Finche’ elettore non vi separi

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\"\"Schiacciato dall’economia e quasi assente nelle primarie, quello dei matrimoni gay resta il tema in grado di polarizzare di più l’America. Obama e McCain e la mediazione con la base

Alberto Simoni

 

Pubblichiamo un brano di La corsa più lunga, il libro di John Samples e Alberto Simoni in uscita a settembre per l’editore Lindau.

La contrapposizione fra i diritti individuali e la difesa dei valori tradizionali si misura oggi anche sullo scontro in atto sui matrimoni omosessuali. Quasi assente dalle primarie, il tema potrebbe polarizzare ancora una volta l’elettorato americano in novembre in seguito alla decisione della Corte suprema della California di legalizzare le nozze gay e alla delibera del governatore dello Stato di New York per riconoscere sul territorio statale i matrimoni e le unioni omosessuali celebrati e registrati negli altri Stati.
Due decisioni arrivate nel giro di poche settimane che potrebbero avere gli stessi effetti di quella dei giudici del Massachusetts che nel 2004 trasformarono lo Stato del New England nell’avamposto dei matrimoni fra omosessuali. Quattro anni fa la reazione dell’opinione pubblica, sul fronte conservatore e del mondo politico repubblicano guidato dalla Casa Bianca, fu immediata. Nel giro di poco tempo, 23 Stati dell’Unione misero fuori legge i matrimoni gay e nell’Election Day del 2004, oltre che per Bush e Kerry, gli elettori di 11 Stati votarono per bandire a livello di Costituzione statale dal loro territorio le nozze fra persone dello stesso sesso. Ad oggi solo due Stati, New Mexico e Rhode Island, non hanno alcuna norma sui gay marriage. Quarantuno Stati hanno in vigore leggi che limitano il matrimonio all’unione di un uomo e una donna. Bush, supportato (quando non sospinto) dalla destra cristiana aveva proposto nel 2004 un emendamento alla Costituzione (Federal Marriage Amendment, Fma) per vietare su scala nazionale i matrimoni omosessuali.
Impresa titanica vista la maggioranza dei due terzi richiesta al Congresso e la ratifica di 38 Stati per integrare la Carta dei Padri fondatori. Infatti il piano di Bush e le diverse formulazioni dell’Fma si sono arenate subito nel 2004 e poi definitivamente nel 2006. Il disegno è stato riposto nel cassetto con grande delusione e un diffuso senso di «tradimento» negli ambienti evangelici. Ma per la destra cristiana e i conservatori vietare a livello nazionale i matrimoni omosessuali e rafforzare le restrizioni del Doma (Defense of Marriage Act 32 del 1996) – il quale consente agli Stati di non riconoscere le unioni civili contratte in altri Stati e attesta che il matrimonio è fra un uomo e una donna – resta uno dei punti cardine. Secondo Karylin Bowman, ricercatrice dell’American Enterprise Institute, l’America è «esausta» di questa contrapposizione. William Galston afferma che i temi etici non troveranno spazio fra le preoccupazioni degli americani: «L’economia schiaccia tutti gli altri issue». A suo dire la vicenda californiana resterà un caso isolato. Ma un sondaggio diffuso il 29 maggio dal Pew Research Center for the People and the Press rivelava che il 28 per cento degli elettori considera il tema dei matrimoni omosessuali «molto importante per orientare le scelte di voto», appena 4 punti in meno del 32 per cento dell’ottobre del 2004. Se l’issue è in fondo alle preoccupazioni degli elettori (così come l’aborto), per coloro che si oppongono alle unioni gay è invece la questione più importante in gioco il 4 novembre.
Sia per Obama sia per McCain la questione gay marriage è spinosa. Entrambi nel 2006 si sono opposti all’emendamento costituzionale per bandire le nozze omosessuali. E questo è un punto debole per il senatore dell’Arizona verso i conservatori. Ma anche Obama ha i suoi grattacapi. Pur sostenendo la necessità di abrogare il Doma («una legge che nega i diritti di gay e lesbiche»), il candidato democratico non si è mai discostato dall’idea che il matrimonio è sempre e solo fra un uomo e una donna. Egli, piuttosto, è favorevole alle unioni civili. Una posizione troppo timida, secondo diverse organizzazioni omosessuali, alla quale in verità non ha mai rinunciato, nemmeno quando il 9 agosto del 2007 ha partecipato a un forum sui diritti gay organizzato dal network tv Logo e dalla Human Right Campaign. D’altronde Obama si trova ad avere nel suo potenziale bacino elettorale una fetta di elettori, gli stessi afroamericani e in parte le donne ispaniche, che sono i più accesi oppositori del matrimonio fra persone dello stesso sesso. I guai maggiori con la sua base li ha però sicuramente McCain. Il «no» all’emendamento costituzionale lo ha messo sulla lista nera delle associazioni più conservatrici, dal Focus on the Family di James Dobson, sino al Family Research Council di Tony Perkins. Quest’ultimo, a fine maggio, ha ospitato un convegno «sulle implicazioni della sentenza della California e sulle strategie per contrastare l’assalto al matrimonio e alla famiglia». Il caso californiano potrebbe però alla fine persino rivelarsi foriero di buone notizie per McCain che lentamente, come su altri temi, dall’immigrazione alle politiche economiche, ha progressivamente rinunciato ai toni da maverick, e ha sostenuto il fronte del sì sul referendum californiano per vietare le nozze omosessuali. Il candidato repubblicano infatti, pur ritenendo che le decisioni sulle unioni gay non sono di pertinenza del governo federale ma dovrebbero essere lasciate agli Stati, è convinto che se le Corti continueranno a imporre costumi, comportamenti, leggi a colpi di sentenze, una eventuale amministrazione McCain finirebbe con il sostenere un emendamento contro il matrimonio gay proprio «per restaurare l’equilibrio di poteri».