Diplomazia pontificia e Kulturkampf. La Santa Sede e la Prussia tra Pio IX e Bis

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Massimiliano Valente, Diplomazia pontificia e Kulturkampf. La Santa Sede e la Prussia tra Pio IX e Bismarck (1862-1878), con una prefazione di Lutz Klinkhammer, Studium, Roma 2004, pp. 272.

Sui rapporti fra Santa Sede e Prussia negli anni in cui questa si trasforma in Secondo Reich hanno indagato a partire dagli anni 1960 diversi studiosi tedeschi, che si sono avvalsi anche della documentazione degli archivi vaticani, nella misura in cui questi sono stati via via aperti ai ricercatori.

A questo insieme di lavori fa ora seguito il saggio di un giovane studioso italiano, Massimiliano Valente, che, per il suo dominio delle fonti, sia di quelle italiane, sia di quelle in lingua, si situa con autorevolezza nel filone degli studi sul tema.

Valente — e questo è un elemento innovativo rispetto agli studi precedenti — assume come orizzonte temporale un periodo più ampio rispetto a quello in cui si svolge il cosiddetto Kulturkampf, la «lotta di civiltà», partendo dall’ascesa al cancellierato di Otto di Bismarck (1836-1904) fino alla morte di Papa Pio IX (1846-1878) nel 1878. Prende quindi in esame anche il periodo fra il 1862 e il fatidico 1870 — l’anno che segna la fine del potere temporale, la promulgazione dell’in­fal­li­bilità pontificia nel presto interrotto Concilio Vaticano I (1869-1870), il completamento dell’unità italiana e l’avvio alla conclusione del processo di costruzione dell’impero tedesco — in cui i rapporti fra Prussia e Roma e fra vescovi prussiani e Berlino si mantennero sostanzialmente buoni.
Va premesso che l’analisi di Valente, per poter prendere in esame un oggetto costante e omogeneo, vista anche la più ampia prospettiva cronologica adottata, è rivolta soprattutto alla Prussia, la quale, anche dopo l’unificazione, manterrà prerogative sue nel campo della legislazione ecclesiastica.

Particolare risalto — anche per l’influenza di questo elemento personale sul piano dei fatti — è dato alla figura dei due protagonisti del conflitto, il «papa del Sillabo» e «il cancelliere di ferro»: se i rapporti fra Pio IX e l’imperatore Guglielmo I (1797-1888) si manterranno sempre sostanzialmente buoni, quelli fra papa e cancelliere si incrineranno a partire dal fallimento delle negoziazioni fra Roma e Berlino del 1870: ma fino ad allora Bismarck non si irrigidisce su posizioni ideologiche oltranzistiche, né dà segno di essere preda di un luteranesimo fanatico. Per questo — sottolinea Valente — il dissidio nasce prima sul piano politico, nello scontro fra Bismarck e il partito dei cattolici — il cosiddetto Zentrum —, poi si sposta sul piano della vita organizzata del cattolicesimo stesso — con l’usuale bouquet di provvedimenti restrittivi, che vanno dalle limitazioni del culto, alle incarcerazioni di vescovi, alla soppressioni degli ordini religiosi, alla chiusura dei seminari —, per poi sfociare nel più allargato confronto fra la Santa Sede e il governo imperiale. Bismarck sembra aver coltivato il disegno di servirsi di Pio IX nel suo rapporto con il Zentrum — sia prima sia dopo l’unificazione — e come mediatore con la Francia, e che, constatata — probabilmente a causa di una sua difettosa concezione del ruolo del pontificato in seno alla Chiesa — l’incapacità di Roma di operare nel senso auspicato, se ne sia a poco a poco disinteressato.

In effetti, una volta costituito l’impero, il primo oggetto di contesa diverrà la legislazione scolastica, dove da parte del governo prevarrà la lettura data alla neo-proclamata pretesa cattolica relativa all’infallibilità magisteriale come elemento che poteva mettere in crisi il rapporto di uguaglianza giuridica fra cattolicesimo e altre confessioni. Mentre, da parte cattolica, si vedrà nella proposta di riforma un tentativo unilaterale, quindi eversivo, rispetto alla situazione in vigore fin dai tempi di Gregorio XVI (1831-1846) e di Federico Guglielmo IV (1795-1861).

In seguito, il trionfo elettorale del Zentrum nelle prime elezioni del Reich, fu visto come una minaccia nei confronti del genuino spirito protestante prussiano a causa del suo programma di tutela di aspetti confessionali e difensivo della posizione del Papa nel quadro della Questione Romana. Anche perché, nella struttura federale del Reich, la minoranza cattolica — che allora comprendeva circa un terzo dei tedeschi — in alcune regioni, come l’importante Baviera e le nuove regioni incorporate, come l’Alsazia, la Lorena e le terre polacche, diventava di fatto una maggioranza e questo pareva minare in prospettiva la coesione della nuova compagine politica. Di conseguenza il governo imperiale, dopo aver esperito qualche assaggio volto a verificare se Roma si mostrasse disponibile a intervenire nella situazione, apre le ostilità contro il partito e le organizzazioni cattolico, poi contro le gerarchie locali, infine, contro la Santa Sede. Da politica l’offensiva dello Stato germanico si fa legislativa: nuove leggi, sempre più complesse, vengono emanate al fine di laicizzare la Germania e di separare sempre più nettamente la Chiesa dallo Stato.

Gli anni in cui il conflitto infierisce in maniera più violenta vanno dal 1873 al 1875: le leggi eccezionali sono del maggio 1874, mentre la rottura delle relazioni diplomatiche inizia nel 1872 e si protrae ben oltre la morte di Pio IX, fino al 1887. E Bismarck — che pur negherà sempre di voler attaccare i cattolici, affermando che il suo vero nemico è il cattolicesimo politico — non è esente da critiche per la determinatezza — che sottovalutava alquanto le capacità di resistenza dell’avversario e poco si preoccupava delle conseguenze dilaceranti che avrebbe provocato in un paese ancora in fieri — posta nel voler arrivare al suo scopo. Anzi, nell’asprezza dello scontro, sembrerà voler addirittura modificare quest’ultimo, passando dalla separazione alla mera soggezione, alla protestante, dei cattolici allo Stato.

La lotta per la separazione si tramuterà così una sorta di vicolo cieco per il governo germanico. «Che per Bismarck il Kulturkampf fosse una battaglia principalmente politico-diplomatica finalizzata alla preservazione dell’unità dell’Impero è dimostrato dalla involuzione del conflitto, determinata anche dal cambiamento della situazione parlamentare e degli schieramenti politici. Nel distaccarsi dai liberali il cancelliere si rese conto che la persecuzione attuata contro i cattolici aveva permesso un rapido sviluppo del socialismo all’interno del Reich. In ultima analisi, il cancelliere [non era riuscito] nell’intento di coinvolgere la popolazione protestante tedesca in questa “lotta per la civiltà”. Erano state create solo divisioni all’interno del Paese e si era permesso lo sviluppo di un altro partito ben più pericoloso, secondo lo stesso Bismarck, per la stabilità dell’Impero. Inoltre, anche sul piano internazionale, numerose erano le proteste elevate da parte delle potenze europee […], mentre il riaccendersi della “questione d’Oriente” stava di nuovo minacciando gli equilibri europei» (p. 250).

Dal punto di vista romano Valente evidenzia come i cattolici sottovalutarono inizialmente l’interlocutore, pensando di muoversi ancora in un contesto in cui le garanzie costituzionali per il cattolicesimo potessero essere negoziate su un piano di parità, mentre il nuovo Stato si arrogava la prerogativa dell’unilateralità. Inoltre, Roma scende in campo anche per dimostrare di essere ancora una potenza in grado di dire la sua nel contesto internazionale anche dopo la fine del potere temporale. Anche le rigide modalità di lotta adottate da Roma — la resistenza passiva dei militanti, la condanna magisteriale e il genere di argomenti dottrinali introdotti nella polemica — sono condizionati dal contesto.

Valente conclude la sua analisi optando per la «teoria della confusione» di obiettivi e metodi di lotta da parte di entrambi i contendenti. Mentre il cancelliere tedesco nella sua lotta contro il partito cattolico si sarebbe a torto allargato al terreno dei rapporti Stato-Chiesa, l’errore di quest’ultima sarebbe stato proprio di non ricondurre il conflitto al suo vero alveo, ma di aver accettato lo scontro sul terreno dei principi e dei rapporti fra sfera temporale e sfera spirituale. Dunque, due vie entrambe senza uscita nel nuovo contesto della seconda metà del secolo XIX.

Fra le risultanze più originali dell’analisi di Valente si situa la segnalazione, nella nuova condizione di vita dei cattolici germanici creata dalla leggi bismarckiane, l’emergere sul suolo tedesco di due realtà, di minor risalto in precedenza: la Conferenza dei vescovi germanici, che si radunava a Fulda, e la superstite nunziatura presso il Regno di Baviera, che inizia a svolgere il ruolo di nodo di smistamento delle comunicazioni fra Roma e i vescovi tedeschi. Così pure, parallelamente, a Roma assume crescente rilievo l’azione della Congregazione per gli Affari Ecclesiastici Straordinari.

Le fonti impiegate dal giovane contemporaneista romano — che ha al suo attivo anche Questione romana e relazioni diplomatiche italo-prussiane nella crisi del 1867 (Il Diritto Ecclesiastico, n. 4, 1997, pp. 1.070-1.090); Pio IX, il Sacro Collegio e il Corpo Diplomatico di fronte alla questione della partenza da Roma dopo la caduta del potere temporale (in Il Diritto Ecclesiastico, n. 3, 1999, pp. 784-833) —, tanto quelle italiane quanto quelle in lingua tedesca, si rivelano abbondanti, ben assortite come tipologia — studi, testi legislativi, carteggi, atti, documenti di archivio —, nonché ben selezionate, aggiornate e del tutto puntuali.

Oscar Sanguinetti
[Si ringrazia: http://www.identitanazionale.it/]