Il Kattolico 3

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Rino Cammilleri, Il Kattolico 3, Gilgamesh ed. 2012, ISBN 978-88-97469-08-7, pp. 224, Euro 15,00

«Il Kattolico 3» è la terza raccolta degli articoli che Rino Cammilleri fa uscire da anni sull'omonima rubrica del mensile di apologetica «Il Timone».

 

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Quando inventai la sigla goliardica «il kattolico» ero giovane ed avevo ancora negli occhi le scritte, sui muri, dei rivoluzionari con la mutua e le ferie pagate: Craxi con la croce uncinata al posto della «x», Kossiga con la kappa e le «esse» tracciate a mo’ di SS.
L’uso della kappa in luogo della «c» dura faceva molto lingua tedesca, il tedesco faceva molto nazista e nazista (o fascista, era lo stesso) era chiunque si opponesse alla Rivoluzione.
Da qui la decisione di provocare mettendomela da solo, la kappa. Anche perché dava, come tutti i simboli, un’idea immediata e sintetica.
Il messaggio era: qui parla un cattolico tosto, di quelli che non porgono l’altra guancia (di Cristo, non la propria) e non hanno peli sulla lingua.
Del resto, la polemica è un genere letterario tra gli altri.

Per questo, cari lettori, eccovi la raccolta Il Kattolico 3, dopo Il Kattolico 1 (Piemme) e Il Kattolico 2 (Sugarco).
Per le ulteriori puntate dovrete abbonarvi al mensile «Il Timone».
A meno che non intendiate aspettare un Kattolico 4.
Buona lettura.

Rino Cammilleri

 

Rino Cammilleri, 60 anni, agrigentino. Ha al suo attivo una trentina di volumi pubblicati coi maggiori editori nazionali. Tra le opere più recenti, Il crocifisso del samurai (Rizzoli) e Dio è cattolico? (Lindau). Tiene rubriche su «Il Timone», «Il Giornale»

 

Per gentile concessione di Gilgamesh Edizioni pubblichiamo uno stralcio del libro "Il Kattolico 3" (2011) di Rino Cammilleri.

Quel che “forma” sui banchi di scuola è la storia (ivi compresa la preistoria insegnata alla darwiniana). Le altre materie c.d. umanistiche le sono correlate (con le materie scientifiche, invece, non si può barare: due più due deve fare quattro anche per un insegnante marxista). Pure agli studenti più svogliati, dài e dài, in testa qualcosa rimane. E su questa «base» si cresce. L’orgoglio personale fa il resto ed è il motivo per cui Léo Moulin poteva dire ai cattolici: «Vi hanno paralizzati nell’autocritica masochistica, per neutralizzare la critica di ciò che ha preso il vostro posto» (cfr. Messori, Pensare la storia, Sugarco). Non di rado la storia, a scuola, è insegnata da personaggi come quello che vi presento nel seguente ricordo personale.

Fresco di laurea, in attesa di una carriera accademica che non venne mai, facevo l’«assistente temporaneo» di questo o di quello. Una volta, assistendo un esaminatore di Storia degli Stati Uniti, si presentò una signorina che, alla rituale «domanda a piacere», attaccò una perfetta tiritera imparata a memoria anche nelle virgole. Alla parola «Congresso» la fermai, insospettito. «Signorina, ma lei lo sa cos’è il Congresso?». Scena muta. Il titolare della cattedra sbloccò la situazione: «Non importa, continui». E quella riattaccò dal punto in cui aveva lasciato. Quando fu uscita, ero certo che sarebbe stata respinta, dal momento che uno che vuol superare l’esame di Storia degli Usa e non sa cosa sia il Congresso equivale a uno interrogato in Educazione Civica che non sa cosa sia il Parlamento. Invece, il titolare sentenziò: «Ventisette ». Vedendo la mia faccia strabiliata si giustificò: «Sa, questa materia è ancora poco frequentata…». Già: la si doveva, dunque, “lanciare”, cioè rendere appetibile allo studentame per poi mostrare al consiglio di facoltà che era molto richiesta; così, da «facoltativa» sarebbe diventata «obbligatoria», con le ricadute in termini di poltrone che lascio alla vostra immaginazione. Quasi sicuramente quella signorina è andata a insegnare storia a scuola. Magari è stato un suo allievo quel presidente provinciale dell’Azione Cattolica che inveì contro di me perché sostenevo che nelle celle del Sant’Uffizio le lenzuola venivano cambiate due volte alla settimana. O quel giovane di movimento ecclesiale che, sentendomi affermare che i Conquistadores spagnoli non hanno effettuato alcun genocidio, si alzò indignato e se ne andò.

«Sviluppare il senso critico»: sta scritto nelle roboanti introduzioni ai programmi scolastici. Naturalmente, è vero il contrario: lo scopo è soffocarlo nella culla, il senso critico. Questo è il fine della scuola di stato, non a caso invenzione giacobina. Per questo il povero don Bosco si affannava, sacrificando il sonno, a scrivere libri di storia per i suoi ragazzi. Affinché sviluppassero, appunto, senso critico. Cioè, si allenassero all’uso del cervello. Usando, infatti, il cervello, ci si chiederebbe: era interesse della Chiesa ammazzarli, gli eretici, o piuttosto farli rientrare nel suo seno? La risposta giusta è la seconda, perché i preti di allora non erano più scemi di quelli di oggi. Per quanto riguarda i Conquistadores, gli spagnoli che colonizzarono le Americhe erano in tutto poche migliaia e «avevano un forte bisogno di forza-lavoro per poter sopravvivere» (v. Marco Tangheroni, Cristianità, modernità, Rivoluzione, Sugarco). Dunque, non avevano alcun interesse al genocidio. «La colonizzazione nordamericana è stata invece fatta da molte persone (…), persone che avevano bisogno non di uomini ma di terre vuote di uomini». Infatti, negli Usa gli indiani sono pressoché estinti, mentre certi presidenti sudamericani odierni hanno facce maya. L’elezione di un presidente (quasi) nero negli Usa è stata salutata come un evento epocale, laddove un semplice sguardo al Carnevale di Rio ci mostra un miscuglio di razze inestricabile. Genocidio – dice la Convenzione Onu del 1948 – è atto commesso «con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso». Ma chissà perché ai mai cessati massacri e persecuzioni di cristiani non si applica.

I Conquistadores non commisero alcun genocidio: non avrebbero potuto, anche se avessero voluto. Cortés in Messico aveva 508 uomini, 16 cavalli, 14 cannoni (del Cinquecento…) e una ventina di archibugi. Pizarro andò in Perù con 180 uomini. Il genocidio, gli spagnoli, lo trovarono: Aztechi e Incas praticavano i sacrifici umani. Per questo a ogni primavera eseguivano quelle che chiamavano poeticamente «guerre fiorite» perché si svolgevano in primavera, allo scopo di procurarsi prigionieri da sacrificare e a tutto danno dei popoli limitrofi. Questi ultimi, infatti, si allearono volentieri con gli spagnoli per farla finita con questa sanguinolenta storia. I sacrifici umani servivano a «nutrire il sole», che altrimenti, secondo le religioni precolombiane, si sarebbe spento. E non erano sporadici: in una sola occasione, per inaugurare un tempio a Tenochtitlán (la capitale azteca) furono squartate ottantamila persone. Le cronache riferiscono l’orrore degli spagnoli quando si accorsero di star camminando su un tappeto di teschi umani. Il sangue umano era utilizzato anche per fabbricare stucchi e decorazioni, nonché per condire cibi. I più curiosi tra voi potranno utilmente consultare il mio I mostri della Ragione/2 (Ares), in cui diversi capitoli sono impiegati a descrivere in dettaglio tutta la vicenda della Conquista.

Il «buon selvaggio» non è mai esistito, con buona pace dei philosophes: fin dal suo primo viaggio Colombo fu avvisato dagli Arawak che nelle isole vicine stavano i Caribi, sanguinari e cannibali. Certo, alcuni spagnoli che non erano proprio brave persone ci furono. Ma sono stati gli stessi spagnoli a raccontarcelo. Certo, qualcuno che voleva schiavizzare gli indios ci fu, ma i missionari, la monarchia e il papa l’ebbero vinta contro quelli che, rifacendosi ad Aristotele, sostenevano che la schiavitù è «naturale». I cosiddetti «diritti umani» validi per ogni uomo nacquero proprio nel dibattito che scaturì in casa spagnola quando gli europei scoprirono che esistevano razze mai viste prima. Qualcosa del genere accadrebbe se su qualche pianeta trovassimo alieni allo stato selvaggio; la prima domanda da porsi sarebbe: sono persone, anche se sono verdi e hanno le antenne, o no?

A sterminare gli indios furono le malattie come il morbillo e il vaiolo, contro cui non avevano anticorpi. E contro cui la medicina europea era impotente. Ma genocidi – se proprio vogliamo usare questo termine – erano loro, non gli spagnoli. Gli scavi archeologici nell’America precolombiana hanno dimostrato che ogni popolo conquistatore distruggeva alla radice quel che aveva conquistato, i templi per primi. Fino a quando qualcun altro non distruggeva lui. Gli spagnoli, invece, subito si unirono in regolare matrimonio con le indie (anche perché avevano il fiato dei missionari sul collo) e la Chiesa fece sorgere una nuova civiltà conservando (secondo il dettato evangelico) quanto c’era di buono in quelle che aveva trovato. E facendo tirare un respiro di sollievo a tutti i popoli che, fin lì, erano stati bestiame da macello per Incas e Aztechi.