(Il Giornale) IL PAPA, LE ILLUSIONI E IL MEDIOEVO DELLA PACE

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(C) Il Giornale, 26 febbraio 2003

di Mons. A. Maggiolini

Ormai si sa.
Non c’è giorno senza che il papa torni a parlare di pace.
Ricevendo il segretario dell’ONU, il ministro degli esteri
irakeno, il premier inglese e così via.
O anche semplicemente affacciandosi alla finestra dello studio.
E’ commovente la tenacia di quest’uomo di Dio che non demorde davanti ad alcuna delusione. Invita i fedeli alla preghiera e al digiuno per il mercoledì
delle ceneri per superare il pericolo della guerra.
Invita incessantemente gli uomini di Stato al dialogo.
Chiede di arrestare l’onda paurosa del riarmo.
Segnala la necessità di popoli che sono alla fame e non possono
permettersi il lusso di profondere ricchezze per esercitare la
violenza.
Condanna il terrorismo e le situazioni di morte.
E invoca il Signore che non può approvare l’odio e la vendetta.
Eccetera.

Che impressione fa un Papa che quasi piange sulle cattiverie umane?

Lascio a lato la furbizia stolida-perversa?- di chi osanna Giovanni
Paolo II quando chiede la pace in Irak e lo disprezza e lo irride
quando richiama i valori della famiglia, della vita e così via.
Scelgano: o il plauso, o il disprezzo.

Il Papa è uno solo e si esprime a partire da una visione
antropologica sintetica: una sola, pure qui.

Vedo, invece, credenti che pur sono tentati di tirare il manto
papale dalla propria parte politica o ideologica.
E’ logica vecchia.
Basta isolare una frase dal contesto e si esalta o si condanna
chiunque: non capitò così anche a Gesù per l’affermazione
circa
il tempio del proprio corpo che egli avrebbe ricostruito in tre
giorni?

O basta mutare chiave di lettura: il Papa annuncia la parola di
salvezza e viene letto come se si recitasse un capitolo del
Principe di Macchiavelli o una pagina di Richelieu.

Questo è pure un modo per tradire il capo della Chiesa.
Quasi fosse il rappresentante di una potenza umana.
Quante divisioni ha l’esercito del Vaticano?

Vorrei procedere ancora un poco e valutare l’entusiasmo di quei
cattolici che si esaltano per i fastigi, per l’autorità, per la
gloria a cui è arrivato il Papa.
A lui si presentano e si inchinano i responsabili del mondo.
Egli è diventato quasi l’ultimo e unico punto di riferimento per
popoli tra loro nemici.
Egli solo può dire parole significanti e umane.
E richiamare alla speranza e all’impegno per la pace.
Sembra di essere tornati al medioevo quando il Papa incoronava
re e imperatori secondo la concezione gelasiana.
Sembra che riviva quella pagina fulgida di Eusebio di Cesarea
in cui si narra dei vescovi usciti dalla persecuzione e
introdotti nelle sale del palazzo di Costantino dove scoprono di
essere onorati oltre ogni attesa.

Calma.
Che Giovanni Paolo II goda di prestigio universale, lo si può
negare a fatica.
Risulta chiaro che egli si erge come l’estremo tribunale della
storia.
E come il pulpito più alto da cui si predica la fraternità
umana.
Umana perché cristiana.
E senza incrinature.
Senza fragilità.
Senza incertezze.
A lui guardano anche gli appartenenti ad altre religioni e
perfino gli atei o quasi.

Si fa presto a saltare dalla celebrazione del Papa alla
celebrazione della Chiesa.

Noi, cattolici nanerottoli, ci sentiamo eroi perché ci
nascondiamo dietro la figura giganteggiante di Giovanni
Paolo II.
Appropriazione indebita di trionfo, in gran parte.
Poiché – lo avvertiamo chiaramente in momenti di difficile
lealtà – la Chiesa cattolica di oggi, almeno nel Nord
Occidente, è spesso stanca, svilita, quasi rassegnata dentro
un mondo senza certezze e senza orientamenti.

E la freschezza e il vigore del vangelo quasi si spengono
sulle nostre labbra, tanto siamo preoccupati e affannati
nell’accordarci con tutti: a costo di non avere quasi più
nulla da comunicare all’uomo contemporaneo che attende Cristo
senza soverchie sfumature e senza attenuazioni distorcenti.

Un grazie al Papa.
Un esame di coscienza per noi cattolici un poco svagati,
svampiti, boriosi e vuoti.
Esagero?

+ Alessandro Maggiolini
Vescovo di Como