta in verità superano, il limite dell’isteria vera e propria e dell’autentica superstizione di tipo magico, ma, se queste sono forme estreme, certamente non meritevoli di approvazione, è pur vero che la cosiddetta religiosità popolare rappresenta un’autentica ricchezza per la cattolicità, un’espressione forte e significativa di spiritualità diffusa, di ricerca del soprannaturale, di fiducia nella Provvidenza che merita rispetto ed attenzione. In una sua opera dedicata proprio alle devozioni popolari, mons. Alessandro Maggiolini, riprendendo concetti espressi da papa Paolo VI, ha voluto sottolineare come la «pietà popolare manifesta una sete di Dio che solo i "semplici" e i "poveri" possono conoscere […]; rende capaci di generosità e di sacrificio fino all’eroismo, quando si tratta di testimoniare la fede; comporta un senso acuto delle dimensioni più profonde di Dio: la paternità, la provvidenza, la presenza amorosa e costante; genera atteggiamenti interiori raramente raggiunti altrove al medesimo grado: pazienza, senso della Croce nella vita quotidiana, distacco, apertura agli altri, devozione».

Sappiamo bene che la realtà del cattolicesimo, così come si è sviluppata nel corso della storia, è caratterizzata da diverse sensibilità e diversi carismi, alcuni molto distanti l’uno dall’altro, ma tutti riconducibili come ruscelli a quell’incredibile fiume in piena di grazie soprannaturali che è la Chiesa fondata da Cristo. La storia della chiesa è ricchissima di spunti a questo riguardo, proprio perché attraverso il fluire del tempo sono venute sviluppandosi specifiche sensibilità devozionali che hanno caratterizzato particolari epoche storiche o che sono giunte ai giorni nostri.

Qualche esempio: la devozione mariana ed eucaristica, il culto dei santi con tutto l’interessantissimo corollario rappresentato dalla "specializzazione" di ciascun santo, la nascita dei grandi santuari e lo sviluppo della pratica penitenziale del pellegrinaggio, che tanta parte ha avuto nella spiritualità e nella stessa vita sociale medioevale, la devozione al sacro Cuore, alla medaglia miracolosa, al Rosario, alla Passione del Signore e così via. E’ un elenco volutamente incompleto e disorganico, che dà però un’idea della grande ricchezza della spiritualità cattolica e, in sostanza, del sano realismo che la caratterizza. Il cristiano infatti sa che l’uomo è composto da anima e corpo, spirito e materia, mente e sensi ed è consapevole del fatto che la redenzione riguarda l’uomo nella sua completezza ed integrità. L’uomo non è un angelo e mai lo sarà, la sua componente fisica, corporea è parte della sua natura e ne determina il modo di agire, di pensare, di vivere.

Ecco perché sono gravemente erronee quelle teorie, così diffuse nel corso della storia della Chiesa ed anche ai giorni nostri, secondo cui conta solo lo spirito, la dimensione soprannaturale, mentre ciò che è corporeo e materiale merita disprezzo o, nella migliore delle ipotesi, indifferenza.

Se l’uomo è dunque anche animato dalla considerazione della propria dimensione fisica, sensibile, emotiva, ecco che questa dimensione deve trovare una sua collocazione anche nella più importante attività umana: la sua relazione con il divino, con ciò che è soprannaturale ed eterno.

Il culto dei santi o delle reliquie, non è dunque una manifestazione di paganesimo superstizioso, come qualcuno vuole sostenere, ma risponde al bisogno dell’uomo di un contatto fisico, di un punto di riferimento concreto e tangibile, un amico che pur vivendo nell’eternità ha vissuto come uomo le difficoltà aspre della vita di tutti i giorni, ha combattuto il peccato e lo ha vinto.

Queste considerazioni ci aiutano a comprendere anche come possa essere possibile che alcuni uomini e donne si avvicinino alla fede e alla preghiera, cioè alla conversione, passando attraverso forme devozionali elementari, come una pratica di preghiera o la frequentazione di un santuario. Ecco perché i santuari sono frequentati anche da chi non va in chiesa regolarmente, non si confessa e non si comunica da anni, non si sente parte di quel grandioso organismo soprannaturale ed umano che è la Chiesa.

Ma questo non è un motivo sufficiente per disprezzare queste persone, per giudicare con malevola sufficienza queste forme di devozione. Da qui possono infatti scaturire conversioni solide e durature perché tramite queste forme di devozione ci si relaziona in qualche modo, magari a volte in modo rozzo e primitivo, con la presenza del soprannaturale nel tempo e nella storia, ci si riconosce dipendenti da Altro, bisognosi di aiuto e di protezione. Chi frequenta il santuario, dai tempi dei grandi pellegrinaggi medioevali a Santiago di Compostella, San Michele sul Gargano, Roma e Gerusalemme fino ai giorni nostri, non ha l’arrogante presunzione del razionalista moderno secondo cui l’uomo basta a sé stesso, è artefice del suo destino, padrone della sua vita e delle sue scelte.

Questo delirio di onnipotenza, questa cecità di fronte ai limiti evidenti delle possibilità umane sono la vera tragedia della modernità e di fronte a questo atteggiamento orgoglioso e suicida, la persona che segue una sia pure elementare forma di devozione rappresenta una speranza ed una rivincita.

Per queste ragioni, merita attenzione l’ultima fatica di Stefano Zurlo, giornalista e saggista, che, su invito di Vittorio Messori (che ha redatto la Prefazione del volume), ha compiuto un itinerario di taglio giornalistico attraverso nove grandi santuari italiani: Santa Rita a Cascia, San Gabriele dell’Addolorata in Abruzzo, Caravaggio, Sant’Antonio a Padova, il Divino Amore a Roma, la Madonna di Polsi in Calabria, La Madonna di Pompei, San Giovanni Rotondo e San Riccardo Pampuri a Trivolzio.

Ne è uscita una serie di interviste, di stati d’animo, una raccolta di vicende personali e familiari di personaggi conosciuti e di persone qualunque, uno spaccato realistico su questa porzione tutt’altro che trascurabile di società italiana del XXI secolo.

Zurlo, a commento di questa sua fatica giornalistica, ha creduto di individuare il centro attorno cui gravita questo variegato e disomogeneo mondo dei frequentatori di santuari. Come si legge nell’Introduzione, questo centro è il «Mistero, entrato nella storia duemila anni fa, a essere interpellato dall’urlo che sale dalle lettere, dai foglietti, dalle e-mail, dalle cartoline, dai ceri, dalle rose, infine dalle bocche e dalle labbra. Quel grido non può essere ignorato».

Andrea Arnaldi, collaboratore di Radio Maria