Gnocchi – Palmaro: La domenica andando alla Messa

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E scopri di essere finito in un’assemblea dove Gesù è confinato tra le varie ed eventuali Mamma mia, che coda! Il solito ingorgo all’incrocio poco più avanti. Dietro, qualcuno comincia a perdere la pazienza e rumoreggia: allora, andiamo? Nella fila di fianco, la ragazza con l’ombelico di fuori si è stancata di masticare la cicca e la mette educatamente in tasca dopo averla avvolta nella carta. I due davanti guardano l’orologio con ansia e si scambiano un’occhiata: se continua così, addio aperitivo.

Scene di ordinario traffico su una tangenziale congestionata?

No, scene di ordinaria sciatteria al momento della Comunione, una qualsiasi domenica mattina….

Adesso qualcuno dirà che questa è la solita rampogna del solito cattolico tradizionalista incarognito e superato dal tempo. Ma qui bisogna intendersi. “Cattolicesimo” e “tradizione” sono consustanziali e, a rigore, “cattolico tradizionalista” non è un’offesa ma un complimento persino banale. Detto questo, c’è da chiedersi come uno non debba incarognirsi davanti agli scempi a cui è costretto ad assistere otto volte su dieci quando va a messa.

Quanto al “fuori dal tempo”, bisogna girare l’accusa alla Congregazione per il culto divino, che il 25 marzo 2004 ha pensato bene di emanare la Redemptionis Sacramentum con l’esplicito sottotitolo «Certi punti da osservare o da evitare nei confronti della Ss.ma Eucaristia». Dentro questo documento, si trova un repertorio di 37 tipologie di abusi liturgici che flagellano il Corpo Mistico di Cristo ogni domenica che Lui, ostinatamente, continua a mandare in terra. E, per carità di patria, non prendiamo come riferimento la Mediator Dei di quel grandissimo Pontefice che fu Pio XII.

Ma, mentre ci attardavamo in queste precisazioni, la coda è avanzata su due file: al termine di una, a distribuire l’Eucaristia, c’è il curato, al termine dell’altra c’è una donnina tutta compresa dal ruolo di ministro straordinario della Comunione. E il parroco? Sarà malato, poveretto. Invece, no, il parroco è lì, sano come un corallo, a dirigere i canti.

Il cattolico tradizionalista incarognito, che naturalmente si trova nella fila della donnina, cambia posto e si mette in quella del curato. Non sarà gentile nei confronti della signora, ma è un impulso più forte di lui. Quando si gira, nota che altre quattro persone hanno fatto lo stesso: tradizionalisti incarogniti anche loro? Può darsi. O, forse, hanno in dote un soprannaturale buon senso. O, forse ancora, hanno letto la Redemptionis Sacramentum al punto 157: «Se è di solito presente un numero di ministri sacri sufficiente anche alla distribuzione della santa Comunione, non si possono deputare a questo compito i ministri straordinari della santa Comunione. In simili circostanze, coloro che fossero deputati a tale ministero, non lo esercitino. È riprovevole la prassi di quei Sacerdoti che, benché presenti alla celebrazione, si astengono comunque dal distribuire la Comunione, incaricando di tale compito i laici».

E, allora, perché il parroco dirige i canti invece che distribuire la Comunione? «Perché la suora è stonata» spiegherà più tardi un’altra pia donna, che si affretterà ad aggiungere: «Ma non deve preoccuparsi, la signora che distribuisce la Comunione ha fatto un corso».

Ha fatto un corso? Questa è bella. E dove siamo? In una chiesa o alla scuola Radio Elettra? E, di grazia, dove ha studiato la signora? Al Cepu con Bobo Vieri? Ma se la signora «fa un corso» e diventa “ministro straordinario della Comunione”, Umberto Eco, senza neanche frequentare, che cosa fa? Diventa Papa?

È la malefica tentazione intellettuale penetrata come il fumo di satana nel tempio di Dio. Tutto deve essere chiaro e distinto come un’idea di Cartesio. Che pena questi profanatori del Mistero che vivisezionano il Corpo di Cristo sotto i ferri del loro orgoglio. Hanno spazzato via il rito di San Pio V, hanno ridicolizzato il latino, hanno demolito il gregoriano e ora celebrano se stessi.

E poi hanno il coraggio di dire che tra i mali della messa tradizionale c’è il protagonismo del sacerdote. Lo dicono loro che, quando arraffano il microfono per l’omelia, non lo mollano per mezz’ora e, magari, scendono anche tra i banchi a intrattenere i fedeli, pardon, il pubblico. Loro che si beano di democrazia ed egualitarismo, ma hanno umiliato le vecchine che osavano recitare il rosario durante le loro messe: perché la messa, secondo questi signori, è cosa “loro”.

E non è ancora finita. Arrivati davanti al sacerdote, guai se un povero cattolico volesse ricevere l’Eucaristia in ginocchio. Sia anatema il temerario che osa ostentare la propria fede umiliando quella degli altri. In realtà, l’unico a sentire umiliata la propria fede parrebbe essere il prete, che forse ne ha ben donde e, comunque, farebbe bene a ripassare la Redemptionis Sacramentum, punto numero 90: «I fedeli si comunicano in ginocchio o in piedi, come stabilito dalla Conferenza dei Vescovi e confermato da parte della Sede Apostolica. Quando però si comunicano stando in piedi, si raccomanda che, prima di ricevere il Sacramento, facciano la debita riverenza, da stabilire dalle stesse norme».

Poi, continui con il punto 92: «Benché ogni fedele abbia sempre il diritto di ricevere, a sua scelta, la santa Comunione in bocca, se un comunicando, nelle regioni in cui la Conferenza dei Vescovi, con la conferma da parte della Sede Apostolica, lo abbia permesso, vuole ricevere il Sacramento sulla mano, gli sia distribuita la sacra ostia. Si badi, tuttavia, con particolare attenzione che il comunicando assuma subito l’ostia davanti al ministro, di modo che nessuno si allontani portando in mano le specie eucaristiche. Se c’è pericolo di profanazione, non sia distribuita la santa Comunione sulla mano dei fedeli». Com’è, allora, che la maggior parte della gente se ne torna al suo posto come se uscisse da una tavola calda? C’è persino chi tiene l’ostia nella mano a coppetta e ogni tanto pilucca.

E come tacere sullo scambio del segno di pace? Redemptionis Sacramentum, punto 72: «Conviene che ciascuno dia la pace soltanto a coloro che gli stanno più vicino, in modo sobrio». E, invece, lo «Scambiatevi un segno di pace» pare diventato il comando di una quadriglia. E a certi preti non basta che i fedeli si comportino come in una balera. No, spediscono i poveri chierichetti a stringere le mani fino in fondo alla chiesa. Questa sì che è raffinata catechesi: vogliono spiegare che siamo tutti fratelli e lo mandano a dire dai chierichetti.

Cara, vecchia messa di San Pio V, quanto bene faresti ai tanti cattolici che vorrebbero adorare Dio come si deve. E, invece, eccoci costretti a subire le blasfeme bandiere della pace sugli altari, le omelie ispirate al Vangelo secondo Marx, gli orrendi cartelloni che coprono le opere d’arte, le preghiere dei fedeli che sembrano scritte dall’assistente sociale, le letture sostituite da testi di altre religioni, le omelie affidate ai laici, i pezzi di messa inventati. E quella devastante mania di chiamare la messa “assemblea”, come fosse una riunione di condominio a cui è possibile lasciare una delega.

Niente paura, viene tutto risolto nel concetto magico di questi ultimi decenni: comunità.

La comunità è divenuta la ragione ultima di tutto. Perché uno prega, si confessa, va a messa, compie opere di carità, cerca di seguire il più possibile i dieci Comandamenti? Per la comunità, mica per Gesù Cristo. Così la coscienza individuale va persa completamente. Tanto che alcuni preti preparano i fedeli alla confessione invitandoli a chiedere scusa alla comunità.

E allora, per salvare la laicità, perché non anche al sindaco? Ma, al giudizio finale, non si andrà in comitiva: ognuno ci andrà per conto proprio, come individuo, esattamente come Dio lo ha messo al mondo.

E per finire, un po’ di musica. Mentre la mandria si accalca alla porta travolgendo il povero cattolico tradizionalista incarognito che, con moglie e figli, sta cercando di fare la genuflessione, partono le note di Risposta. Forse è bene sapere che Risposta non è un canto liturgico. È la traduzione italiana di Blowin’ In The Wind, il cui autore è il celeberrimo e ricchissimo ribelle americano Bob Dylan.

Il quale, quanto meno ai tempi di quella canzone, era un ebreo ateo. Tant’è vero che, al termine di tutte le questioni poste nel testo, dice esplicitamente: «Risposta non c’è, o forse chi lo sa, perduta nel vento sarà».

Povero Gesù, venuto tra gli uomini a dire: «Io sono la via, la verità, la vita». Qui finisce che gli danno pure del visionario.

Tratto da: Alessandro Gnocchi, Mario Palmaro – Contro il logorio del laicismo moderno – Piemme – 2006 – pp. 208 – € 11,50 – http://www.theseuslibri.it/open2b/preview/product.asp?Id=759