I Gesuiti e la Rivoluzione italiana nel 1848

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GIUSEPPE BRIENZA, I Gesuiti e la Rivoluzione italiana nel 1848, Chieti 2007, € 7

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Il bersaglio privilegiato delle campagne e persecuzioni rivoluzionarie dei secoli XVIII e XIX spettò indubbiamente ai religiosi appartenenti alla Compagnia di Gesù. Il saggio di Giuseppe Brienza, dottorando di ricerca all’Università “La Sapienza” di Roma e corrispondente dell’Istituto per lo studio dell’Insorgenza e dell’Identità Nazionale (ISIIN), delinea il quadro politico che nella prima metà dell’Ottocento condusse alla persecuzione dell’Ordine fondato da Sant’Ignazio di Loyola, in un’Italia infiammata dall’ebbrezza “risorgimentale” e liberal-massonica.
La ricostruzione che l’Autore compie non si pone come un puro esercizio storico, ma intende offrire un quadro emblematico di quanto accadde nel periodo che va dalla Restaurazione sino alle soglie della unità d’Italia, e che ebbe in pochi anni la capacità di modificare profondamente gli assetti culturali e istituzionali del nostro Paese.
Già nel 1700 le correnti illuministe e massoniche si erano prodigate nell’influenzare le corti europee contro i Gesuiti, che rappresentavano la punta di diamante della cultura cattolica. Si giunse così alla soppressione della Compagnia nel 1773 ad opera di Papa Clemente XIV (1769-1774), misura indotta dalla campagna calunniosa in atto almeno da mezzo secolo e che provocò in tutto il mondo la sensibile riduzione del numero dei religiosi ignaziani: da 24.000 ad appena 600.
Ristabiliti dopo il vortice sanguinoso delle guerre napoleoniche, a partire dal 1814 i Gesuiti divennero di nuovo i più attivi difensori del Papa, “…una vera e propria elite militante in favore dell’ortodossia e dei diritti della Chiesa” (p. 6), e specie in Italia si assisté ad un aumento esponenziale delle vocazioni.
Ma nell’Europa della Restaurazione i germi del liberalismo anticattolico non impiegarono molto a proliferare e a dar vita a nuove campagne diffamatorie: nonostante i Gesuiti non si occupassero direttamente di politica, e conformemente alla dottrina sociale della Chiesa non appoggiassero una particolare tipologia di regime politico a detrimento di altre, tuttavia svolgevano un ruolo determinante nella difesa dei diritti delle comunità cattoliche e nella formazione autenticamente cristiana della gioventù. Il preludio delle persecuzioni in Italia si ebbe in Svizzera, dove il governo federale impose per decreto la chiusura dei conventi e lo scioglimento degli ordini religiosi. Per protesta nel dicembre 1845 sette cantoni a maggioranza cattolici si riunirono nella Lega del Sonderbund che, nel luglio del 1847, fu dichiarata fuori legge dalla Dieta federale, dove i Protestanti e i liberali godevano della maggioranza. Nella breve guerra civile che ne scaturì i Cattolici furono duramente battuti e dovettero accettare la fine dei propri statuti di autonomia.
Ne seguì, a partire dal settembre 1847, “…l’espulsione dei Gesuiti da tutto il territorio svizzero, bando che si protrarrà addirittura sino al 1973” (p. 13).
Sulla scorta degli eventi svizzeri, in Italia la nuova ondata antigesuitica montò anche grazie all’attività pubblicistica di padre Vincenzo Gioberti, considerato fra i più “moderati” del c.d. Risorgimento italiano.
Nonostante il suo “Primato morale e civile degli Italiani” avesse incontrato l’apprezzamento ed anche il plauso di alcuni settori della Compagnia di Gesù, preoccupato di perdere consenso presso il partito liberale, l’abate piemontese assunse un atteggiamento progressivamente sempre più aggressivo, fino ad attaccare direttamente la Compagnia con il libello “Il Gesuita moderno”.
Era il “segnale” atteso. Campagne di stampa e violenze di piazza furono un tutt’uno, a partire dal Regno di Sardegna dove il Re Carlo Alberto aveva concesso lo Statuto e poi promulgato leggi che espellevano i Gesuiti dal Regno. Nel clima generale rivoluzionario del 1848 persino nello Stato pontificio i religiosi di S. Ignazio non furono più molto al sicuro tanto che, nel marzo del ’48, “…il papa stesso fece sapere al generale padre Jan Roothan (1785-1853) che egli non era più in grado di garantire la loro incolumità e quindi, pur rendendo omaggio ai meriti della Compagnia, li pregava di lasciare gli Stati pontifici.” (p. 48).
Nel novembre del 1848 anche a Roma i giochi dei Rivoluzionari divennero chiari, e l’escalation di aggressività anticattolica costringerà lo stesso Pio IX a fuggire a Gaeta.
Durante l’effimera Repubblica Romana che ne seguì, si registrarono “…occupazioni di conventi, profanazioni di chiese, massacri di sacerdoti, secondo il modello tipico di ogni Rivoluzione” (p. 46). Anche gli insigni monumenti dell’arte sacra non furono risparmiati, e lo stesso Giuseppe Mazzini, partendo da Roma dopo la sconfitta dei Repubblicani completamente privi del sostegno popolare, si portò dietro in esilio “…molti oggetti preziosi rubati nelle chiese di Roma” (Ibidem).
Molti Gesuiti in quel drammatico 1848 furono costretti ad abbandonare l’Italia ma, la Provvidenza, volle che gli Stati presso cui trovarono rifugio, specialmente Inghilterra e Stati Uniti, divenissero terreno fertile di apostolato e di nuove vocazioni ignaziane. Non solo: accusati di oscurantismo dalla vulgata liberale italiana, molti padri all’estero si distinsero proprio per la loro cultura e per i molteplici successi nel campo delle scienze, raggiungendo notorietà anche mondiale. Fra questi i padri Francesco de Vico e Angelo Secchi, considerati ancora oggi i pionieri dell’astrofisica moderna. Anche da questo punto di vista il saggio di Giuseppe Brienza rappresenta uno strumento molto utile per ricordare e ricostruire personaggi ed eventi storici su cui, ancora oggi (persino da parte di alcuni ambienti cattolici), regnano disinformazione o, peggio, subalternità alla vulgata ideologica affermatasi grazie al potere ed alle menzogne diffuse dai “vincitori”.

Roberto Cavallo
(www.recensioni-storia.it)