Dio e i ricchi

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EDUARDO CAMINO, Dio e i Ricchi, Ares, Milano 2003, pp. 168, euro 14, ISBN 88-8155-271-X

La bella copertina, riproducente La vocazione di Matteo del Caravaggio, introduce al tema del libro in un clima familiare a chi possiede quel minimo di confidenza con le opere d’arte.
L’apostolo Matteo in abiti rinascimentali, con un volto stupito e al tempo incredulo (ma anche meravigliato e gioioso), è investito da un fascio di luce che squarcia la penombra.
È la chiamata del Signore.
La vocazione.
Dall’assidua contemplazione di un quadro nasce il libro.
Il movente può non sembrare originale, ma il risultato ha qualcosa di sorprendente.
La riflessione che si snoda non ha nulla da spartire con i trattati per gli specialisti della pittura, mette invece a fuoco una tematica anticonformista in campo spirituale: neppure ai ricchi sono precluse le porte del Regno dei cieli. La minuziosa analisi di un dipinto trascina con sé interessantissime conclusioni di natura spirituale.
Come appunto insegna la vicenda di Matteo, folgorato dal Signore a quel tavolo delle imposte con cui aveva tanta confidenza.
È illuminante la descrizione, da cui si comprende anche il coinvolgente modo di narrare dell’autore, con cui viene analizzato il momento dell’invito di Gesù al suo futuro discepolo: «Concentriamoci sul movimento della mano destra e del braccio. Mano e braccio non si tendono in modo lineare, ma presentano una lieve inclinazione; una piccola curvatura, che risulta altamente espressiva.
Immaginiamo per un istante che il Caravaggio voglia ignorarla e ci presenti il braccio teso, completamente teso.

Aggiungiamo, adesso, il messaggio verbale che accompagna il gesto: «Seguimi».
Come interpreteremmo tale messaggio?
Non sarebbe sbagliato vederlo come un ordine, un comando: un’imposizione.
Invece, una leggera angolatura dell’articolazione rende la chiamata più amabile; la parola divina appare dunque un invito, piuttosto che un comando.

Dio agisce così: senza imporsi.
La sua chiamata rispetta sempre la libertà della creatura.
Egli ci invita.
Matteo può seguirlo oppure no, ma sicuramente Lui non lo forzerà.

Questo modo divino di agire è il più adeguato alla nostra natura. […] Cristo ci invita liberamente a seguirlo: “vieni e vedi”.
Il cristianesimo è un invito.
Poche cose possono “convincere” un uomo a intraprendere una “pazzia” come quella di Matteo. Anzi, soltanto una cosa può farlo: l’amore di Cristo».

Eduardo Camino, docente di Morale economica alla Pontificia università della Santa Croce di Roma, ha le idee molto chiare sulla reale possibilità di un dialogo tra Dio e la creatura.

L’uomo non è stato gettato alla cieca nel mondo.
È stato amato dall’eternità.
Può instaurare un rapporto con Dio proprio perché creato a sua immagine e somiglianza.
È chiamato per nome con un’iniziativa di amore paterno: «Dio ci chiama prima che noi siamo in grado di dirigerci a Lui e mette in noi l’amore con cui spera di essere corrisposto.
Dio ci precede; viene da noi con affetto paterno».

Non tutti gli uomini sono disposti a stabilire un dialogo con Dio.
Molti cristiani dimenticano, forse non consapevoli di uno degli insegnamenti fondamentali del Concilio Vaticano II, che è proprio dell’uomo interrogarsi sul senso della vita, anche per scoprire il disegno divino intimamente legato alla singola esistenza.
Per ogni uomo c’è una buia stanza di taverna – per rimanere nel contesto del quadro caravaggesco –che può d’improvviso rischiararsi allo sguardo del Signore.

Anche i ricchi possono conquistare il Regno dei Cieli, come suggerisce a più riprese la seconda parte del libro.
Ma è indispensabile è riuscire a scoprire la «voce» di Cristo nel mezzo delle attività, gettare lo sguardo oltre le consolazioni umane e le sicurezze – sempre relative – che possono offrire i beni di questo mondo, sull’esempio di quanto fece Matteo.

L’autore ben individua i rischi che possono accecare l’uomo ben provvisto di beni materiali, impedendogli di seguire da vicino Gesù, come già accadde al «giovane ricco» di evangelica memoria:
«Dov’è pertanto la difficoltà, comparabile al passaggio del cammello attraverso la cruna dell’ago? Che cosa rende il Cielo inaccessibile a un ricco? La difficoltà sembra trovarsi nel fatto che i beni potrebbero riuscire a oscurare Dio e le cose di Dio… In altre parole, i beni possono conquistare il cuore umano a tal punto che ciò che è davvero importante, l’eterno, non trovi spazio. La difficoltà per il ricco sta nel sentire, tra tutte le sue ricchezze, la necessità di qualcosa e, soprattutto, di Qualcuno; è difficile, in quanto la ricchezza dà un certa “sicurezza”. Tutto ciò che comporta la ricchezza contribuisce “a farci sentire indipendenti da Dio, poiché se l’abbiamo, ci sentiamo felici e contenti già in questa vita. Non vogliamo prestare attenzione a nient’altro, cercando appoggio in un’incerta felicità come se durasse in eterno».

È rassicurante pensare alla conclusione dell’episodio di Matteo.
Il tavolo delle imposte carico di monete – i sogni dei facili e copiosi guadagni – vengono abbandonati di slancio.
Il fischio del Buon pastore, se accolto, è irresistibile.
Ne consegue una gioia grande, straripante, frutto della dedizione completa al disegno divino:
«Matteo vuole celebrare il suo incontro con Cristo, il fatto che il Maestro si sia accorto di lui, la gioia sprigionata alla risposta. Matteo celebra la scoperta della ragione della sua esistenza: ciò che Dio si aspettava da lui e… vuole diffonderlo. La sua festa è segno che quella chiamata non si esaurisce in sé stessa; dev’essere condivisa e giungere al resto dell’umanità».

Andrea Germi