Denzinger: Racconta dei simboli della fede

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\"\"Heinrich Denzinger, Enchiridion symbolorum definitionum et declarationum de rebus fidei et morum, edizione bilingue a cura di Peter Hünermann, EDB. Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 1995, pp. LXVIII+ 1.852+[382], £ 165.000

 

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Quando Heinrich Joseph Dominikus Denzinger pubblicò, nel 1854, la prima edizione dell’Enchiridion dei simboli e delle definizioni che sono stati emanati in materia di fede e di costumi dai concili ecumenici e dai Sommi Pontefici non immaginava certamente l’immensa fortuna che la sua opera avrebbe avuto: a tutt’oggi ben trentasette edizioni.
 
Il trentacinquenne sacerdote tedesco si era reso conto che i teologi, i sacerdoti e i laici colti trascuravano il Magistero della Chiesa non solo per scarsa sensibilità o per pregiudizi teologici, ma anche per la difficoltà di accedere a un materiale vastissimo, sparso in collezioni monumentali e difficili da reperire. Pensò così di mettere nelle loro mani appunto un "manuale" dove i principali documenti — o i brani principali di essi — fossero riportati in bell’ordine cronologico.
La prima edizione contava cento documenti dagli inizi della Chiesa al Pontefice allora regnante, il beato Papa Pio IX.
 
Ormai, fra gli addetti ai lavori, basta dire "il Denzinger" per intendersi.
Sfogliando il Catechismo della Chiesa Cattolica ci si imbatte a ogni piè sospinto nella dicitura Denz.-Schönm. seguita da un numero: è l’abbreviazione di Denzinger-Schönmetzer. Padre Alfons Schönmetzer, gesuita, è stato l’ultimo di una lunga serie ad aggiornare l’opera ormai classica.
L’Enchiridion symbolorum definitionum et declarationum de rebus fidei et morum è la 37a edizione, che riproduce sostanzialmente la 36a, ancora curata da padre Alfons Schönmetzer con qualche aggiunta, correzione e integrazione.
Presenta però l’enorme vantaggio di essere bilingue.
Così lo strumento è posto nelle mani anche di chi non ha familiarità con le lingue classiche.

Lo stesso non si può dire dell’introduzione di Peter Hünermann all’Enchiridion symbolorum definitionum et declarationum de rebus fidei et morum, che risente troppo dell’interpretazione minimalistica del Magistero del Papa oggi dominante.
Se è vero che l’esistenza di un Magistero ordinario infallibile del Papa — quello che si esprime soprattutto nelle encicliche — e che i criteri per un suo eventuale discernimento costituiscono questioni non ancora sufficientemente recepite dai teologi contemporanei, questa non è una buona ragione per non parlarne affatto, dando per scontato che il problema sia risolto in senso negativo.
 
Secondo l’insegnamento del Concilio Vaticano II "[…] la sacra Tradizione, la sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa, per sapientissima disposizione di Dio, sono tra loro talmente connessi e congiunti che non possono indipendentemente sussistere" (costituzione dogmatica sulla divina Rivelazione Dei Verbum, n. 10).
Cioè non è possibile comprendere la Scrittura senza leggerla nell’alveo della Tradizione e non è possibile comprendere correttamente l’una e l’altra se non nell’ubbidienza al Magistero vivente della Chiesa.
Heinrich Denzinger notava già ai suoi tempi che, se si prestava attenzione alla Scrittura e, in certa misura, anche alla Tradizione — rappresentata soprattutto dai Padri — il Magistero era troppo trascurato.
Lo stesso potrebbe essere detto oggi: non si può comprendere la Parola di Dio se non nell’intreccio indissolubile di tutte e tre queste istanze e di esse il Magistero è troppo poco considerato.
 
La riflessione filosofica contemporanea ha messo in luce che non esiste un’indagine "obiettiva", che possa prescindere da ogni "pre-giudizio".
Il "libero pensiero" non è mai esistito e non può esistere.
Dei pregiudizi il pensiero umano non può fare a meno, non li può eliminare radicalmente, ma li può solo vagliare e discernere.
Il Magistero della Chiesa fornisce l’unico pregiudizio corretto — perché adeguato all’oggetto — per comprendere la parola di Dio scritta, che deve "[…] essere letta e interpretata con l’aiuto dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta" (Concilio Ecumenico Vaticano II, doc. cit., n. 12). Ora, lo Spirito vive nella Chiesa, anzi ne è l’anima.
 
L’attenzione al Magistero non deve però andare a scapito dell’amore alla Scrittura e neppure dell’attenzione alla Tradizione, soprattutto patristica. Come spesso succede: "Queste cose bisogna fare, senza omettere quelle" (Mt. 23, 23).
 
Nella prefazione alla prima edizione della sua raccolta Heinrich Denzinger aveva riportato queste parole di sant’Agostino, secondo uno stile consueto ai Padri una bella composizione di versetti della Scrittura: "Medita dunque queste cose o uomo di Dio, in queste rimani: prendi come modello le sane parole [2 Tim. 1, 13]. Non spostare i confini antichi, posti dai tuoi padri [Pr. 22, 28]; evita le chiacchiere profane e le obiezioni della cosiddetta scienza [1 Tim. 6, 20]. Custodisci il deposito [ibidem], conserva la fede perché ti sia data la corona della giustizia [2 Tim. 4,7-8]" (cit. in Joseph Schumacher, Der "Denzinger". Geschichte und Bedeutung eines Buches in der Praxis der neueren Theologie [Il "Denzinger". Storia e significato di un libro nella prassi della nuova teologia], Herder, Friburgo in Brisgovia 1974, p. 12).
 
Ricevuto l’annuncio dell’angelo e avendo già in seno il Figlio di Dio fatto uomo, Maria "si mise in viaggio" (Lc. 1, 39) per recarsi dalla cugina Elisabetta. Come Maria, la Chiesa, portando nel suo seno "il pensiero di Cristo" (1 Cor. 2, 16), è in viaggio attraverso la storia. Nessuno le può insegnare chi è Gesù, mentre lei lo porta al mondo, fonte di gioia e di salvezza. Questo è il suo Magistero.