In memoriam del prof. Marco Tangheroni

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di Marco Respinti (il Domenicale). Scompare la figura di un illustre medioevista, cattolico impegnato e perciò ignorato dal mondo accademico, segnato dalla Croce.

Il professor Marco Tangheroni, medioevista di pregio dell’Università di Pisa, è deceduto nel pomeriggio di mercoledì 11 febbraio. Le sue condizioni di salute erano precarie da lungo tempo, ma negli ultimi giorni si erano aggravate in maniera che oggi sappiamo irreversibile. Eppure, con quell’atteggiamento tipicamente umano che mai vorremmo divenisse però troppo e solo umano, Tangheroni sembrava destinato a non andarsene mai.


È paradossalmente più facile scrivere in morte di quegli spiriti grandi e lontani che ammiriamo, ma che stanno là, sulle copertine dei libri o nelle accademie. La distanza, che non diminuisce il rispetto, aiuta, protegge. Pensare, invece, in questi frangenti, di porre mano alla penna per parlare di una persona vicina, che si è conosciuta, frequentata, amata e stimata, una persona con cui si è pranzato e riso, discusso e militato, e da cui soprattutto si è molto imparato, imbarazza, quasi paralizza. Ci si sente – ed è proprio il caso del sottoscritto – come si sentivano nei confronti della Gente Alta quei piccoli hobbit creati dal genio letterario di un autore che Tangheroni apprezzava profondamente: sovrastati, superati e quindi “intimoriti”.


La prima cosa che ho imparato da Marco Tangheroni mi è rimasta fissa nel cuore; e, proprio perché fu la prima, resta la più immediata, la più difficile da scordare. Erano i tempi in cui muovevo i primi passi in un mondo più grande (ma ogni giorno si muovono primi passi in mondi più grandi, sempre più grandi…) accorgendomi non tanto dell’esistenza di “maestri” (mai termine è stato più abusato…), quanto del fatto che nell’esistenza uno di padri ne ha molti. Ovvero scopre di averne molti: insospettati, “strani”, ignorati o scordati per anni, putativi e adottivi, ma sempre fondamentali. Marco Tangheroni, storico attento, usava dire che la storia si fa con i “se” e con i “ma”.


Oggi va di moda chiamarla “storia parallela” (sottobranca di quella che si definisce ucronia), ma per Tangheroni era il modo di sottolineare l’imponderabilità del fattore umano, ossia la grandezza della libertà della persona che nessun riduzionismo deterministico può cancellare. Era il suo modo di fare storia in maniera attenta al suo soggetto principe, l’uomo, senza sacrificarlo agli umanesimi senz’anima. Era il suo modo di raccontare la vicenda umana (l’uomo è l’unico essere creato che sappia dare valore al tempo e quindi fare storia) contro ogni ideologia.


Nato a Pisa il 24 febbraio 1946, in questa stessa città Tangheroni studia per poi laurearsi all’Università di Cagliari con una tesi su Gli Alliata. Una famiglia pisana del Medioevo, relatore il professor Alberto Boscolo (1920-1988). Docente nelle università di Cagliari, di Barcellona, di Sassari e di Pisa, dove è stato professore ordinario di Storia Medievale e direttore del Dipartimento di Medievistica fino alla morte pochi giorni fa, nei suoi studi ha toccato i più diversi aspetti della realtà medioevale, da quelli economici a quelli religiosi, indirizzandosi soprattutto all’area mediterranea. Autore di diversi volumi sulla storia di Pisa, della Toscana e della Sardegna, oltre a un centinaio di articoli scientifici su riviste italiane e straniere, ha pubblicato, fra l’altro, Politica, commercio, agricoltura a Pisa nel trecento (Pacini, Pisa 1973; n. ed. Plus, Pisa 2002); La città dell’argento. Iglesias dalle origini alla fine del Medioevo (Liguori, Napoli 1985) e Medioevo Tirrenico (Pacini, Pisa 1992). La sua ricerca ha poi trovato espressione compiuta nell’opera Commercio e navigazione nel Medioevo (Laterza, Roma-Bari 1996). Collaboratore dei Il Messaggero Veneto, Avvenire, Secolo d’Italia, il Giornale e L’Unione Sarda, nonché alle riviste Cristianità, Jesus, Storia e Dossier e Medioevo, ha curato l’edizione italiana di opere di grande valore storico, fra cui il volume di Jacques Heers, La città del Medioevo (trad. it., Jaca Book, Milano 1995) e ha collaborato alla redazione del quinto volume di The New Cambridge Medieval History, dedicato al periodo compreso fra il 1189 e il 1300, curato da David Abulafia e pubblicato nel 1999 dalla Cambridge University Press.


Militante dell’associazione civico-culturale Alleanza Cattolica dal 1970, ne è stato socio fondatore dalla sua costituzione giuridica nel 1998, svolgendo un’intensa attività di conferenziere, sia su temi specificamente storici, sia su temi connessi alla dottrina sociale della Chiesa e all’attualità politica.


Tangheroni, infatti, era uno specialista del Medioevo, ma i suoi scritti e i suoi interventi pubblici – dedicati per esempio alla rivoluzione cosiddetta francese o alla storiografia nazionalista di Gioacchino Volpe – brillano ancora oggi per lucidità e per sapidità. Alla Fondazione Volpe, del resto, Tangheroni legò a suo tempo il proprio nome, nel tentativo, in anni oramai lontani e molto diversi da quelli attuali, di offrire un’alternativa culturale credibile a un Paese, il nostro, che, fra relativismo e catto-comunismo, sembrava aver perso la bussola.


Fu proprio per i tipi di Giovanni Volpe, infatti, che Tangheroni promosse e curò personalmente le edizioni italiane di due opere straordinarie, sia per i loro meriti intrinseci, sia per il carattere dirompente che la loro pubblicazione ebbe in un clima assolutamente ostile: Ritorno al reale. Nuove Diagnosi di Gustave Thibon nel 1972 e Luce del medioevo di Régine Pernoud nel 1978. Due opere provenienti dalla Francia e assolutamente “controcorrente”, che Tangheroni riuscì a far portare in lingua italiana dall’editore Volpe su indicazione di Giovanni Cantoni, fondatore di Alleanza Cattolica. Nella prima, Gustave Thibon, un vignaiolo autodidatta del Midi francese (colui che, tra l’altro, salvò Simon Weil dalla persecuzione antiebraica) riempiva pagina dopo pagina di aforismi e di pensieri implicitamente alla scuola della filosofia che oggi – dopo gl’importanti studi svolti da monsignor Antonio Livi – definiremmo del “senso comune”, ottenendo così la stima e il rispetto (anche per le sua capacità di arguzia filosofica, per esempio nei riguardi della speculazione tomista) di Jacques Maritain, di Gabriel Marcel e di Marcel de Corte (quest’ultimo amico personale e maestro, questa volta sì, di Tangheroni stesso). La traduzione in lingua italiana di Ritorno al reale venne pubblicata con questa dedica thiboniana autografa: «Ai giovani amici pisani che hanno voluto l’edizione italiana di questo libro, all’editore Giovanni Volpe che lo ha pubblicato, con viva amicizia e gratitudine». I «giovani amici pisani» erano il nucleo locale di Alleanza Cattolica, “capitanato” da Marco Tangheroni.


Nella seconda, Régine Pérnoud – una storica ignorata dalla “cultura ufficiale, forse solo perché rea di dire la verità, e di documentarla, sull’epoca più bistratta di tutta la storia occidentale – compila una sorta di manualetto controcorrente rispetto alla cattiva vulgata che circola a proposito della Cristianità romano-germanica, spregiativamente, illuministicamente detta “Medioevo”.


Tangheroni descriveva la Pernoud (tra l’altro frequentatrice dello stesso padre spirituale, il domenicano Joseph-Marie Perrin, che aveva messo in contatto Thibon e la Weil) come una specialista sui generis solamente perché… svolgeva appieno il mestiere dello storico. Non senza qualche ragione, Umberto Eco – che Tangheroni attaccò senza mezzi termini per quel suo Il nome della rosa, che del cosiddetto “Medioevo” offre un’immagine bugiarda – ha scritto che tutti i libri sono in realtà libri di libri, in questo imitando Jorge Louis Borges. Eppure per uno storico non dovrebbe essere così. Tangheroni sottolineava che la Pernoud non si limitò a compilare le proprie opere come centoni delle opere di altri, i quali a loro volta usano libri di altri storici, e così via non tanto all’infinito quanto in un cerchio eternamente autoreferenziale. La Pernoud si differenziava da molti suoi colleghi – soprattutto francesi – più noti e coccolati dai media e dalla “cultura ufficiale” perché restava e sempre partiva dai documenti, dalle biblioteche, dai fondi di archivio. Sembra un assurdo, ma in realtà pochi lo fanno.


Ebbene, Tangheroni era come la Pernoud. Chi fosse chiamato a elencare i grandi storici contemporanei della nostra Italia, forse si scorderebbe di ricordare il medioevista pisano: e questo, ancora una volta paradossalmente, proprio perché, lontano dalle luci della ribalta e dalla smania per i media che travolge anche i professionisti in tesi più integerrimi, Tangheroni ha svolto davvero il lavoro dello storico. Forse ce ne si renderà conto solo in futuro, in un mondo diverso da quello attuale.


Ma, lungi dall’essere un topo esclusivamente di biblioteca, il professor Marco Tangheroni fu animato anche dalla passione per le sorti civili e politiche di questo Paese, e alla bisogna non esitò mai a schierarsi apertamente. Dire che non lo fece a sinistra sarebbe un eufemismo, addirittura un understatement. Cattolico integrale, sapeva bene che la vittoria non è di questo mondo e tantomeno il paradiso: sapeva però altrettanto bene quanto sia importante lasciare da questa parte del Cielo un poco di ordine in più affinché le persone possano essere aiutate a non smarrirsi.


Diceva Thibon: «Porto in me dei morti più viventi che i vivi. Il mio più grande desiderio è quello di ritrovarli». Ora Marco Tangheroni è un amico in più Là dove sul serio conta. Pax tibi Marce.


Marco Respinti